15 novembre 2022 – Notiziario in genere

Scritto da in data Novembre 15, 2022

Nigeria: uccise perché accusate di stregoneria. A Lagos un rifugio per le persone Lgbtqi perseguitate. Il Consiglio per i diritti delle Nazioni Unite terrà una sessione urgente sull’Iran. Afghanistan: l’Ue condanna nuove restrizioni alla libertà di donne e bambine. Cop27, la Giornata del Genere: sì, l’impatto del cambiamento climatico è più pesante sulle donne. G20: da Women 20 l’appello per un «impegno nella lotta alla violenza di genere».

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Nigeria

“Morte alle streghe”

I militanti jihadisti di Boko Haram hanno ucciso venti donne su cui incombeva il sospetto di praticare la stregoneria. Decisione arrivata dopo che i figli di un comandante del gruppo jihadista nel nord-est della Nigeria sono morti improvvisamente. A raccontarlo, le famiglie delle vittime e una donna sopravvissuta. Il paese è diviso tra il nord a maggioranza musulmana, dove la legge islamica viene applicata accanto al sistema giudiziario, e il sud a maggioranza cristiana, dove la Chiesa conserva una notevole influenza. E da queste parti le accuse di stregoneria sono frequenti. La settimana scorsa una quarantina di donne sono state arrestate e detenute, riporta Afp su Le Monde, nel villaggio di Ahraza, vicino alla città di Gwoza, nello stato di Borno, per ordine del leader jihadista Ali Guyile. Quest’ultimo «ha detto che avrebbe indagato sul nostro coinvolgimento nella morte dei suoi figli e ci avrebbe punito se fossimo state giudicate colpevoli», racconta Talkwe Linbe. Ha 67 anni ed è sopravvissuta perché è riuscita a scappare nella capitale regionale, Maiduguri. «Giovedì ha ordinato di sparare a quattordici di noi. Sono stata fortunata a non essere una di loro, e con l’aiuto del mio compagno sono riuscita a fuggire», dice. Non si sa quale sia stato il destino delle altre detenute.

Il rifugio Lgbtqi+

Quando Muna e Mary si trasferirono ad Anambra, nel sud-est della Nigeria, pensavano di iniziare una nuova vita. Ma il sogno si è trasformato in un incubo, per questo ragazzo trans e la sua fidanzata: i vicini alle finestre, gli insulti, le minacce di stupro. Tanto che andare via è l’unica opzione. A raccontare la loro storia è Africanews con Afp. «Mi ha distrutto. Non sapevamo dove andare. Volevo uccidermi», racconta Muna, 26 anni, con le lacrime agli occhi. Oggi la coppia vive in una casa apparentemente come le altre, nascosta nel profondo di una “gated community” − un’area residenziale chiusa − in un sobborgo disagiato di Lagos. In realtà è uno dei pochi rifugi per le persone LGBT+ − si possono contare sulle dita di una mano − presenti nella vivace capitale economica della Nigeria. Una rara oasi di pace che accoglie gratuitamente otto uomini e donne gay, lesbiche, bisessuali o transgender per un periodo da tre a sei mesi. Persone respinte dalle loro famiglie, che vivono principalmente per conto loro ma che almeno, si legge ancora, non devono pagare l’affitto in un momento in cui la Nigeria, la più grande economia dell’Africa, sta attraversando una grave crisi economica a tre mesi dalle elezioni presidenziali. «Questo posto significa molto. Veniamo da una fase molto buia. Qui ci sentiamo amati e al sicuro, lontani dal pericolo», sussurra Muna, seduta su un divano nel soggiorno dove la luce del giorno filtra a malapena dalle tende. Nel 2014 il paese più popoloso dell’Africa − molto religioso − ha approvato una legge contro il “matrimonio tra persone dello stesso sesso”. Da allora, l’omosessualità è punibile con una reclusione da dieci a quattordici anni. La normativa, si legge ancora, è applicata raramente, ma ha legittimato intimidazioni e violenze diffuse contro la comunità LGBT+. Anche le forze dell’ordine sono spesso accusate di estorsioni e umiliazioni. L’omosessualità, come accade spesso anche in altri paesi africani, è vista come un qualcosa di “importato” dall’Occidente e contraria ai “valori” locali. E l’omofobia, in Nigeria, è ai massimi livelli.

Il rifugio, composto da tre stanze, è messo a disposizione dalla ong nigeriana La Crème de la Crème, che si batte in particolare per i diritti delle persone transgender. Accanto a Muna, davanti alla finestra aperta, Mary, 25 anni, ride all’idea di sua madre che chiede spesso a Dio «cosa ho fatto per meritare una figlia lesbica». «Quasi tutti sono omofobi. È divertente, questo paese è pieno di persone LGBT+ ma dobbiamo stare nascosti nell’armadio. E se uno di noi viene beccato…» Nel rifugio regnano la sfiducia e il silenzio. Ognuno racconta la sua storia a bassa voce, per paura di essere sentito. Il coordinatore, Richard, 26 anni, ammette che «nessuno parla con nessun altro». «Ma non dovremmo biasimarli, non sappiamo cosa hanno passato. Stiamo facendo del nostro meglio per assicurarci che siano in pace qui», dice. Una parola spiega questo clima di sfiducia e da sola suscita paura nella comunità LGBT+ nigeriana: “Kito”. Si riferisce alle tante foto, video e storie di umiliazione – e anche peggio – di gay nigeriani postati sui social media. Questa pratica comune, che prende di mira principalmente gli uomini gay, consiste nel creare un account falso su un’applicazione di incontri gay, in particolare Grindr, e “intrappolare” un “bersaglio” invitandolo da qualche parte. Una volta lì, la vittima, filmata, viene picchiata, umiliata, insultata, talvolta violentata e uccisa. Deve anche pagare somme considerevoli se vuole rimanere in vita.

Iran

Iran donne

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite terrà una sessione urgente sull’Iran: da più parti arriva la richiesta di un’indagine internazionale sulla repressione mortale delle proteste di massa che stanno scuotendo il paese. La sessione speciale sul “deterioramento della situazione dei diritti umani” è prevista per il 24 novembre. Le proteste in Iran, scatenate dalla morte della ventiduenne Mahsa Amini dopo che era stata arrestata per una presunta violazione delle rigide regole del paese sull’abbigliamento delle donne, basate sulla legge islamica della sharia, vanno avanti da otto settimane. Almeno trecentoventisei persone sono state uccise nella repressione delle proteste, secondo il gruppo Iran Human Rights (IHR) con sede a Oslo, poiché le manifestazioni si sono trasformate in un ampio movimento contro la teocrazia.

Afghanistan

L’Unione europea «condanna le ulteriori restrizioni imposte dai talebani alla libertà di movimento delle donne, incluse le norme annunciate di recente che ne vietano l’accesso ai parchi pubblici e alle palestre». A dire queste parole, in queste ore, è Peter Stano, portavoce dell’alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, in una nota. «Queste restrizioni si aggiungono alle già gravi violazioni da parte dei talebani dei diritti delle donne e delle ragazze afghane, in contraddizione con le promesse iniziali degli stessi».

Le donne e le ragazze afghane «rimangono prive dell’istruzione secondaria, devono affrontare restrizioni nei loro viaggi e spostamenti e sono escluse dalla maggior parte degli aspetti della vita pubblica ed economica. L’Ue chiede alle autorità de facto di onorare gli obblighi dell’Afghanistan, ai sensi del diritto internazionale, in particolare in merito a diritti umani, dei rifugiati e del diritto umanitario, e di garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutta la popolazione afghana».

https://twitter.com/ExtSpoxEU/status/1592166741077282817

Cop27

Ieri, alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, è stata la Giornata del Genere, con appuntamenti dedicati all’impatto del cambiamento climatico sulle donne (di bambini e bambine vi abbiamo raccontato qui). Una prospettiva poco conosciuta, ma che mette in evidenza come l’impatto sulle donne sia sproporzionato rispetto a quello sugli uomini. Con un focus particolare dedicato all’Africa e alla condizione femminile nel continente devastato dal cambiamento climatico.

G20

Alla vigilia del G20, il summit dei vertici delle venti nazioni più avanzate che sta per cominciare in Indonesia, a Nusa Dua, a Bali invece si è svolto in queste ore l’incontro del W20, il gruppo della società civile che si occupa di questioni di genere. Per l’Italia è intervenuta Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat. Il W20 individua in cinque punti le priorità da affrontare e chiede alle leadership di inserirle nella dichiarazione finale del G20.

«Combattere tutte le forme di discriminazione, dagli stereotipi che indirizzano i bambini e le bambine fin da piccoli in ruoli definiti all’uso delle nuove tecnologie, che non devono diventare strumento per la permanenza degli stereotipi, ma per liberarcene», si legge nel documento della delegazione italiana del W20. Un’altra richiesta è quella dell’eliminazione della violenza sulle donne «in tutte le sue forme, e per il ridimensionamento del carico di lavoro familiare sulle spalle delle donne». E più attenzione alla medicina di genere. La richiesta è quella di «sviluppare una sanità al servizio delle donne, garantendo servizi per la salute sessuale e riproduttiva adeguati ai bisogni e sviluppando la medicina di genere, con  la ricerca che tenga conto delle differenze biologiche e sociali tra uomini e donne che non sono state considerate neanche al momento dei vaccini anti-Covid», si legge nella nota. «Dobbiamo essere unite per lo sviluppo della libertà, della democrazia, dell’autodeterminazione nostra e dei popoli, contro tutte le disuguaglianze e le discriminazioni», dice da Bali Linda Laura Sabbadini. «Seguiamo l’esempio delle donne iraniane, che combattono contro la teocrazia degli ayatollah e prima o poi vinceranno». La quinta richiesta è quella di «potenziare la formazione per lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile, e sostegno in particolare nei primi anni di vita delle imprese».

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