19 dicembre 2023 – Notiziario in genere
Scritto da Angela Gennaro in data Dicembre 19, 2023
Perù, le donne rischiano la vita a causa del divieto di aborto. Nonostante la diminuzione complessiva, ancora una ragazza su cinque e quasi un ragazzo su sei sono coinvolti in matrimoni precoci in India. In Malawi dopo il ciclone le donne sono costrette a vendersi per sfamare la famiglia.
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Perù
Il divieto di aborto di Perù non impedisce alle donne e alle ragazze di ricorrere all’interruzione di gravidanza. Lo testimoniano le attiviste femministe a openDemocracy. Ma sta mettendo in pericolo le loro vite.
È stato questo il caso di Valeria (tutti i nomi sono di fantasia), una giovane di 23 anni della città di Ayacucho, nel sud del Perù, che si è ammalata dopo aver acquistato false pillole abortive al mercato nero nel 2019.
“C’è una strada ad Ayacucho nota per gli aborti: lì ho trovato un numero per chiamare per le pillole e ne ho comprate nove”, ha detto a openDemocracy. “Ognuna costava 37 soles (10 dollari). Il mio ragazzo non si è assunto alcuna responsabilità e ho risparmiato i soldi da sola”.
A Valeria è stato detto che le pillole erano Misoprostolo, un farmaco per le ulcere allo stomaco che provoca contrazioni nell’utero ed è raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il farmaco più sicuro per indurre l’aborto. In Perù si può acquistare in farmacia contro l’ulcera allo stomaco dietro prescrizione del medico.
Di pillole per abortire in sicurezza ne sarebbero servite 12, ma Valeria non lo sapeva. Ha avuto qualche sanguinamento dopo aver preso le pillole e pensava che il processo fosse andato bene. Ma due settimane dopo, ha iniziato a sanguinare di nuovo ed è arrivata la febbre. “Le pillole non erano efficaci, sembra che fossero false”, ha detto Valeria, aggiungendo: “Avevo paura di dirlo a mia madre o di andare in ospedale”.
Valeria ha preso in prestito dei soldi ed è andata in una clinica illegale, dove le è stato offerto un aborto chirurgico, ma le è costato 400 soles (106 dollari).
Quando è riuscita a raccogliere abbastanza soldi, Valeria era incinta di 20 settimane ed era disperata. Ha detto: “Non sapevo se [la donna che ha eseguito l’aborto] fosse un medio, non volevo chiedere nulla, volevo solo che quell’incubo finisse”.
Per Valeria, mettere in pericolo la propria vita con un aborto al mercato nero era l’unica opzione. Gli aborti sono consentiti in Perù solo quando una commissione medica afferma che la salute o la vita della persona incinta sono in pericolo e sono illegali in tutte le altre circostanze, compreso quando una gravidanza è il risultato dello stupro di una donna o di una bambina.
La situazione nel paese
Abortire è punibile con una pena detentiva fino a cinque anni. Più spesso, però, coloro che vengono condannate ricevono una pena sospesa, sono condannate a pagare una multa e a presentarsi regolarmente presso una stazione di polizia o un tribunale per un determinato numero di anni.
Nonostante il divieto, uno studio del 2005 stimava che ogni anno in Perù venissero effettuati 370mila aborti. Secondo un sondaggio del 2018 del Centro per la promozione e la difesa dei diritti sessuali e riproduttivi, una donna su cinque di età compresa tra i 18 e i 49 anni ha avuto almeno un aborto.
Gli aborti non sicuri sono la quarta causa di morte materna in Perù: ogni anno tra le 50 e le 70 donne muoiono per complicazioni post-aborto.
L’ultima volta che i politici peruviani hanno preso in considerazione la depenalizzazione dell’aborto per le vittime di stupro è stata nel 2014, ma il disegno di legge è stato accantonato l’anno successivo per mancanza di sostegno. Il mese scorso il Congresso ha approvato una legge che garantisce agli embrioni e ai feti i diritti di personalità, compreso il diritto all’identità.
Il paese attraversa una grave crisi politica da quando l’ex presidente Pedro Castillo ha tentato di sciogliere il Congresso lo scorso dicembre (finendo per essere estromesso e imprigionato). I legislatori ultraconservatori detengono la maggioranza dei seggi al Congresso.
“In un contesto di crisi democratica, di fronte a posizioni conservatrici, noi donne finiamo per essere le più danneggiate, insieme alla popolazione LGTBIQ+; i diritti e le politiche sessuali e riproduttive finiscono per non essere applicati”, spiega a openDemocracy Elga Prado, coordinatrice della sessualità e dell’autonomia corporea per il gruppo femminista Movimento Manuela Ramos.
Prado aggiunge: “L’aborto significa discriminazione. Le donne che hanno risorse possono accedere a luoghi dove la loro vita non è a rischio, ma le donne, le ragazze e le adolescenti che non hanno soldi sono costrette a rischiare la vita in luoghi clandestini”.
Ha raccontato a openDemocracy di una madre single di 34 anni con due figli, che è stata violentata da un capo in una fattoria locale ed è rimasta incinta. “È andata in un luogo clandestino, ha avuto una grave complicazione e non l’ha detto a nessuno finché non è stata in pericolo”, spiega Prado. “Era già affetta da necrosi degli arti inferiori, che ha dovuto essere amputata”.
Dal 2005, il Perù è stato osservato quattro volte dagli organismi delle Nazioni Unite per la violazione dei diritti umani di ragazze e adolescenti costrette a partorire dopo essere state violentate.
Il fatto che la salute e la vita delle minori siano messi in pericolo dalle gravidanze causate da stupro significa che i loro aborti potrebbero essere considerati legali – un fatto di cui oltre il 70% dei centri sanitari pubblici non è a conoscenza, secondo un rapporto del 2021 dell’ufficio del difensore civico.
Prado ha raccontato a openDemocracy di una ragazza di 14 anni che è rimasta incinta dopo essere stata violentata dal patrigno e ha cercato un cosiddetto “aborto terapeutico”, che sarebbe stato consentito sulla base del fatto che continuare la gravidanza avrebbe minacciato la sua salute mentale e messo la sua vita a rischio.
Vedendosi rifiutato l’aborto da parte di una commissione medica, la ragazza è andata con la madre a chiedere aiuto al Centro Emergencia Mujer, che fornisce informazioni alle vittime di violenza di genere
Lì, il personale “ha detto alla madre e alla ragazza di non ricorrere a un aborto terapeutico, poiché avrebbero perso ogni possibilità di avere prove per denunciare l’aggressore e ottenere giustizia”, spiega Prado.
Con il sostegno del Movimento Manuela Ramos, la ragazza alla fine è riuscita ad abortire dopo che un’altra commissione medica ha concordato una diagnosi psichiatrica secondo la quale la sua vita era a rischio.
Ma Prado ha affermato che i rifiuti e le rivendicazioni come quelle avanzate dal Centro Emergencia Mujer sono comuni nelle zone rurali. Ha aggiunto che il Movimento Manuela Ramos ha visto le autorità dire a donne e ragazze che andranno in prigione se abortiscono, indipendentemente dalle circostanze.
“Gli uffici pubblici sono gestiti da persone che, invece di garantire i diritti, li bloccano”, spiega Prado. Quando una paziente arriva in un ospedale peruviano dopo un aborto fallito, ha detto, “l’operatore sanitario non salvaguarda la sua vita, ma giudica la donna e cerca la polizia per cercare di farla parlare”.
Un sondaggio condotto quest’anno da Ipsos in Perù ha rilevato che il 69% della popolazione ritiene che l’aborto dovrebbe essere depenalizzato in caso di stupro, mentre il 41% è favorevole a renderlo legale in “tutti” o “la maggior parte dei casi” – un aumento di 10 punti percentuali rispetto allo scorso anno.
La società civile
L’attivista femminista Antihoraria è diventata una compagna di persone che cercano di abortire attraverso il gruppo di sostegno La Biblioteca dopo essersi trovata in una situazione simile a Valeria nel 2014.
“La persecuzione e lo stigma non impediscono a una donna di prendere la decisione di abortire, la mettono semplicemente all’angolo”, spiega a openDemocracy. “Nessuna donna vuole abortire perché è un processo doloroso, ma o è così oppure è maternità forzata e dobbiamo avere la possibilità di scegliere”.
Antihoraria e altri membri della Biblioteca collaborano con altre organizzazioni femministe e utilizzano manifesti e volantini anonimi per pubblicizzare il loro lavoro. Una volta ricevuto un messaggio da una donna, con controlli medici e un’ecografia verificano le settimane di gestazione ed escludono con gli esami un’eventuale gravidanza extrauterina. Se tutto va bene, organizzano la consegna delle pillole e danno istruzioni su come assumerle in sicurezza.
La parte più difficile del lavoro del gruppo, spiega Antihoraria, è sostenere le adolescenti provenienti da zone rurali e a basso reddito che non vogliono che le loro famiglie scoprano le gravidanze ma spesso condividono la camera da letto con i parenti o vivono in case senza bagno. Gli attivisti organizzano laboratori o attività che danno alle ragazze una scusa per uscire di casa per una notte per abortire.
Il supporto offerto da The Library e da altre organizzazioni simili è rischioso per Antihoraria e i suoi colleghi. Aiutare qualcuno ad abortire è un crimine punibile fino a quattro anni di prigione, anche se non ci sono prove che i compagni e le compagne del gruppo di sostegno siano mai stati perseguiti. I e le attiviste però si guardano bene dal consegnare mai le pillole da soli, e dal non farle mai consegnare al partner, ai parenti o agli amici delle donne.
Più comune, però, è la persecuzione da parte degli attivisti anti-aborto. I componenti di un altro gruppo affine, Serena Morena, hanno spiegato a openDemocracy di essere spesso molestati online e di essere stati etichettati come “assassini” e accusati di “commercio di feti”. “Minacciano di trovarci e di mandarci in prigione”.
“Ho avuto molta paura una volta, quando una ragazza è arrivata con un uomo e ha iniziato a fare domande su chi ci finanziava, cosa facevamo per vivere”, ha detto Antihoraria. “Non le ho dato le pillole e sono riuscito a scappare in moto, non ci ha mai più contattato.”
Ma nonostante i rischi, Antihoraria e il suo gruppo non smetteranno di aiutare le donne bisognose e di lottare affinché l’aborto venga depenalizzato. Un simile cambiamento di legge, ha detto, “non significherà che le donne abortiranno di più, salverà solo vite umane”.
India
Il fenomeno del matrimonio precoce, ovvero il problema delle spose bambine (ma anche degli sposi bambini), violazione dei diritti umani e forma riconosciuta di violenza, ha registrato una diminuzione in India. Ma, secondo quanto emerge da uno studio condotto dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston e pubblicato sulla rivista Lancet Global Health, la pratica persiste: una ragazza su cinque e quasi un ragazzo su sei sono ancora coinvolti in matrimoni precoci in tutto il paese.
Negli ultimi anni si è verificato un aumento del fenomeno in alcuni Stati/territori dell’Unione, nonostante la tendenza nazionale alla diminuzione. Il matrimonio infantile tra le ragazze è sceso dal 49% nel 1993 al 22% nel 2021, mentre per i ragazzi è passato dal 7% nel 2006 al 2% nel 2021.
Ma si è notato che il progresso nell’arrestare questa pratica si è rallentato, con riduzioni più significative tra il 2006 e il 2016 e una diminuzione meno marcata tra il 2016 e il 2021. In particolare, alcuni Stati/territori dell’Unione hanno registrato un aumento del matrimonio infantile per entrambi i sessi. Alla fine del 2021, più di 13,4 milioni di donne e oltre 1,4 milioni di uomini di età compresa tra 20 e 24 anni erano stati fatti sposare da bambini e bambine.
Questi risultati evidenziano che, nonostante la diminuzione complessiva, ancora una ragazza su cinque e quasi un ragazzo su sei sono coinvolti in matrimoni precoci in India, sottolineando la necessità di un ulteriore impegno per contrastare questa violazione dei diritti umani. L’autore principale dello studio, Jewel Gausman, ha sottolineato la preoccupante stagnazione degli sforzi degli Stati/territori dell’Unione nel contrastare questo fenomeno.
Malawi
Sono passati nove mesi da quando il ciclone Freddy ha colpito il Malawi due volte in sei giorni. Il ciclone ha provocato inondazioni e smottamenti in tutto il paese, uccidendo più di 1.000 persone e sfollandone quasi 700mila. Danni che hanno cambiato completamente la vita a Grace (nome di fantasia), un’agricoltrice di sussistenza di 29 anni di Najawa, nel devastato distretto meridionale di Machinga.
“L’acqua ha distrutto la nostra casa e i nostri raccolti. Avevo un ettaro di mais e due appezzamenti di riso, ma non ho raccolto nulla”, afferma. “Tutto è stato spazzato via”. Leggiamo la sua storia dal Guardian.
Nel disperato bisogno di cibo, Grace ha iniziato a vendere sesso per la prima volta nella sua vita. Oggi, sulle rive del Lago Chiuta, dove i pescatori vendono chambo (tilapia) e milamba (pesce gatto), sta cercando nuovi clienti tra i commercianti.
“È spaventoso, ma lo faccio perché non ho altri mezzi per trovare soldi per sopravvivere”, dice. “Ho tre figli che dipendono da me, e anche i miei genitori”.
Non è sola. È una delle tante donne di Najawa, un villaggio di poco più di 1.000 persone, che vendono sesso da quando il ciclone Freddy ha spazzato via le loro fattorie.
L’agricoltura in Malawi
In Malawi, le donne costituiscono il 70% della forza lavoro agricola e spesso hanno la responsabilità della sicurezza alimentare delle famiglie. Dopo che il ciclone ha distrutto 1.790 kmq (440mila acri) di terreno agricolo, molti e molte hanno dovuto trovare altri modi per provvedere alle proprie famiglie.
“Tutti i disastri naturali vedono una questione di genere, e sono le donne a sopportarne il peso”, ha affermato Caleb Ng’ombo, direttore di People Serving Girls at Risk, un’organizzazione malawiana che lavora per proteggere giovani donne e ragazze dallo sfruttamento sessuale.
Secondo il suo staff, il numero di donne che lavorano nella prostituzione è “quasi triplicato” dopo il ciclone Freddy. L’organizzazione ha fornito consulenza a 187 giovani donne e ragazze nel 2023, rispetto alle 56 del 2022.
“Vogliono mettere il cibo in tavola”, dice Ng’ombo. “Alcune di loro pensavano che entrare nella prostituzione fosse sicuro perché potevano guadagnarsi da vivere”.
Ma la sopravvivenza non è garantita, e nemmeno la sicurezza, dice Ng’ombo. Le donne di Najawa chiedono solo 2.000 kwacha malawiani (circa 95 centesimi) per una notte con il cliente, o 500 kwacha per “un breve periodo”, ma molti dei loro clienti diventano aggressivi dopo aver fatto sesso e cercano di pagare di meno, mentre alcuni si rifiutano del tutto di pagare. Altri chiedono rapporti sessuali non protetti.
Lo status
In Malawi c’è anche poca comprensione riguardo allo status legale del lavoro sessuale. Non è illegale, ma i reati correlati sono spesso usati come motivo per prendere di mira, molestare e arrestare le lavoratrici del sesso, il che rende difficile per le donne denunciare alla polizia eventuali crimini contro di loro.
Natasha dice: “Cerchiamo di negoziare per un sesso sicuro, ma alcuni clienti ostili lo negano, quindi accettiamo anche se non conosciamo il loro stato [di salute sessuale].
“Molto spesso incontriamo clienti che hanno bevuto alcolici e diventano violenti e abusano di noi in un modo o nell’altro. Ma poiché vogliamo soldi per comprare i beni di prima necessità per noi e per i bambini e le bambine, ci arrendiamo”.
Pauline Kaude, del ministero delle questioni di genere del Malawi, ha affermato che il governo sta ricostruendo le infrastrutture e gli alloggi per aiutare le donne colpite dalla tempesta a ripristinare i loro mezzi di sussistenza, ma è d’accordo sul fatto che il ciclone Freddy ha aumentato la povertà e il peggioramento dell’insicurezza alimentare ha portato a un aumento del lavoro sessuale.
“[Le donne] non riescono a soddisfare i bisogni scolastici e le risorse per le persone a loro carico”, afferma. “La maggior parte delle ragazze ha lasciato la scuola per lavorare, per sposarsi o per vendere sesso in cambio di denaro per sopravvivere”.
Nel 2021, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici ha previsto che l’aumento delle temperature avrebbe reso i cicloni tropicali più umidi e più intensi, e negli ultimi decenni il Malawi ha sperimentato precipitazioni irregolari, siccità e un aumento medio delle temperature di 0,9°C (1,62°F) a causa del clima.
Secondo il più recente Global Climate Risk Index, il Malawi è ora tra i cinque paesi al mondo più colpiti da eventi meteorologici estremi. Con venti superiori a 160 miglia all’ora (260 km/h).
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