13 agosto 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Radio Bullets in data Agosto 13, 2025
- Gaza: Netanyahu spinge per la cacciata dei palestinesi dalla Striscia mentre l’Egitto cerca una tregua di 60 giorni.
- Myanmar: prove di torture sistematiche nelle carceri.
- L’Iran afferma di aver arrestato 21 “sospetti” durante il conflitto di 12 giorni con Israele.
- Stati Uniti: si dichiara colpevole l’uomo che ha tentato di contrabbandare 850 tartarughe.
- Venezuela: Maduro dice agli USA di lasciarlo in pace o sarà la loro fine.
- La diga è pronta, l’Egitto minaccia l’Etiopia.
Introduzione al notiziario: Quando uccidere un giornalista diventa ‘proporzionale
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rilanciato l’idea di “permettere” ai palestinesi di lasciare la Striscia di Gaza, mentre prepara una nuova offensiva su Gaza City.
Una formula che per molti palestinesi evoca la Nakba del 1948, e che trova eco nelle proposte di espulsione sostenute da Donald Trump e da ministri dell’ultradestra israeliana.
L’annuncio arriva mentre Egitto, Qatar e Stati Uniti cercano di mediare una tregua di 60 giorni, con scambio di ostaggi e prigionieri e flusso di aiuti senza restrizioni.
Hamas dovrebbe incontrare i mediatori al Cairo, ma Netanyahu respinge un rilascio scaglionato degli ostaggi: “Tutti insieme, alle nostre condizioni”.
Dietro le parole di “libertà di partire” si intravede la logica dello spostamento forzato: chi sopravvive ai bombardamenti dovrebbe scegliere tra restare o abbandonare per sempre la propria terra.
Una scelta che, nella storia palestinese, ha sempre significato una sola cosa: esilio permanente.
L’AP scrive che Israele sta discutendo con il Sud Sudan sulla possibilità di reinsediare i palestinesi della Striscia di Gaza nel paese dell’Africa orientale devastato dalla guerra.
Sei persone a conoscenza della questione hanno confermato i colloqui all’Associated Press. Se attuati, i piani equivarrebbero a trasferire persone da una terra devastata dalla guerra e a rischio carestia a un’altra, sollevando preoccupazioni per i diritti umani.
■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha riferito che Israele ha ucciso 89 palestinesi e ne ha feriti almeno 513 nelle ultime 24 ore.
Trentuno delle vittime sono state colpite mentre cercavano di ottenere aiuti umanitari e cinque persone, tra cui due bambini, sono morte di fame .
I servizi di soccorso di Gaza hanno riferito che almeno 28 persone sono state uccise in una serie di attacchi israeliani sul quartiere di Zeitoun, nel sud-est di Gaza City.
61.599 persone sono state uccise a Gaza dall’inizio della guerra, secondo il Ministero.
Ventiquattro paesi, tra cui Gran Bretagna, Francia, Canada, Giappone e Danimarca, hanno firmato una dichiarazione congiunta che chiede a Israele di rimuovere le restrizioni e i requisiti di registrazione che sta imponendo alle organizzazioni umanitarie , che, secondo la dichiarazione, potrebbero costringerle ad abbandonare le loro operazioni e peggiorerebbero la situazione umanitaria a Gaza.
Germania e Ungheria non hanno firmato la dichiarazione .
L’Alta rappresentante per la politica estera dell’UE, Kaja Kallas, ha condannato l’uccisione di cinque giornalisti di Al Jazeera fuori dall’ospedale Al Shifa di Gaza City, domenica, tra cui il corrispondente Anas Al-Sharif, che era l’obiettivo dell’attacco .
Kallas ha affermato che l’UE ha preso atto “dell’accusa israeliana secondo cui il gruppo era composto da terroristi di Hamas, ma in questi casi è necessario fornire prove chiare, nel rispetto dello stato di diritto, per evitare di prendere di mira i giornalisti”.
Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha dichiarato all’emittente statale ABC che il primo ministro Netanyahu è “in stato di negazione” riguardo alla situazione umanitaria a Gaza , aggiungendo che la riluttanza del suo governo ad ascoltare i suoi alleati ha contribuito alla decisione dell’Australia di riconoscere uno Stato palestinese.
Il governo dell’Arabia Saudita ha condannato fermamente la decisione di Israele di “occupare completamente la Striscia di Gaza e la sua continua perpetrazione di crimini di fame, pratiche brutali e pulizia etnica” contro i palestinesi.
■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: Israele e Hamas hanno segnalato la volontà di negoziare un accordo per il rilascio di tutti gli ostaggi, abbandonando l’idea di un accordo graduale per il rilascio degli ostaggi, hanno riferito alcune fonti ad Haaretz .
Più tardi, martedì, Netanyahu ha dichiarato a i24 News che Israele sta cercando un accordo completo per il rilascio degli ostaggi e che gli accordi parziali sono “alle nostre spalle ”
Funzionari israeliani hanno affermato che, sebbene la decisione del gabinetto di sicurezza di approvare un piano per occupare Gaza City sia “reale e seria “, il governo potrebbe abbandonare o ritardare l’offensiva se diventasse chiaro che Hamas è disposto a scendere a compromessi significativi nei colloqui.
Fonti palestinesi hanno riferito ad Haaretz che i progressi nei negoziati per la tregua dipendono ora dalla volontà di Israele di fare marcia indietro sulla sua decisione di occupare Gaza City.
Secondo fonti interne ad Hamas, il gruppo ha accettato di discutere la smilitarizzazione della Striscia e l’esilio di alcuni dei suoi leader , pur continuando a dichiarare pubblicamente che non lo farà.
Un’altra fonte di Hamas ha affermato che il gruppo non è ottimista riguardo ai colloqui, poiché “Netanyahu sta ponendo le condizioni per la resa e non accenna ad alcun cambiamento nella sua posizione”.
Una delegazione di Hamas sta tenendo colloqui con alti funzionari egiziani al Cairo per ricucire i rapporti, dopo il deterioramento della scorsa settimana, secondo quanto riferito ad Haaretz da fonti egiziane e palestinesi.
La frattura si è verificata quando l’alto funzionario di Hamas, Khalil al-Hayya, aveva accennato alla necessità per gli egiziani di sollevarsi in protesta contro la carestia a Gaza .
Egitto, Qatar e Turchia stanno lavorando a un nuovo quadro per un cessate il fuoco e un accordo di rilascio degli ostaggi da presentare ad Hamas, ha riportato Sky News Arabia.
Secondo il rapporto, l’accordo include il rilascio di tutti gli ostaggi viventi e di alcuni corpi di quelli deceduti in cambio di prigionieri palestinesi, un ridispiegamento delle Forze di Difesa israeliane e il congelamento delle attività militari di Hamas, mentre si terranno i colloqui per un cessate il fuoco permanente.
■ ISRAELE: Aziende high-tech, università e consigli regionali in tutto Israele aderiranno a uno sciopero su larga scala pianificato dalle famiglie degli ostaggi per domenica prossima.
Molti hanno annunciato la loro adesione dopo che il presidente del più grande sindacato israeliano ha dichiarato che non aderirà allo sciopero, ma sosterrà qualsiasi lavoratore che scelga di farlo.
Tra le principali aziende high-tech che hanno annunciato l’intenzione di scioperare ci sono Wix, Meta e Fiverr. Tra le principali università figurano l’Università Ebraica di Gerusalemme, l’Università di Tel Aviv, l’Università Ben-Gurion del Negev e l’Università di Haifa. Decine di comuni e consigli regionali, tra cui Tel Aviv e Haifa, celebreranno una giornata di solidarietà con le famiglie degli ostaggi.
Un gruppo di donne israeliane appartenenti a 15 organizzazioni ha marciato verso il confine di Gaza da un accampamento allestito nelle vicinanze all’inizio di questa settimana, chiedendo la fine della guerra e il rilascio degli ostaggi.
La polizia ha arrestato Ayelet Hashahar Saidoff, fondatrice del gruppo che ha co-organizzato l’accampamento. “Siamo qui come madri, come donne, come sorelle, come amiche”, ha detto un’attivista , aggiungendo che il loro movimento è stato “ispirato dalle storiche Quattro Madri.
Si sono opposte alla presenza prolungata in Libano, hanno chiesto il ritorno dei ragazzi e hanno vinto. Oggi, continuiamo il loro cammino”.
NORVEGIA: Il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, ha dichiarato lunedì che venderà i suoi investimenti in 11 società israeliane a causa della situazione a Gaza e in Cisgiordania.
L’annuncio fa seguito a una revisione urgente avviata la scorsa settimana in seguito alle notizie diffuse dai media secondo cui il fondo avrebbe acquisito una partecipazione in un gruppo israeliano di motori a reazione che fornisce servizi alle forze armate israeliane, tra cui la manutenzione di aerei da combattimento.
Il fondo patrimoniale norvegese, noto anche come fondo petrolifero in quanto alimentato dalle ingenti entrate derivanti dalle esportazioni energetiche del Paese, è il più grande al mondo, con un valore di circa 1,9 trilioni di dollari e investimenti in tutto il mondo.
La scorsa settimana, il quotidiano norvegese Aftenposten ha riferito che il fondo aveva investito nella società israeliana Bet Shemesh Engines Holdings, che produce componenti per i motori utilizzati nei caccia israeliani.
Tangen ha poi confermato le notizie e ha affermato che il fondo aveva aumentato la sua partecipazione dopo l’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza.
Le rivelazioni hanno spinto il primo ministro Jonas Gahr Store a chiedere una revisione al ministro delle Finanze ed ex segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.
NBIM ha dichiarato di aver investito in 61 società israeliane alla fine dei primi sei mesi di quest’anno, 11 delle quali non erano presenti nel suo “indice di riferimento azionario”, stabilito dal ministero delle finanze e utilizzato per valutare le performance del fondo patrimoniale.
Iran
Secondo i media statali, la polizia iraniana ha arrestato 21.000 persone durante i 12 giorni di conflitto con Israele a giugno, con accuse che vanno dallo spionaggio alle riprese non autorizzate.
L’operazione, accompagnata da oltre 1.000 posti di blocco in tutto il Paese, è stata presentata dalle autorità come un successo grazie alle segnalazioni dei cittadini. Tra i fermati, 261 sono accusati di spionaggio e 172 di registrazioni illegali.
Il dato fornito dalla polizia è molto più alto rispetto alle stime della magistratura iraniana, che parlava di circa 2.000 arresti, molti dei quali già rilasciati per mancanza di prove.
Dal termine del conflitto, l’Iran ha giustiziato almeno sette uomini condannati per spionaggio a favore di Israele, alimentando i timori di una nuova ondata di esecuzioni in un Paese che, secondo l’ONU, nel 2023 ha registrato 901 esecuzioni, il numero più alto dal 2015.
Questi numeri, contraddittori e gonfiati a seconda della fonte, rivelano il clima di repressione interna che si è intensificato dopo le ostilità con Israele.
L’uso di accuse generiche di spionaggio o “riprese illegali” permette alle autorità di giustificare arresti di massa e silenziare dissenso e giornalismo indipendente.
L’impennata delle esecuzioni suggerisce che la guerra esterna sia stata usata anche come pretesto per consolidare il controllo interno, con un prezzo altissimo per i diritti umani.
Egitto
Il presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi ha lanciato un duro avvertimento all’Etiopia sul tema della Grande Diga del Rinascimento (GERD), dichiarando che sarebbe “un errore” pensare che l’Egitto possa cedere sui propri diritti idrici.
Dopo colloqui al Cairo con il presidente ugandese Yoweri Museveni, El Sisi ha ribadito il rifiuto di qualsiasi misura unilaterale nel bacino orientale del Nilo, sottolineando che l’acqua del fiume è vitale per la sopravvivenza del Paese, che dipende quasi interamente dal Nilo per le proprie necessità idriche e agricole.
Il Cairo teme che la diga, ormai completata e con il serbatoio pieno, possa ridurre il flusso verso valle, soprattutto in periodi di siccità, minacciando milioni di posti di lavoro agricoli e la sicurezza alimentare.
Anche il Sudan è preoccupato, temendo rischi strutturali e lamentando la mancanza di condivisione di dati operativi da parte di Addis Abeba. Anni di negoziati per un accordo legalmente vincolante sulla gestione della diga non hanno portato risultati.
L’Etiopia sostiene invece che l’impianto, capace di generare oltre 6.000 megawatt, sia essenziale per lo sviluppo e promette di non arrecare danni ai Paesi a valle.
La disputa sulla GERD è uno dei conflitti idrici più delicati al mondo: da un lato la legittima esigenza etiope di produrre energia e svilupparsi, dall’altro la dipendenza assoluta dell’Egitto (e in parte del Sudan) dalle acque del Nilo.
Con il completamento della diga e l’assenza di un accordo vincolante, ogni periodo di siccità rischia di trasformarsi in una crisi politica e, potenzialmente, in un’escalation regionale.
Francia
Una delle più grandi centrali nucleari francesi è stata temporaneamente fermata dopo che uno sciame di meduse è entrato nei sistemi di presa d’acqua usati per raffreddare i reattori costieri.
Le meduse hanno ostruito l’impianto di raffreddamento, causando lo spegnimento automatico di quattro unità. La compagnia elettrica EDF, che gestisce l’impianto, ha assicurato che non ci sono stati impatti sulla sicurezza dell’impianto, del personale o dell’ambiente.
Le squadre sono al lavoro per completare diagnosi e interventi tecnici necessari a riavviare la produzione in sicurezza.
Secondo l’ingegnere nucleare Ronan Tanguy, le meduse, grazie ai loro corpi “gelatinosi”, sono riuscite a superare i primi filtri e a rimanere intrappolate solo nel sistema secondario a tamburi.
Incidenti simili non sono rari: nel 2021, la centrale nucleare di Torness, in Scozia, fu costretta a fermarsi per una settimana quando le meduse bloccarono i filtri per le alghe nelle condotte di presa d’acqua.
Incendi
Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case mentre incendi devastanti continuano a bruciare nel sud Europa, alimentati da un’ondata di caldo record.
In Spagna, un uomo è morto dopo aver riportato ustioni sul 98% del corpo a Tres Cantos, vicino Madrid, dove i vigili del fuoco hanno lavorato tutta la notte per contenere le fiamme.
Roghi sono stati segnalati in diverse regioni — dalla Castiglia e León all’Andalusia — con temperature che potrebbero toccare i 44 gradi. Il governo ha dichiarato una “pre-emergenza” e mobilitato quasi mille militari a supporto.
In Portogallo, oltre 700 vigili del fuoco sono impegnati a domare un incendio a Trancoso, mentre più a nord, a Vila Real, il sindaco ha lanciato un grido d’allarme: “Siamo cotti vivi, così non si può andare avanti”. In città, un incendio brucia da dieci giorni.
Anche la Turchia combatte contro le fiamme: nella provincia di Canakkale, centinaia di evacuati, aeroporto chiuso e traffico navale interrotto nello Stretto dei Dardanelli.
Questi incendi non sono più eventi eccezionali, ma il nuovo volto dell’estate mediterranea: stagioni più lunghe, temperature estreme, venti secchi e territori sempre più vulnerabili.
Il clima che cambia trasforma ogni ondata di caldo in una miccia pronta ad accendere la catastrofe, e i sistemi di prevenzione sembrano correre sempre un passo indietro rispetto alle fiamme.
La vera emergenza, ormai, è che queste crisi smettano di essere percepite come emergenze. E intanto, io ho già caldo.
Regno Unito
Il ghiaccio che si scioglie ha restituito i resti di Dennis “Tink” Bell, ricercatore britannico caduto in un crepaccio nel 1959 durante una missione per la Falkland Islands Dependencies, predecessore del British Antarctic Survey.
Il ritrovamento è avvenuto il 19 gennaio 2025 sul ghiacciaio Ecology, nell’Isola di King George, da parte di una squadra della base polacca Henryk Arctowski.
Bell stava lavorando con tre scienziati e due slitte trainate da cani quando, per incoraggiare il gruppo bloccato nella neve profonda, si portò avanti in un’area che credeva sicura.
Il ghiaccio cedette e precipitò per 30 metri. I compagni tentarono di tirarlo su con una corda, ma Bell la fissò alla cintura anziché al corpo; rimase incastrato sul bordo, la cintura si ruppe e cadde di nuovo nel vuoto. Il maltempo impedì di tornare subito sul posto: dopo 12 ore non c’era più speranza di trovarlo vivo.
Oltre ai resti, sono stati recuperati più di 200 oggetti personali, tra cui radio, torcia, bastoni da sci, un orologio inciso, un coltello svedese e una pipa.
Trasportati alle Falkland e poi a Londra, hanno permesso di identificarlo grazie al DNA, confrontato con quello dei fratelli David Bell e Valerie Kelly.
“Quando siamo stati avvisati, siamo rimasti scioccati e commossi — ha detto il fratello — finalmente possiamo dare pace al nostro brillante fratello.”
Russia e Ucraina
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha definito una “vittoria personale” per Vladimir Putin l’invito a incontrare Donald Trump venerdì in Alaska.
Secondo Zelensky, il summit — il primo tra un presidente USA e uno russo dal 2021 — rinvia nuove sanzioni contro Mosca e consente a Putin di uscire dall’isolamento internazionale.
Zelensky, escluso dall’incontro, ha avvertito che respingerà qualsiasi ipotesi di ritiro dal Donbass, come suggerito da Trump in un possibile scambio territoriale per la pace: “Se ci ritiriamo, apriamo un varco all’avanzata russa”.
Sul campo, Kiev segnala difficili battaglie nell’est e pesanti attacchi russi vicino a Dobropillia, con avanzate fino a 10 km e minacce a Kostiantynivka.
Mosca, che da mesi guadagna terreno lentamente ma costantemente, impiega piccoli gruppi di sabotaggio. Negli ultimi attacchi, tre civili sono stati uccisi e 12 feriti.
Il vertice in Alaska rischia di sancire un cambio di narrativa: da guerra di aggressione a “conflitto da negoziare” fra due superpotenze, con Kiev relegata a spettatrice.
Zelensky sa che il prezzo di un accordo deciso altrove potrebbe essere pagato in chilometri di territorio e in vite ucraine.
Stati Uniti
Un residente di New York ha ammesso di aver tentato di contrabbandare tartarughe protette per un valore di oltre un milione di dollari verso Hong Kong, nascondendole in scatole etichettate come “giocattoli di plastica per animali”.
Wei Qiang Lin, cittadino cinese residente a Brooklyn, si è dichiarato colpevole in un tribunale federale di New York di aver cercato di esportare oltre 220 pacchi contenenti circa 850 esemplari di tartaruga scatola orientale e tartaruga scatola a tre dita.
Gli animali, legati e avvolti in calze annodate, sono stati intercettati alla frontiera dalle autorità statunitensi.
Queste specie, con vivaci colorazioni e molto richieste sul mercato degli animali domestici, in particolare in Cina e a Hong Kong, sono protette dalla Convenzione CITES.
Le indagini hanno rivelato che Lin aveva spedito anche altri 11 pacchi con rettili, tra cui serpenti velenosi. Ora rischia fino a cinque anni di carcere: la sentenza è prevista per il 23 dicembre.
Il traffico illegale di specie protette è un business globale che non risparmia alcun confine: mette a rischio la sopravvivenza di animali già vulnerabili e alimenta un mercato nero che prospera su crudeltà e profitto.
Nel caso di Lin, l’avidità ha prevalso sulla legge e sul rispetto per la biodiversità, ma la sua condanna rappresenterà un banco di prova per la reale determinazione delle autorità a contrastare questo tipo di crimini ambientali.
Migliaia di membri della Guardia Nazionale sono arrivati a Washington dopo che il presidente Donald Trump ha ordinato la presa di controllo del Dipartimento di Polizia Metropolitana e dichiarato lo stato di emergenza per quella che definisce — senza prove concrete — una città “senza legge”.
La decisione, mai attuata da un presidente prima d’ora, è possibile grazie al Home Rule Act, che consente al capo della Casa Bianca di assumere il controllo della polizia della capitale per 48 ore, prorogabili fino a 30 giorni.
Il sindaco Muriel Bowser ha contestato la definizione di emergenza, sottolineando che la criminalità è in calo: omicidi e reati violenti ai minimi da 30 anni, furti d’auto dimezzati rispetto al 2024.
Ma ha riconosciuto che l’autorità presidenziale è “piuttosto ampia” e che la città non può che adeguarsi.
Per molti osservatori, si tratta di una prova di forza politica più che di una reale risposta a problemi di sicurezza: “Non è per rendere D.C. più sicura, ma solo una questione di potere”, ha detto Clinique Chapman, direttrice del D.C. Justice Lab.
Questo intervento mette in evidenza due nodi cruciali: la vulnerabilità di Washington come distretto federale privo di piena autonomia e l’uso espansivo dello stato di emergenza come strumento politico.
Anche se i dati smentiscono la narrativa di una capitale in preda al caos, la mossa di Trump consolida un precedente che potrebbe ridefinire i limiti tra sicurezza pubblica e controllo federale, con il rischio che la gestione della criminalità diventi un terreno di scontro ideologico anziché una questione di politiche concrete.
Messico
Il Messico ha consegnato agli Stati Uniti 26 figure di alto profilo dei cartelli della droga, nel quadro della cooperazione rafforzata con l’amministrazione Trump.
Tra loro Abigael González Valencia, leader del gruppo “Los Cuinis” e cognato di El Mencho, capo del potentissimo CJNG, oltre a Servando Gómez Martínez, alias “La Tuta”, ex maestro diventato boss del cartello dei Cavalieri Templari.
Inclusi anche membri legati al cartello di Sinaloa e imputati per omicidi negli USA.
L’operazione segue un precedente trasferimento di 29 boss a febbraio — tra cui Rafael Caro Quintero, responsabile dell’uccisione di un agente della DEA nel 1985 — e arriva dopo l’accordo fra Trump e la presidente messicana Claudia Sheinbaum per rinviare tariffe punitive in cambio di maggiore collaborazione sulla sicurezza.
Washington ha promesso di non chiedere la pena di morte in cambio delle estradizioni, mentre Sheinbaum mantiene la linea dura contro i cartelli, ma respinge ogni ipotesi di intervento militare statunitense in territorio messicano.
Queste estradizioni mostrano un’alleanza tattica: il Messico evita sanzioni economiche, gli Stati Uniti ottengono trofei giudiziari.
Ma ci chiediamo, colpire i capi storici basterà a fermare l’onda di droga e violenza, o servirà solo a far nascere nuovi leader in un sistema criminale che si rigenera più in fretta di quanto venga smantellato?
Venezuela
Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha lanciato un avvertimento diretto agli Stati Uniti di Donald Trump: “Non osate toccare il Venezuela, sarebbe l’inizio della vostra fine”.
Il messaggio, trasmesso in tv e sui social, arriva dopo l’annuncio di Washington di una taglia da 50 milioni di dollari per la sua cattura, misura che Maduro definisce un attacco diretto al Paese.
L’amministrazione Trump accusa Maduro di guidare un presunto cartello del narcotraffico, il cosiddetto “Cartel de los Soles”.
Gli USA hanno messo taglie anche su altri alti funzionari chavisti: 25 milioni di dollari per il ministro dell’Interno Diosdado Cabello e altri 25 per il ministro della Difesa Vladimir Padrino.
Questa escalation retorica e giudiziaria conferma il livello di ostilità tra Caracas e Washington.
La strategia statunitense mira a isolare e delegittimare Maduro colpendolo sul piano personale, mentre il leader venezuelano trasforma la minaccia in un discorso patriottico e anti-imperialista, utile a rafforzare il fronte interno.
In un contesto di crisi economica e repressione politica, lo scontro con Trump diventa così anche uno strumento di consenso interno.
E ancora, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha proposto un’operazione congiunta tra le forze armate di Venezuela e Colombia lungo il confine comune.
L’iniziativa segue la firma, due settimane fa, di un memorandum per creare una zona economica comune — la Zona numero 1 — che coinvolgerà, dal lato venezuelano, gli Stati di Táchira e Zulia e, da quello colombiano, i dipartimenti di Norte de Santander e La Guajira.
Maduro punta a integrare poteri economici, politici e militari per “liberare l’area da violenza, gruppi armati e narcotraffico” e trasformarla in una zona di pace e cooperazione.
La proposta arriva dopo le parole del presidente colombiano Gustavo Petro, che ha definito “aggressione contro l’America Latina e i Caraibi” qualsiasi operazione militare non autorizzata contro il Venezuela, in risposta all’aumento della taglia statunitense su Maduro a 50 milioni di dollari.
El Salvador
L’Ufficio Bitcoin di El Salvador ha annunciato la nascita della prima “Bitcoin Bank” del Paese, resa possibile dalla nuova legge sulle banche di investimento, che consente la creazione di istituzioni finanziarie dedicate esclusivamente a “investitori sofisticati” e soggette alla supervisione della Soprintendenza del sistema finanziario.
L’iniziativa si inserisce in un quadro più ampio di progetti ambiziosi del governo, dalla prima ambasciata Bitcoin all’approvazione di una legge sull’intelligenza artificiale, fino all’acquisto di chip B300 di Nvidia, con l’obiettivo di fare di El Salvador un pioniere globale nel settore cripto.
Tutto ciò avviene mentre il Paese è vincolato da accordi con il Fondo Monetario Internazionale che prevedono forti limitazioni sull’uso di fondi pubblici per Bitcoin, la chiusura del portafoglio Chivo, la liquidazione del fondo Fidebitcoin e la pubblicazione di bilanci auditati. Il governo, però, non ha confermato l’attuazione di queste misure e continua a promuovere sui social i suoi acquisti di criptovalute,
La creazione della “Bitcoin Bank” è un passo simbolicamente forte, ma anche potenzialmente rischioso. Da un lato consolida l’immagine di El Salvador come laboratorio mondiale per le criptovalute; dall’altro, accentua le tensioni con il FMI e apre interrogativi sulla sostenibilità di una strategia che punta sull’attrattiva finanziaria globale, ma che si muove in un quadro di vincoli economici e istituzionali ancora irrisolti.
Nepal
Il Nepal offrirà permessi gratuiti per scalare 97 montagne dell’Himalaya situate nelle province remote di Karnali e Sudurpaschim, con altezze tra i 5.970 e i 7.130 metri, mentre aumenterà la tariffa per salire sull’Everest.
L’obiettivo è attirare più turismo in aree spettacolari ma difficili da raggiungere, riducendo al contempo il sovraffollamento sulla vetta più alta del mondo.
“Nonostante la bellezza mozzafiato, qui arrivano pochi turisti e alpinisti. Speriamo che questa misura possa creare lavoro, reddito e rafforzare l’economia locale,” ha dichiarato Himal Gautam, direttore del Dipartimento del Turismo.
Dal prossimo settembre, il permesso per l’Everest passerà da 11.000 a 15.000 dollari.
Il governo valuta anche una legge che obblighi chi vuole affrontare l’Everest a scalare prima una montagna di almeno 7.000 metri in Nepal.
I permessi di scalata sono una risorsa cruciale per il Paese, generando oltre il 4% del PIL. Nel 2024, il Nepal ha incassato 5,92 milioni di dollari, di cui 4,5 milioni solo dall’Everest. Negli ultimi due anni, però, solo 68 delle 97 vette remote sono state scalate, mentre nel 2024 sono stati rilasciati 421 permessi per l’Everest.
Questa mossa è un tentativo strategico di riequilibrare il turismo d’alta quota: non solo per proteggere l’Everest dal turismo di massa, ma anche per distribuire ricchezza e attenzione verso regioni meno conosciute.
Se accompagnata da investimenti in infrastrutture e accessibilità, potrebbe trasformare l’economia di intere aree oggi marginali, portando benefici sia agli abitanti che agli alpinisti in cerca di sfide autentiche e lontane dalle folle.
Myanmar
Le Nazioni Unite hanno raccolto prove schiaccianti di torture sistematiche da parte delle forze di sicurezza del Myanmar, identificando anche alcuni degli alti ufficiali responsabili.
Secondo il rapporto del Meccanismo Investigativo Indipendente per il Myanmar (IIMM), le violenze includono pestaggi, scosse elettriche, stupri di gruppo, strangolamenti, rimozione delle unghie con le pinze.
In alcuni casi, le torture sono state letali. Tra le vittime anche minori, spesso detenuti illegalmente al posto dei genitori ricercati.
Il documento, basato su oltre 1.300 fonti, racconta nomi e volti riconosciuti dalle stesse vittime.
L’obiettivo è fornire prove utili a futuri processi, anche presso la Corte Penale Internazionale. Ma l’ONU avverte: i tagli di bilancio rischiano di bloccare le indagini, soprattutto quelle sui crimini sessuali e contro i minori.
Dal colpo di Stato militare del 2021, il Myanmar è precipitato nel caos: decine di migliaia di persone arrestate, civili torturati e un conflitto che si è trasformato in guerra civile.
La giunta militare nega le accuse e definisce “terroristi” gli oppositori, mentre prepara elezioni sotto il controllo diretto del capo della giunta, Min Aung Hlaing, ora autoproclamato presidente ad interim.
Questo rapporto è solo l’ennesima conferma di un sistema repressivo che non si limita a reprimere il dissenso, ma lo annienta fisicamente e psicologicamente.
La scelta di identificare i responsabili, partendo dai volti riconosciuti dalle vittime, segna un passo cruciale verso possibili incriminazioni. Ma senza fondi, la macchina della giustizia internazionale rischia di fermarsi, lasciando le vittime — e le prove — alla mercé dell’oblio.
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