18 agosto 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Agosto 18, 2025
- Un milione di israeliani protestano per un accordo e per porre fine alla guerra a Gaza. In Cisgiordania, i coloni attaccano e i palestinesi vengono arrestati.
- Europa: cortei per Gaza, giornalisti e medici nel mirino
- Pakistan e Kashmir: le piogge monsoniche trasformano villaggi in cimiteri.
- Bolivia al voto: la fine dell’era socialista Sudan: l’esercito tortura le persone a morte.
- Il leader ucraino e gli alleati europei in visita da Trump.
Introduzione al notiziario: Il tradimento del popolo sovrano
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ ISRAELE: Centinaia di migliaia di israeliani, un milione in tutto il paese, 500mila solo a Tel Aviv hanno protestato per un accordo sugli ostaggi e per porre fine alla guerra a Gaza nell’ambito dello sciopero generale nazionale di domenica, bloccando diverse strade principali in tutto il paese.
La polizia ha arrestato almeno 27 dimostranti , ricorrendo in molti casi alla forza , incluso un cannone ad acqua a Gerusalemme per disperdere una protesta. In un altro episodio, un camionista è stato arrestato dopo aver aggredito un manifestante nel centro di Israele.
L’Hostage and Missing Families Forum ha annunciato che lunedì allestirà un accampamento di protesta al confine di Gaza , nel sud di Israele, affermando che “l’insensibilità del governo ci costringe a intensificare la lotta e a fare tutto il possibile per riportare indietro i nostri cari”.
In una riunione del governo, Netanyahu ha affermato che le proteste ” garantiscono che le atrocità del 7 ottobre si ripeteranno ” e rendono difficile ottenere il rilascio degli ostaggi, oltre a garantire che i soldati dell’IDF “dovranno continuare a combattere ancora e ancora in una guerra senza fine”.
Il ministro delle finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha definito le proteste “una campagna malvagia e dannosa che sta facendo il gioco di Hamas e sta seppellendo gli ostaggi nei tunnel… Stanno anche cercando di costringere Israele ad arrendersi ai suoi nemici e di mettere in pericolo la sicurezza dello Stato”.
Einav Zangauker, madre dell’ostaggio Matan, ha risposto che ” la dichiarazione tossica e distaccata di Netanyahu dimostra solo quanto le proteste lo spaventino “.
Il presidente israeliano Isaac Herzog è intervenuto nella piazza degli ostaggi di Tel Aviv, invitando la comunità internazionale a ” smetterla di essere un branco di ipocriti ” e a fare pressione su Hamas affinché rilasci gli ostaggi.
■ OSTAGGI/CESEDERE IL FUOCO: Il primo ministro Netanyahu ha detto sabato che avrebbe accettato solo un accordo in cui tutti gli ostaggi vengono rilasciati in una fase, ribadendo che i termini di Israele includono il disarmo di Hamas, la smilitarizzazione di Gaza, il controllo di sicurezza israeliano del territorio e un’autorità di governo che non sia Hamas o l’Autorità Nazionale Palestinese.
Un alto funzionario vicino a Netanyahu ha dichiarato ad Haaretz di credere che Hamas rifiuterebbe un accordo globale basato sulle condizioni stabilite da Israele , aggiungendo che l’insistenza del governo israeliano su queste condizioni potrebbe mettere in pericolo la vita degli ostaggi e compromettere le possibilità del loro ritorno.
Fonti diplomatiche in Israele hanno riferito ad Haaretz che Egitto e Qatar si stanno preparando a presentare una bozza di nuovo accordo che potrebbe includere un rilascio graduale degli ostaggi.
Il primo ministro palestinese Mohammed Mustafa è arrivato al Cairo per incontrare il suo omologo egiziano e il ministro degli Esteri per discutere della situazione di Gaza nel dopoguerra.
■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha riferito che 38 palestinesi sono stati uccisi, tra cui 14 richiedenti aiuti, e 226 sono rimasti feriti dal fuoco israeliano nelle ultime 24 ore.
Secondo il ministero, sette persone sono morte di fame e malnutrizione , due delle quali bambini. Dall’inizio della guerra, 61.944 persone sono state uccise a Gaza, ha affermato il ministero.
Il capo di stato maggiore delle IDF, Eyal Zamir, ha dichiarato durante una visita a Gaza che l’esercito sta ” approvando la prossima fase della guerra … in cui continueremo a intensificare gli attacchi contro Hamas a Gaza City fino alla sua sconfitta decisiva”.
Zamir ha aggiunto che l’esercito “ha il dovere morale di riportare a casa gli ostaggi”.
L’esercito israeliano ha gestito un’unità speciale chiamata “Cellula di Legittimazione”, incaricata di raccogliere informazioni da Gaza che possano rafforzare l’immagine di Israele sui media internazionali, ha rivelato Yuval Abraham del magazine +972 in un’indagine congiunta con Local Call.
In particolare, la squadra di intelligence segreta è stata incaricata di identificare i giornalisti di Gaza che potrebbero essere presentati come agenti sotto copertura di Hamas, nel tentativo di attutire la crescente indignazione globale per l’uccisione di giornalisti da parte di Israele.
CISGIORDANIA: Domenica l’esercito israeliano ha arrestato almeno 19 palestinesi durante incursioni militari in diverse città della Cisgiordania, mentre i coloni illegali intensificavano i loro attacchi nei territori occupati.
Secondo i dati palestinesi, dall’inizio della guerra di Gaza nell’ottobre 2023, più di 18.000 persone sono state arrestate dall’esercito israeliano in Cisgiordania.
Nel frattempo, coloni israeliani illegali hanno attaccato veicoli palestinesi con pietre e danneggiato le condutture dell’acqua a Ramallah.
Un gruppo di coloni illegali ha danneggiato anche i terreni agricoli palestinesi a Gerico durante gli ultimi assalti nella Cisgiordania occupata.
Secondo il Ministero della Salute palestinese, dall’ottobre 2023 almeno 1.014 palestinesi sono stati uccisi e più di 7.000 feriti in Cisgiordania dalle forze armate e dai coloni israeliani.
Con una sentenza storica dello scorso luglio, la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana del territorio palestinese, chiedendo l’evacuazione di tutti gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
■ HOUTHI: L’ IDF ha dichiarato di aver colpito le “infrastrutture energetiche” degli Houthi nella capitale yemenita Sana’a durante la notte fino a domenica.
Secondo fonti locali, è stata colpita una centrale elettrica nella città.
Europa
Da Stoccolma a Dublino, da Glasgow a Londra, migliaia di persone sono scese in piazza sabato in solidarietà con i palestinesi di Gaza, chiedendo la fine degli attacchi israeliani.
Nella capitale svedese, manifestanti vestiti di nero hanno portato bare simboliche per ricordare i giornalisti uccisi: solo la scorsa settimana sei reporter di Al Jazeera sono morti sotto i bombardamenti israeliani vicino all’ospedale Al-Shifa.
Con loro, il bilancio dei giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023 sale a 238.
A Dublino, migliaia di medici, infermieri e operatori sanitari hanno marciato in silenzio al ritmo di un tamburo, mostrando i volti dei colleghi uccisi a Gaza.
A Glasgow, in Scozia, si è unita alla protesta anche la ministra dell’Edilizia, Mairi McAllan, con un cartello: “Pace per la Palestina, adesso”.
In Inghilterra, 13 persone arrestate a Norwich e oltre 500 la scorsa settimana a Londra, accusate di sostenere il gruppo bandito Palestine Action.
A Buckinghamshire, migliaia hanno circondato una base della RAF per chiedere lo stop alla cooperazione militare con Israele.
Tutto questo mentre l’esercito israeliano continua la sua offensiva.
Sui leader israeliani pendono mandati di arresto della Corte penale internazionale per crimini di guerra e un processo alla Corte internazionale di giustizia per genocidio.
L’Europa intera si mobilita: giornalisti, medici, cittadini comuni. Non solo contro una guerra, ma contro la sua normalizzazione. Ogni bara simbolica, ogni cartello, ogni marcia silenziosa è un atto d’accusa: il silenzio dei governi occidentali non può più cancellare la voce delle piazze.
Iraq
In Iraq sono iniziati gli scavi a Khasfa, vicino Mosul, dove si teme possano trovarsi migliaia di vittime dell’Isis. Le autorità parlano di uno dei più grandi siti di fosse comuni del Paese.
Per ora si raccolgono i resti in superficie e si prepara un database del DNA delle famiglie, in attesa di aiuti internazionali: il sito è pericoloso, con acqua solforosa e ordigni inesplosi.
Secondo testimoni, qui l’Isis portava in autobus soldati, poliziotti, sciiti e Yazidi per poi giustiziarli. Un avvocato che indaga su decine di casi lo definisce “la più grande fossa comune della storia moderna irachena”.
La guerra contro lo Stato islamico è finita, ma Khasfa ricorda al Paese che le sue ferite sono ancora aperte.
Sudan
In Sudan, il gruppo di avvocati per i diritti umani Emergency Lawyers accusa l’esercito e le forze di sicurezza di gestire vere e proprie “camere di esecuzione”.
Centinaia di persone sarebbero state arrestate a Khartoum: alcune rilasciate in condizioni di salute gravissime, altre trovate morte con segni evidenti di torture.
Il Sudanese army, che ha riconquistato la capitale a marzo dopo duri combattimenti con le forze paramilitari RSF, non ha risposto alle accuse.
Ma gli avvocati parlano di una “pericolosa escalation di violazioni”: detenzioni arbitrarie, processi senza garanzie e condizioni disumane.
Durante la guerra, anche le RSF sono state accusate di esecuzioni sommarie e violenze sessuali. L’ONU ha documentato abusi sistematici da entrambe le parti.
Intanto, la popolazione civile affronta una catastrofe: 12 milioni di sfollati, carestia in diverse aree e la peggior epidemia di colera degli ultimi anni – quasi 100mila casi e 2.470 morti in un anno, secondo Medici Senza Frontiere.
Il Sudan è diventato un laboratorio di orrori: torture, stupri, fame ed epidemie. Due eserciti combattono per il potere mentre la popolazione muore nell’indifferenza del mondo.
Le “camere di esecuzione” denunciate oggi sono il simbolo di una guerra che ha trasformato il Paese in un carcere a cielo aperto, dove i civili non hanno più alcun diritto, se non quello di sopravvivere – se ci riescono.
Russia, Usa, Ucraina
Donald Trump ha dichiarato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky potrebbe “finire la guerra quasi subito, se vuole”, ma solo rinunciando all’ingresso nella Nato e accettando la perdita definitiva della Crimea, annessa da Mosca nel 2014.
Le parole arrivano poche ore prima del faccia a faccia tra i due alla Casa Bianca, dopo il vertice in Alaska tra Trump e Vladimir Putin, in cui il presidente americano ha smesso di chiedere un cessate il fuoco per puntare a un accordo di pace permanente.
Zelensky, appena arrivato negli Stati Uniti, ha ribadito la necessità di vere garanzie di sicurezza per Kyiv, sottolineando come quelle del passato si siano rivelate inutili.
A Washington oggi sono attesi anche i principali leader europei in manifestazione di solidarietà – da Macron a Meloni, da Merz a von der Leyen – in quello che appare un incontro di emergenza senza precedenti.
Resta il nodo: Trump spingerà davvero per un compromesso imposto a Zelensky, o lascerà spazio a Kyiv nella trattativa?
Il vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, presentato come il momento decisivo per ottenere un cessate il fuoco in Ucraina, si è trasformato in una clamorosa inversione di rotta.
Trump ha abbandonato la sua richiesta di fermare le ostilità, sposando invece la linea di Putin: puntare direttamente a un accordo di pace complessivo.
Una scelta che sorprende, dopo che per mesi il presidente americano aveva promesso di risolvere la guerra in 24 ore.
Ma dai colloqui non sono emersi dettagli né passi concreti, e per molti osservatori Putin ha ottenuto ciò che voleva: legittimità internazionale e tempo prezioso per continuare la sua offensiva.
In patria, i Democratici parlano di resa diplomatica, accusando Trump di aver steso il tappeto rosso a un “dittatore omicida” senza ottenere nulla in cambio. In Europa, il summit è stato letto come una vittoria netta per Putin e una sconfitta per Washington.
Trump, che mira al Nobel per la Pace, rivendica i successi ottenuti in altri teatri di crisi – dal Caucaso all’Africa – e guarda a un futuro incontro a tre con Zelensky e Putin.
Alcuni repubblicani parlano di “cauto ottimismo”, altri di un’occasione mancata.
Il rischio è che questa “pace totale” resti solo uno slogan. Senza un cessate il fuoco immediato, la guerra continua e le vittime aumentano.
Putin ha mostrato ancora una volta di saper usare i tavoli diplomatici per rafforzarsi, mentre Trump appare più interessato a costruire la propria immagine di mediatore che a imporre condizioni reali a Mosca.
In gioco non c’è soltanto la fine della guerra, ma la credibilità stessa della leadership americana.
A Bruxelles, Zelensky e Ursula von der Leyen hanno incontrato i principali alleati europei per ribadire che “nessuna decisione sull’Ucraina senza l’Ucraina”.
Caraibi
L’uragano Erin, il primo della stagione atlantica 2025, si è rapidamente trasformato in un mostro atmosferico: in meno di 24 ore è passato da tempesta tropicale a categoria 5, con venti fino a 220 km orari, per poi ridursi leggermente a categoria 4.
Un’intensificazione “incredibile per qualsiasi periodo dell’anno, ancor più a metà agosto”, hanno detto gli esperti.
Il centro dell’uragano si trova a circa 230 km a nord-est di San Juan, Porto Rico, e non dovrebbe colpire direttamente la terraferma, ma le sue piogge e i suoi venti stanno già flagellando Porto Rico e le Isole Vergini, causando blackout a 130mila persone e il rischio di frane e inondazioni lampo.
Allerta anche per Saint Martin, Saint Barth e Turks e Caicos, mentre negli Stati Uniti le correnti di risacca potrebbero minacciare la costa orientale nei prossimi giorni.
Le autorità hanno predisposto centinaia di rifugi a Porto Rico e nelle Bahamas, mentre FEMA ha inviato oltre 200 operatori.
Nonostante gli avvisi, molti turisti hanno continuato a frequentare spiagge e locali come se nulla fosse.
La furia di Erin conferma una tendenza ormai innegabile: i grandi uragani si formano più in anticipo, più spesso e con maggiore potenza.
L’aumento della temperatura degli oceani, legato al cambiamento climatico, è il carburante che li trasforma in bombe meteorologiche quasi impossibili da prevedere e da affrontare.
Ogni volta che un uragano esplode in poche ore, non è solo un fenomeno naturale: è l’immagine concreta di un pianeta che si sta scaldando e che ci sta presentando il conto.
Colombia
La polizia colombiana ha arrestato a Cali, nel sud-ovest del Paese, José Ángel Lizcano Hernández, 22 anni, considerato il sesto sospettato dell’omicidio del biologo italiano Alessandro Coatti, ucciso lo scorso 6 aprile a Santa Marta.
Secondo le autorità, Lizcano era in fuga da settimane e si nascondeva in un quartiere popolare della città.
Coatti fu attirato in trappola attraverso un appuntamento online, rapinato e poi barbaramente ucciso e smembrato.
Nei mesi scorsi erano già stati arrestati cinque complici, ora tutti rinviati a giudizio con accuse di omicidio e furto aggravato.
Un delitto atroce che ha scosso l’opinione pubblica internazionale e riacceso i riflettori sulla violenza in Colombia, dove criminalità organizzata e microcriminalità convivono in un contesto di impunità diffusa.
L’arresto di ieri è un passo avanti, ma resta da capire se davvero la giustizia riuscirà a garantire pene certe e verità per la famiglia di Alessandro Coatti.
Bolivia
Per la prima volta dopo quasi vent’anni la Bolivia si prepara ad avere un presidente non di sinistra.
I risultati preliminari vedono in testa il senatore Rodrigo Paz Pereira, seguito dall’ex presidente Jorge Quiroga di centro: nessuno ha ottenuto la maggioranza, e a ottobre si andrà al ballottaggio.
Paz Pereira, a sorpresa, ha superato i sondaggi e ha costruito la sua campagna sullo slogan “capitalismo per tutti, non per pochi”: più fondi alle regioni, credito accessibile, sgravi fiscali e apertura ai mercati esteri. Quiroga, già capo di Stato ad interim nei primi anni Duemila, rappresenta invece una linea conservatrice ed esperta.
Il Movimento al Socialismo, il MAS, è uscito a pezzi: il presidente Luis Arce, impopolare, non si è ricandidato.
Il suo successore designato è stato insultato al seggio, mentre l’ex delfino di Evo Morales, Andrónico Rodríguez, è stato addirittura aggredito con sassi e ha subito un attentato con un ordigno rudimentale.
Morales, escluso dalla corsa e indebolito da scandali giudiziari, ha invitato i suoi a votare scheda nulla, spaccando ulteriormente la sinistra.
Un presidente non-socialista significherebbe probabilmente una svolta netta: più vicinanza agli Stati Uniti, maggiori aperture agli investimenti stranieri, soprattutto sul litio, la risorsa chiave della transizione energetica.
La svolta a destra riflette la rabbia di un Paese alle prese con la peggiore crisi economica degli ultimi anni, con inflazione, scarsità di carburante, cibo e riserve in esaurimento.
La fine dell’era socialista in Bolivia, però, potrebbe aprire non solo un cambio politico, ma anche un periodo di nuove tensioni e instabilità.
Pakistan
In Pakistan i soccorsi si sono intensificati dopo che in un solo distretto del nord-ovest, quello montuoso di Buner, le alluvioni lampo hanno ucciso oltre 220 persone.
Piogge torrenziali e frane hanno isolato villaggi interi, distrutto case e spazzato via intere famiglie: in un episodio drammatico, 24 persone sono morte nella stessa abitazione, alla vigilia di un matrimonio.
Le squadre di emergenza stanno liberando le strade, rimuovendo macerie e cercando dispersi sotto le case crollate.
Il governo ha promesso risarcimenti alle famiglie delle vittime, mentre tende, cibo e acqua potabile vengono distribuiti per scongiurare epidemie. Ma la minaccia non è finita: tra il 17 e il 19 agosto sono previste nuove piogge e possibili frane.
Dal 26 giugno le piogge monsoniche hanno già ucciso più di 600 persone in Pakistan, Paese tra i più vulnerabili alle catastrofi climatiche. Basti ricordare il 2022, quando i monsoni devastarono il Paese causando quasi 1.700 morti.
Anche in India si contano vittime: nel Kashmir amministrato da Nuova Delhi, almeno 67 persone hanno perso la vita in diversi distretti colpiti da frane e alluvioni.
Centinaia di pellegrini sono stati evacuati da un santuario himalayano, mentre decine di dispersi vengono ancora cercati tra il fango e le macerie.
Queste tragedie non sono più “calamità naturali” nel senso tradizionale: sono il risultato di un clima alterato dall’uomo.
Monsoni più violenti, piogge più estreme, villaggi cancellati in poche ore. Sud Asia e Pakistan, tra i Paesi che meno contribuiscono alle emissioni globali, pagano invece il prezzo più alto.
Ogni alluvione è una lezione che il mondo sembra non voler imparare: senza una politica climatica seria, questi disastri diventeranno la norma, non l’eccezione.
Indonesia
Decine di persone sono rimaste ferite dopo che un terremoto di magnitudo 6.0 ha colpito l’isola centrale di Sulawesi, in Indonesia, domenica mattina presto (17 agosto), ha dichiarato l’agenzia nazionale per la mitigazione dei disastri (BNPB).
L’Indonesia si trova sul cosiddetto “Anello di fuoco del Pacifico”, una zona altamente sismica, dove diverse placche della crosta terrestre si incontrano e danno origine a numerosi terremoti.
Hong Kong
A Hong Kong il magnate pro-democrazia Jimmy Lai, 77 anni, ha iniziato le arringhe finali nel processo per sicurezza nazionale con un monitor cardiaco e farmaci contro le palpitazioni, dopo un malore in aula.
Fondatore del giornale Apple Daily, chiuso nel 2021 dopo un raid della polizia, Lai è detenuto in isolamento da quasi 1.700 giorni. È accusato di collusione con forze straniere e pubblicazione di materiale sedizioso, accuse che respinge.
Visibilmente dimagrito, ha salutato con un gesto di preghiera i suoi familiari e i sostenitori presenti in tribunale.
Il caso di Lai è seguito con allarme da governi occidentali: da Washington a Canberra si chiede il suo rilascio e si denunciano le derive autoritarie imposte da Pechino a Hong Kong. Le autorità locali ribadiscono invece che si tratta di un processo equo e avvertono contro “ingerenze esterne”.
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