21 settembre 2021 – Notiziario in genere
Scritto da Radio Bullets in data Settembre 21, 2021
Cina, è nata e sta bene la prima bimba concepita dopo un trapianto di tessuto ovarico. La regina degli scacchi? È sessista. Parola di una leggendaria campionessa Urss, che fa causa a Netflix e chiede 5 milioni. Serbia: a Belgrado no-vax scatenati contro il Gay Pride. Spagna, aperta un’inchiesta sul corteo anti-Lgbtq a Madrid. La pandemia di coronavirus ha peggiorato il gap tra donne e uomini: per UN Women, nel 2019-20 persi dalle donne 54 milioni di posti di lavoro.
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Cina
Li, una donna con la sindrome mielodisplastica poi sottopostasi a un trapianto di midollo osseo, ha dato alla luce la prima bambina dopo una gravidanza naturale che ha avuto luogo in seguito a un trapianto di tessuto ovarico crioconservato. La bimba sta bene. Nel 2016 la donna aveva deciso di conservare parte del suo tessuto ovarico proprio prima di ricevere un trapianto di midollo osseo, racconta il suo medico Ruan Xiangyan, direttore del reparto di endocrinologia del Beijing Obstetrics and Gynecology Hospital, secondo quanto ricostruisce l’agenzia Xinhua. Allora la donna aveva 29 anni e le era stata diagnosticata la sindrome mielodisplastica per la quale il trapianto di midollo osseo è l’unica cura. Interventi che però portano gravi danni alla funzione ovarica, causando una insufficienza ovarica precoce nella quasi totalità dei casi.
Il tessuto ovarico crioconservato è stato poi trapiantato su Li tre anni fa, nel 2018. Ora sua figlia, 3,345 kg e 49 cm di bimba, è nata e sembra stare benissimo. «La tecnologia di base del trapianto di tessuto ovarico congelato è la crioconservazione», dice il medico. «In situazioni di emergenza, la crioconservazione e il trapianto di tessuto ovarico sono l’unico modo per proteggere e preservare la capacità di riproduzione in queste pazienti che sono in età fertile». Grazie a questa tecnica, spiega ancora, la fertilità di una paziente e la normale funzione endocrina ovarica possono essere prolungate fino a 30 anni.
Stati Uniti
Nona Gaprindashvili, ex campionessa e leggenda degli scacchi, ha fatto causa a Netflix chiedendo 5 milioni di dollari per la serie tv La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit). Al centro dell’azione giudiziaria avviata in una corte federale di Los Angeles c’è l’ultimo episodio della serie. Ovvero quando la protagonista Beth Harmon, interpretata da Anya Taylor-Joy, si reca a Mosca per una serie di incontri di scacchi contro campioni sovietici. Qui viene pronunciata da un personaggio la frase: «Elizabeth Harmon non è affatto una giocatrice importante… l’unica cosa inusuale è il suo sesso. E anche questo non è unico in Russia. C’è Nona Gaprindashvili, ma lei è una campionessa femminile di scacchi e non ha mai sfidato uomini». Ecco: non è vero − dice e ricorda l’oggi 80enne campionessa georgiana, che oggi vive proprio in Georgia, a Tbilisi − che «non ha mai giocato contro uomini». La leggenda degli scacchi ha infatti sfidato decine di giocatori di sesso maschile: 59 per la precisione, ricostruisce il ricorso stesso, di cui 28 in incontri simultanei, e 10 gran maestri prima del 1968, anno in cui la serie tv è ambientata. Per questo Neflix viene citata per danni, a causa di una «devastante falsità, che mina e degrada i suoi risultati davanti a un’audience di milioni di persone». Non solo: nell’azione legale si ricorda che la campionessa è appunto di origine georgiana, mentre viene ritratta come russa. «Stavano tentando di fare questo personaggio di finzione che stava aprendo la strada per altre donne, quando in realtà io lo avevo già fatto e avevo ispirato generazioni», spiega Gaprindashvili a The New York Times.
Serbia
A Belgrado, in Serbia, l’altrimenti pacifico e colorato corteo del Gay Pride è stato interrotto da alcune decine di no-vax che hanno protestato nel centro della città e contestato i partecipanti alla manifestazione per i diritti Lgbtq+. Secondo le ricostruzioni dei media locali le forze dell’ordine sono dovute intervenire per placare i contestatori, prodottisi nel lancio di uova, fiaccole e altri oggetti contro la polizia. Lanci sono avvenuti anche contro alcuni giornalisti e giornaliste presenti, mentre si sono registrati tafferugli anche vicino alla sede del governo. A manifestare c’erano anche integralisti religiosi che si definivano “inorriditi” dal Pride e mostravano delle icone: la polizia ha disperso i contestatori in tarda serata.
Spagna
Gli attacchi sono stati condannati da tutte le forze politiche e la procura della capitale spagnola ha aperto un’inchiesta: si parla del corteo che ha avuto luogo sabato scorso nel centro di Madrid, durante il quale sono stati gridati slogan contro i migranti e contro la comunità Lgbtq+. La ministra delle Pari Opportunità Irene Montero, di Unidas Podemos, ha definito il corteo che ha attraversato alcune strade del quartiere di Chueca, da anni simbolo della comunità Lgbtq+ madrilena, «una manifestazione nazi». Alcuni slogan? “Fuori i gay dai nostri quartieri” o “Fuori i malati di Aids da Madrid”. Il corteo era stato presentato come una manifestazione contro le politiche del governo in tema di investimenti per il futuro, e quindi autorizzata dalla prefettura di Madrid.
Nazioni Unite
La pandemia di coronavirus ha acuito il gap di genere in tutto il mondo. A snocciolare i dati di una verità nota e schiacciate è UN Women che spiega come in tutto il mondo, nel 2019-20, le donne abbiano perso 54 milioni di posti di lavoro. Le donne vengono colpite, dice l’agenzia Onu, dall’inquinamento ambientale in maniera sproporzionata, mentre restano tagliate fuori dai processi decisionali sulle politiche e i finanziamenti per affrontare le emergenze, pandemia inclusa.
Le donne sono in prima linea nella lotta all’epidemia, rappresentando il 70% del personale sanitario: ma rappresentano solo il 24% dei posti nelle task force Covid-19 che hanno coordinato la risposta in tutto il mondo − e la storia italiana, da questo punto di vista, è esemplare. UN Women ha lanciato in questi giorni un nuovo “Piano femminista per la sostenibilità e la giustizia sociale, oltre il Covid”, sottolineando appunto come la pandemia «abbia esacerbato le disuguaglianze di genere preesistenti». Più di 100 esperti internazionali hanno lavorato su questo documento, in cui si legge che «entro la fine del 2021, i posti di lavoro degli uomini saranno recuperati, ma ci saranno ancora 13 milioni di donne in meno occupate». Non solo: «anche prima della pandemia, le donne hanno svolto un lavoro di cura non retribuito tre volte più di frequente rispetto agli uomini».
Le richieste di UN Women
Sono quattro le azioni richieste dall’agenzia Onu: a cominciare dall’aumento degli investimenti pubblici per l’assistenza e le infrastrutture sociali, nonché del sostegno per gli operatori e le operatrici della sanità non retribuiti: questo «potrebbe creare il 40-60% in più di posti di lavoro rispetto agli stessi investimenti in edilizia», si legge. Necessario poi «assicurare sistematicamente la rappresentanza delle donne nelle strutture e nei meccanismi di partecipazione pubblica che affrontano il cambiamento climatico e la risposta alle emergenze», dice ancora l’ente. Che chiede anche «finanziamenti per le organizzazioni per i diritti delle donne, oggi tristemente sottofinanziate»: nel biennio 2018-19 hanno infatti ricevuto solo una piccolissima frazione degli aiuti totali. UN Women chiede poi di «sfruttare il potenziale della transizione verso la sostenibilità ambientale, che potrebbe creare fino a 24 milioni di nuovi posti di lavoro verdi» e fornire alla popolazione femminile la possibilità di «accedere alla loro giusta quota di opportunità».
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