20 febbraio 2024 – Notiziario in genere
Scritto da Angela Gennaro in data Febbraio 20, 2024
Israele, incriminata la sorella di Arouri, il n.2 di Hamas ucciso a Beirut. Stati Uniti, il funerale della discordia. “Voglio essere la migliore”: Hattan Alsaif è la donna saudita che ha fatto la storia delle MMA.
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Israele
La sorella di Saleh al-Arouri – il n. 2 di Hamas, assassinato a Beirut all’inizio di gennaio – è stata incriminata in Israele per aver sostenuto attivamente Hamas e per aver inoltrato fondi secondo indicazioni ricevute del fratello. Ne ha dato notizia la polizia israeliana.
Dallal Suleiman, 52 anni, è stata arrestata a fine gennaio nella propria abitazione vicino a Ramallah, in Cisgiordania, e da allora è stata oggetto di indagini.
Nell’aprile 2023, secondo l’atto d’accusa, si sarebbe recata in Arabia Saudita e lì avrebbe incontrato alcuni dirigenti di Hamas: tra loro Ismail Haniyeh e Khaled Meshal.
Avrebbe poi, sempre secondo le accuse di Israele, espresso aperto sostegno alle attività dell’ala militare di Hamas, compreso l’attacco del 7 ottobre.
Stati Uniti
I banchi della Cattedrale di San Patrizio erano gremiti giovedì per un evento senza precedenti nella storia cattolica: il funerale di Cecilia Gentili, attivista e attrice transgender, ex prostituta e atea autoproclamata, il cui memoriale fungeva sia da celebrazione della sua vita che da esuberante pezzo di teatro politico. Lo racconta il New York Times.
Oltre 1.000 persone in lutto, diverse centinaia di persone transgender, sono arrivate in abiti audaci: minigonne scintillanti e top all’americana, calze a rete, sontuose stole di pelliccia e almeno un boa cucito da quelle che sembravano banconote da 100 dollari. Le cartoline della messa e un’immagine vicino all’altare mostravano una signora Gentili aureolata circondata dalle parole spagnole per “travestita”, “puttana”, “beata” e “madre” sopra il testo del Salmo 25.
Il funerale della discordia
https://www.youtube.com/watch?v=Rtuocj8bKOs
La Cattedrale di San Patrizio ha ospitato il funerale di un’attivista transgender di alto profilo, ben nota per la sua difesa a favore delle prostitute, delle persone transgender e delle persone che vivono con l’HIV.
Non molto più di una generazione fa, al culmine della crisi dell’AIDS, la cattedrale è stata un punto critico nei conflitti tra l’attivismo lgbtqia+ e la Chiesa cattolica, la cui opposizione all’omosessualità e all’uso del preservativo ha fatto, racconta il NYT, infuriare la comunità.
L’imponente edificio neogotico è diventato il luogo di proteste da prima pagina in cui gli e le attivist* si sono incatenat* ai banchi e si sono sdraiat* nei corridoi.
La chiesa ha ammorbidito i toni su questi temi negli ultimi anni, e l’attuale cardinale di New York, Timothy Dolan, ha detto che la chiesa dovrebbe essere più accogliente nei confronti dei gay.
Mercoledì ha detto che “se arriva una richiesta per un funerale da parte di un cattolico, la cattedrale fa del suo meglio per accoglierla”.
New York City ospita circa una dozzina di parrocchie cattoliche gay-friendly, ma la Cattedrale di San Patrizio, sede dell’arcidiocesi, non è una di queste.
Ceyenne Doroshow, che ha organizzato il funerale, ha detto che gli amici della signora Gentili – morta il 6 febbraio a 52 anni – avrebbero voluto che la cerimonia fosse a San Patrizio perché “è un’icona, proprio come lei”. Ma ha aggiunto di non aver menzionato il fatto che la signora Gentili fosse transgender quando ha preso accordi con la chiesa. “In un certo senso l’ho tenuto nascosto”, ha detto.
“Sacrilegio”
La morte della signora Gentili è avvenuta in un momento politicamente difficile per le persone transgender, poiché gli stati di tutto il Paese limitano il loro accesso all’assistenza sanitaria e agli alloggi pubblici.
I gruppi religiosi hanno svolto un ruolo attivo, ma allo stesso tempo Papa Francesco ha compiuto passi verso l’inclusività, affermando l’anno scorso che le persone transgender possono essere battezzate, servire come padrini ed essere testimoni ai matrimoni in chiesa.
Joseph Zwilling, portavoce dell’arcidiocesi cattolica romana di New York, non aveva inizialmente risposto alle domande sul fatto se la chiesa fosse a conoscenza del passato della signora Gentili quando ha accettato di ospitare il suo funerale.
“Sapevamo soltanto che famiglia e amici avevano richiesto una messa funebre per una persona cattolica. Non avevamo idea che il nostro benvenuto e le nostre preghiere sarebbero state degradate in modo così sacrilego e ingannevole”, ha detto nei giorni successivi il parroco Enrique Salvo, dopo le proteste di gruppi di cattolici tradizionalisti. L’arcidiocesi quindi sostiene di fatto di essere stata raggirata.
Arabia Saudita
L’artista marziale mista saudita, che ha appena firmato per la PFL, condivide il dolore che ha dovuto affrontare nella sua vita e come ha trovato la sua vocazione nell’MMA. L’intervista di Al Jezeera.
Alla fine di gennaio, Hattan Alsaif è diventata la prima combattente donna dell’Arabia Saudita a iscriversi a un’importante promozione globale di arti marziali miste (MMA), la Professional Fighters League (PFL).
Alsaif, 22 anni, ha vinto l’oro ai Campionati mondiali della Federazione internazionale delle associazioni di Muaythai del 2023, dove è stata premiata come Atleta femminile rivoluzionaria. L’anno scorso ha ottenuto il primo posto anche ai World Combat Games e ai Saudi Games.
Ma anche il suo viaggio fuori dal ring ha conquistato i titoli dei giornali.
I genitori di Alsaif hanno divorziato subito dopo la sua nascita e lei è cresciuta a casa di sua nonna. Quando aveva solo 10 anni, entrambi i genitori di Alsaif sono morti nel giro di 10 mesi. Ha trascorso anni convivendo con la depressione e ha tentato il suicidio in diverse occasioni.
In una conversazione con Al Jazeera Alsaif condivide le sue lotte, la sua ferita e il suo dolore durante la crescita, la perdita dei suoi genitori e come ha trovato la sua vocazione nelle MMA.
“Nata per combattere”
“È una delle cose più grandi che siano successe nella mia vita. È anche una responsabilità molto grande e devo prenderla sul serio e con attenzione. Rappresenterò il mio paese, la mia famiglia, la mia squadra e anche ogni altra donna saudita. È una cosa enorme e sono sicura di essere la persona giusta per farlo”.
“Mi dico sempre che sono nata per combattere, è il mio percorso, la mia carriera, il mio destino, il mio hobby, la mia vita, il mio tutto”, racconta ancora. “Faccio sempre del mio meglio e mi uccido per farlo”.
Alsaif racconta di aver scoperto le arti marziali piuttosto tardi. “Mentre altri e altre combattono da cinque a sette anni, per me non sono passati nemmeno tre anni”.
Orfana
Fin dal primo giorno di allenamento si è sentita a casa in palestra. “Dopo aver perso i miei genitori, mi sono detta che non avevo più niente da perdere”, racconta ancora. “I genitori ti guidano verso il paradiso, ti aiutano nella tua vita a diventare una brava persona e perderli è come perdere tutta la tua vita. Non c’è nessuno che ti guidi o preghi per te. Così ho deciso di rischiare. Stavo cercando di essere responsabile di me stessa”.
Dopo il divorzio, racconta ancora, i genitori avevano le loro famiglie. “Ero da sola. Quando mi sono ammalata, ho dovuto prendermi cura di me stessa. Quando andavo a scuola, mi pettinavo i capelli da sola. Penso che sia quella vita che [mi ha aiutata] ad assumere questa responsabilità per me stessa”.
Dopo aver perso i genitori, “mi stavo vendicando della vita. Ero sempre arrabbiata, litigavo con tutti e sfogavo la mia rabbia ovunque a causa di quello che succedeva”.
Ha provato molte altre strade: scrivere, disegnare, pattinare, correre, ballare, cucinare e altre cose. “Ma non mi sono mai ritrovata. Semplicemente non sentivo di essere nel posto giusto o di poter dimostrare quanto sono brava. Ma da quando sono entrata nel mondo delle arti marziali, ho capito che è il posto in cui posso mettere la mia depressione, la rabbia, la vendetta, tutto. E finisci per respirare normalmente”.
L’allenamento
Non ci sono ancora molte ragazze che praticano le arti marziali in Arabia Saudita, ricorda. “Quindi mi sto allenando con i ragazzi in palestra. Non solo hanno più esperienza di me, ma sono anche più potenti”.
L’allenatore “diceva sempre loro di non andarci piano con me e di prendermi a pugni e ferirmi. Se mi danno un pugno forte, farò del mio meglio per dare un pugno più forte. Piango due volte a settimana per il dolore. È immenso”.
Ci sono danni mentali oltre che fisici. “Piango ma poi mi asciugo le lacrime con i guanti e completo il mio allenamento. Non c’è modo di fermarsi. Piangerò e continuerò ad allenarmi. Mi farò male, i miei occhi diventeranno blu, il mio corpo avrà molte cicatrici ma andrò avanti. Questo mi fa sentire chi sono”.
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