2 maggio 2020 – Notiziario Orientale

Scritto da in data Maggio 2, 2020

  • Cina, gli Stati Uniti considerano misure più aggressive per colpire il Dragone
  • Corea del Nord, il leader Kim Jong Un è vivo (in copertina)
  • Giappone, il governo Abe vuole estendere lo stato di emergenza
  • Hong Kong, ieri nuove proteste e scontri tra manifestanti e polizia
  • Malesia: oltre 700 migranti presi in custodia come misura per contenere il coronavirusQuesto e altro nel Notiziario Orientale di Radio Bullets a cura di Serena Console

 

Cina

La tensione è ancora alta tra Stati Uniti e Cina, con Washington che minaccia di riaccendere una guerra commerciale con Pechino in risposta all’origine del coronavirus nel Dragone.  Alti funzionari dell’amministrazione Trump per questo si stanno muovendo per prendere una posizione più aggressiva contro la Cina su questioni economiche, diplomatiche e scientifiche compromettendo i rapporti diplomatici che hanno raggiunto il punto più basso negli ultimi decenni. Tra queste misure, si riconosce quella di bloccare un fondo governativo che permetterebbe di investire in società cinesi. L’amministrazione sta tagliando inoltre le sovvenzioni che aiuterebbero a sostenere i laboratori di virologia a Wuhan. Seguendo le accuse degli ultimi giorni, la Comunità di intelligence americana continuerà a esaminare rigorosamente tutte le informazioni per determinare se l’epidemia è iniziata attraverso il contatto con animali infetti o se è stato il risultato di un incidente in un laboratorio a Wuhan. Intanto varie agenzie governative si starebbero coordinando per presentare a Pechino una richiesta di risarcimento. (NYT)

 

Chen Jieren, un giornalista cinese che ha lavorato per alcuni dei più potenti quotidiani statali del paese è stato incarcerato per 15 anni dopo essere stato accusato di aver criticato il Partito Comunista. Secondo una sentenza del tribunale della provincia dello Hunan, Chen è stato condannato giovedì per estorsioni, operazioni commerciali illegali, corruzione e altri crimini. Tra questi, c’è anche l’accusa di sedizione, un elemento che molto spesso le autorità cinesi usano contro le persone che criticano il regime. Secondo l’accusa, Chen, lavorava per il Quotidiano del Popolo, il principale organo del partito, è stato dichiarato colpevole di aver pubblicato informazioni false e diffamatorie sul suo account WeChat. (SCMP)

 

Corea del Nord

La notizia che attendevamo da 21 giorni finalmente è arrivata. Il leader nordcoreano Kim Jong Un è vivo. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa di Stato della Corea del Nord, Kim ieri avrebbe partecipato all’inaugurazione della fabbrica di fertilizzanti di Sunchon, vicino alla capitale Pyongyang. Attenzione però: il fatto che sia ritornato in pubblico non significa che non sia stato bene. Anche sei anni fa, nel 2014, Kim era sparito dai riflettori mediatici ed è poi apparso affaticato e con evidenti problemi di mobilità.  Il leader di Pyongyang non compariva sui media ufficiali dall’11 aprile e la sua assenza dai riflettori ha alimentato forti speculazioni su dove fosse. In particolare dopo che ha disertato la celebrazione del compleanno di suo nonno, fondatore della nazione comunista, Kim Il Sung, lo scorso 15 aprile. (NKNews)

 

Giappone

Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha dichiarato ieri che il governo sta pensando di estendere di un mese lo stato di emergenza dichiarato per la pandemia di coronavirus. Abe ha messo in atto uno stato iniziale di emergenza di un mese per sette regioni il 7 aprile, espandendolo in seguito in tutto il paese.  Il governo Abe dovrebbe prendere una decisione entro il 4 maggio, anche perché lo stato  d’emergenza scadrà il 6 maggio. Il premier giapponese ha affermato che finora il Giappone è riuscito a evitare il forte aumento delle infezioni osservate in altre parti del mondo, ma considera necessaria ancora tanta vigilanza.  Lo stato di emergenza è significativamente meno restrittivo rispetto alle misure osservate in alcune parti dell’Europa e degli Stati Uniti. Consente ai governatori di sollecitare le persone a rimanere a casa e di chiedere alle aziende di rimanere chiuse. Ma i funzionari non possono costringere i cittadini a conformarsi e non ci sono punizioni per coloro che non lo fanno. (StraitsTimes)

Hong Kong

In occasione del Primo Maggio, c’è stata una protesta di manifestanti prodemocratici a Hong Kong. Già dalla scorsa settimana, le autorità avevano vietato qualsiasi manifestazione in programma per la giornata dei lavoratori, facendo appello alla norma sul distanziamento sociale imposto per il coronavirus. Secondo quanto riportato dai media locali, ieri sono stati impiegati 3000 poliziotti in tenuta antisommossa per sedare le proteste all’interno del centro commerciale New Town Plaza nel distretto cinese di Sha Tin. I manifestanti hanno protestato contro l’ingerenza di Pechino nell’ex colonia britannica. La polizia ha fatto uso di spray al peperoncino per disperdere le persone. Molte di queste sono state multate per non aver rispettato le misure per il contenimento del contagio del coronavirus. Nelle prossime settimane sono attese diverse manifestazioni per presentare le istanze fatte durante le proteste prodemocratiche dello scorso anno.

 

Malesia

Le autorità malesi hanno preso in custodia oltre 700 migranti privi di documenti, tra cui bambini piccoli e rifugiati di etnia rohingya del Myanmar, come parte degli sforzi per contenere la diffusione del coronavirus. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno denunciato che centinaia di migranti e richiedenti asilo sono stati arrestati nella capitale Kuala Lumpur. L’operazione mira a impedire ai migranti privi di camminare liberamente in diverse aree della città. Le persone, ora detenute, sarebbero state collocate in un’unica area per essere monitorati. Gli arresti sono seguiti dopo che è montato un sentimento pubblico negativo per la presenza di stranieri, in particolare i rifugiati rohingya. In molti in Malesia accusano i migranti di diffondere il coronavirus e di essere un peso per le risorse statali. La Malesia ha circa 2 milioni di lavoratori stranieri registrati, ma le autorità stimano che molti altri vivano nel paese del sud-est asiatico senza documenti adeguati. La Malesia non riconosce formalmente i rifugiati, considerandoli migranti illegali.

 

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