31 luglio 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Luglio 31, 2025
- Gaza: l’assalto israeliano continua senza sosta. Il prezzo nascosto della guerra: suicidi tra i soldati israeliani in aumento.
- Italia e Germania bloccano la proposta della Commissione europea di sospendere i finanziamenti alle startup israeliane.
- Il Canada riconoscerà lo Stato di Palestina.
- Yemen, blackout e caldo estremo accendono la protesta: rabbia e barricate a Mukalla.
- Venezuela: Machado in clandestinità, González in esilio. L’opposizione vive nella paura.
- Myanmar: pene più severe per chi protesta.
Introduzione al notiziario: 18.500 nomi, 18.500 omicidi: l’infanzia cancellata di Gaza
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha dichiarato che 103 palestinesi sono stati uccisi e 339 feriti nelle ultime 24 ore, aggiungendo che 60 sono stati uccisi mentre cercavano di accedere agli aiuti umanitari e sette sono morti a causa della fame e della malnutrizione.
Secondo il Ministero, dall’inizio della guerra, 60.138 persone sono state uccise a Gaza.
Il presidente degli Stati Uniti Trump ha affermato che gli Stati Uniti collaboreranno con Israele per gestire nuovi centri alimentari a Gaza per affrontare la crescente crisi umanitaria, aggiungendo che Israele deve ” assicurarsi che la distribuzione sia adeguata “.
Una fonte ha detto ad Haaretz che l’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff dovrebbe presto visitare Israele per discutere della situazione nella Striscia.
I ministri del governo Netanyahu e i legislatori del Likud e di Otzma Yehudit hanno pubblicato una lettera chiedendo al ministro della Difesa Israel Katz di consentire loro di visitare il perimetro settentrionale di Gaza per “esplorare le possibilità di insediamento”.
La Federazione sionista d’Australia, in una rara critica a Israele , ha affermato di essere ” profondamente turbata ” dalle notizie di fame a Gaza, invitando “Israele, le Nazioni Unite e le loro controparti a fare tutto ciò che è in loro potere per garantire che gli aiuti umanitari arrivino ai civili palestinesi senza indugio. Questo è il loro obbligo morale collettivo “.
Uno scandalo gravissimo scuote le operazioni umanitarie a Gaza. In un’intervista con il senatore democratico Chris Van Hollen, l’ex Berretto Verde Anthony Aguilar — contractor per la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Stati Uniti e Israele — ha rivelato che i militari israeliani sono considerati i “clienti” dell’organizzazione.
E che obbedire agli ordini delle Forze di Difesa Israeliane è una regola non scritta, anche quando questi ordini violano l’etica e il diritto umanitario.
Aguilar racconta un episodio inquietante: durante un turno in una sala di controllo, un soldato israeliano ordinò via radio ai contractor di sparare contro bambini presenti in un centro di distribuzione aiuti. Aguilar si è opposto.
I bambini si allontanarono e non ci furono spari. Ma subito dopo, un dirigente della Safe Reach Solutions — azienda che supervisiona le operazioni e recluta contractor americani — lo ha rimproverato: “Mai dire no al cliente”. Cliente che, è stato chiarito, è l’IDF.
Le sue accuse non si fermano qui: Aguilar afferma di aver visto i soldati israeliani — e anche contractor americani — sparare indiscriminatamente sui civili palestinesi: non solo con fucili, ma anche con tank, artiglieria e missili.
Non per rispondere a minacce, dice, ma per “controllare la folla”.
E aggiunge un ulteriore dettaglio inquietante: molti contractor erano presenti a Gaza con un semplice visto turistico israeliano, senza alcuna regolamentazione chiara su regole d’ingaggio o uso delle armi.
“Io sono entrato in Israele con lo stesso visto turistico che userebbe mia nonna per visitare Gerusalemme”, ha dichiarato.
La Gaza Humanitarian Foundation ha respinto le accuse, presentando dichiarazioni giurate di ex colleghi di Aguilar che contestano la sua versione.
Ci troviamo di fronte a una sistematica militarizzazionei dell’aiuto umanitario, un cortocircuito etico e legale devastante.
Contractor armati, senza mandato né supervisione adeguata, che rispondono a un esercito occupante anziché alle regole del diritto umanitario.
È l’ennesima prova che a Gaza — oggi più che mai — persino la parola “umanitario” rischia di essere svuotata, corrotta, strumentalizzata.
■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: I mediatori hanno trasmesso ad Hamas le obiezioni di Israele ad alcune delle attuali richieste del gruppo nei colloqui di tregua, ha riportato l’agenzia di stampa qatariota Al Araby, citando alcune fonti.
Secondo il rapporto, Israele si è opposto alla posizione di Hamas in merito allo spiegamento delle forze dell’IDF a Gaza e ai criteri per lo scambio dei corpi degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi.
Una delegazione di alto rango di Hamas è partita per Istanbul per discutere le opzioni per la ripresa dei negoziati per il cessate il fuoco, hanno detto funzionari palestinesi ad Haaretz , aggiungendo di aver ricevuto messaggi contrastanti dai mediatori in merito alla possibilità di riprendere i colloqui .
ISRAELE: Dall’inizio della guerra a Gaza, quasi 50 soldati israeliani si sono tolti la vita, secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz. Solo nel 2024 sono stati 24 i suicidi, ai quali si aggiungono 17 nel 2023 — sette dei quali dopo l’inizio del conflitto a ottobre — e altri 17 già registrati quest’anno.
Dietro a queste cifre, si nasconde un sistema in crisi: mancano psicologi, psichiatri e assistenti sociali militari. Le unità più esposte ai traumi, come quelle che identificano i resti dei caduti, sono particolarmente vulnerabili.
È il caso di un riservista trovato morto lunedì nella sua casa a Ofakim, dopo aver lavorato proprio in uno di questi reparti.
Secondo Haaretz, centinaia di soldati con ferite psicologiche vengono ammessi ogni mese alla divisione di riabilitazione dell’esercito, spesso affetti da disturbo da stress post-traumatico (PTSD) a causa delle operazioni a Gaza.
Sul fronte ufficiale, 898 soldati israeliani sarebbero morti e oltre 6.100 feriti dall’inizio della guerra. Ma crescono le accuse interne all’esercito di nascondere le reali perdite.
Questa guerra, che devasta Gaza, sta dilaniando anche la società israeliana. I suicidi dei soldati non sono un effetto collaterale: sono una conseguenza diretta di una guerra che logora, disumanizza, distrugge.
Ed è la prova che non c’è vittoria militare che possa compensare la perdita della salute mentale e dell’etica collettiva. Quando anche chi combatte torna a casa spezzato, chi può ancora credere che questa guerra stia salvando qualcuno?
■ UE: La proposta della Commissione europea di sospendere i finanziamenti alle startup israeliane non è stata approvata nella votazione di martedì al Consiglio dell’Unione europea, il massimo organo decisionale dell’UE.
Una fonte ha riferito ad Haaretz che Germania e Italia si sono rifiutate di sostenere la decisione e hanno chiesto una proroga per valutare eventuali miglioramenti nella situazione umanitaria a Gaza.
■ STATO PALESTINESE: Australia, Canada, Finlandia, Nuova Zelanda, Portogallo, Andorra e San Marino hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta che stanno valutando il riconoscimento di uno Stato palestinese prima dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York di settembre.
Secondo la dichiarazione, che invita altri paesi ad aderire all’iniziativa, le nazioni la considerano “un passo essenziale verso una soluzione a due stati”.
La dichiarazione si apre con una condanna dell’attacco “antisemita e terroristico” di Hamas del 7 ottobre e chiede un cessate il fuoco immediato, che comprenderebbe il rilascio di tutti gli ostaggi tenuti prigionieri da Hamas e l’ingresso senza ostacoli degli aiuti umanitari.
Yemen
Da tre giorni, la città costiera di Mukalla, nell’est dello Yemen, è teatro di proteste crescenti contro i blackout elettrici che lasciano i residenti senza corrente per oltre 19 ore al giorno, in mezzo a temperature torride.
Martedì, centinaia di manifestanti hanno bloccato le strade, eretto tende in città e dato fuoco a pneumatici, paralizzando anche l’accesso al porto. Presa di mira anche la sede della società elettrica della regione.
Le proteste sono rivolte contro il governo internazionalmente riconosciuto, con base ad Aden, accusato di incapacità e corruzione.
Secondo un rapporto del centro di analisi SARI Global, la crisi è alimentata dalla mancanza cronica di diesel e carburante, trasporti bloccati, centrali chiuse e forniture irregolari da parte del principale distributore PetroMasila.
Le interruzioni di corrente compromettono l’accesso all’acqua e fanno salire i prezzi, aggravando l’emergenza umanitaria.
Il Consiglio delle tribù di Hadramout denuncia: la popolazione soffre da anni per mancanze strutturali — elettricità, acqua, sanità, istruzione — aggravate dal collasso della valuta locale e dalla corruzione endemica.
A peggiorare la situazione, la crisi idrica: secondo il Norwegian Refugee Council, le piogge stagionali sono calate del 40%, rendendo quasi impossibile l’accesso all’acqua potabile nelle aree rurali e urbane.
Intanto, la repressione avanza: il giornalista Abduljabar Bajabeer è stato arrestato lunedì durante le proteste a Mukalla.
La sua emittente, TV3ad, aveva coperto le manifestazioni. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ha chiesto il suo immediato rilascio, denunciando “una campagna sistematica per mettere a tacere la stampa”.
In un Paese devastato da una guerra civile senza fine, la protesta di Mukalla mostra un altro volto del conflitto: quello della sopravvivenza quotidiana. Quando non c’è luce, né acqua, né futuro, la rabbia diventa inevitabile.
Regno Unito
Mercoledì pomeriggio, un guasto al centro di controllo del traffico aereo di Swanwick, nel sud dell’Inghilterra, ha mandato in tilt le operazioni di volo in tutto il Regno Unito.
L’interruzione ha colpito i principali aeroporti di Londra — Heathrow, Gatwick e London City — e anche scali regionali come quello di Edimburgo.
La NATS, l’ente responsabile del traffico aereo britannico, ha dovuto ridurre drasticamente il numero di voli in arrivo e in partenza per garantire la sicurezza.
Alcuni voli sono stati messi in attesa, altri dirottati. Tutte le partenze da Gatwick e Heathrow sono state temporaneamente sospese.
In serata, NATS ha annunciato che il sistema era stato ripristinato e che le operazioni stavano tornando alla normalità.
Ma l’episodio ha fatto tornare alla mente il blackout dell’agosto 2023, quando un problema analogo con l’elaborazione automatica dei piani di volo causò perdite per oltre 100 milioni di sterline alle compagnie aeree.
Tsunami
Il vulcano Klyuchevskoy, uno dei più alti al mondo, ha eruttato nella penisola russa della Kamchatka.
Un fiume di lava incandescente è sceso lungo il versante occidentale, mentre esplosioni e bagliori sono visibili anche a distanza. L’eruzione arriva poche ore dopo un terremoto di magnitudo 8.8 che ha colpito la regione, sollevando l’allerta tsunami su gran parte del Pacifico.
A Kamchatka, l’onda ha raggiunto i 4 metri d’altezza, provocando danni agli edifici e diversi feriti. Nessuna vittima confermata, ma le immagini mostrano porti allagati e residenti in fuga verso l’interno.
In Giappone, l’allerta ha fatto scattare evacuazioni in diverse aree costiere: la paura del disastro del 2011 è ancora viva.
Onde alte fino a 60 cm sono arrivate a Hokkaido. Negli Stati Uniti, la marea ha toccato la baia di San Francisco con onde tra i 60 e i 150 cm. Evacuazioni anche alle Hawaii, poi in parte revocate. L’allerta resta per buona parte della costa pacifica nordamericana, dal Canada alla California.
Un terremoto di magnitudo 5,9, accompagnato da almeno quattro movimenti tellurici di assestamento, ha scosso ieri pomeriggio le zone di confine di El Salvador e del Guatemala sudorientale.
Mercoledì mattina presto, il Cile ha alzato al massimo il livello di allerta tsunami per gran parte della sua lunga costa pacifica, a seguito di un forte terremoto.
Il servizio nazionale di emergenza cileno ha dichiarato di aver evacuato centinaia di persone dalle zone costiere.
Il Ministero dell’Istruzione ha annullato le lezioni lungo gran parte della costa.
Le autorità delle isole Galápagos, in Ecuador, hanno ordinato l’evacuazione precauzionale delle persone che vivono nelle zone costiere. Le autorità hanno attivato l’allerta per la regione insulare e disposto l’evacuazione preventiva delle spiagge e delle zone costiere.
Le autorità della Polinesia francese hanno annunciato che nella regione sono attese onde alte fino a quattro metri.
Terremoti, eruzioni, onde che attraversano oceani a velocità di jet. È un richiamo brutale alla potenza della natura, ma anche alla fragilità delle infrastrutture umane in aree ad altissimo rischio sismico.
Stati Uniti
Ieri gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 50% al Brasile, la tassa più alta che il presidente Trump abbia mai applicato a un altro Paese nel suo attuale mandato.
Gli Stati Uniti hanno inoltre sanzionato un giudice della Corte Suprema brasiliana che supervisionava il procedimento penale contro l’ex presidente Jair Bolsonaro, alleato di Trump, accusato di aver orchestrato un tentativo di colpo di stato dopo la sconfitta alle elezioni del 2022.
Queste mosse hanno aggravato notevolmente la crisi tra l’amministrazione Trump e il Brasile, la nazione più grande dell’America Latina, e hanno rappresentato un chiaro rimprovero al presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che ha pubblicamente sfidato Trump per settimane.
Trump aveva minacciato di imporre dazi del 50% al Brasile a partire da venerdì se il Paese non avesse ritirato le accuse contro Bolsonaro. Ma ha agito prima, firmando ieri un ordine esecutivo sui nuovi dazi.
In un’intervista rilasciata al New York Times prima dell’annuncio dei nuovi dazi, Lula ha espresso indignazione, accusando Trump di voler fare pressioni sul Brasile e di ignorare le sue offerte di negoziato.
“Stiamo affrontando la questione con la massima serietà”, ha detto Lula. “Ma la serietà non richiede sottomissione”.
Trump ha annunciato ieri che le importazioni indiane negli Stati Uniti saranno soggette a una tariffa del 25% a partire da venerdì, la scadenza da lui fissata per i paesi che devono raggiungere un accordo commerciale con gli Stati Uniti.
Ha anche criticato l’India per le elevate barriere commerciali e per l’acquisto di energia e attrezzature militari dalla Russia.
L’annuncio potrebbe esercitare pressioni sull’India affinché raggiunga un accordo. Un dazio del 25% sarebbe solo di un punto percentuale inferiore al tasso di cui Trump ha minacciato l’India ad aprile.
È anche significativamente più alto dei dazi che ha concordato con altre nazioni asiatiche come Indonesia, Filippine, Vietnam e Giappone, che sono stati tutti del 20% o meno.
L’India è attualmente il 12° partner commerciale degli Stati Uniti. Dopo grandi speranze per un accordo commerciale, i negoziati sembrano aver incontrato ostacoli nelle ultime settimane.
Il Ministero del Commercio indiano ha dichiarato in una nota di rimanere impegnato a raggiungere un equo accordo commerciale bilaterale.
Venezuela
A un anno dalle elezioni presidenziali venezuelane, che hanno riconfermato Nicolás Maduro in assenza di verbali ufficiali e con gravi irregolarità denunciate, il clima politico nel Paese si fa sempre più cupo.
María Corina Machado, leader della principale coalizione di opposizione, ha dichiarato in un’intervista a W Radio Colombia di temere per la propria vita: “Non ho dubbi che se il regime sapesse dove sono, mi farebbe sparire”.
Machado, squalificata dalla corsa elettorale e ora costretta alla clandestinità, afferma che il regime sta “evolvendo in un livello di violenza sempre più estremo”.
Dall’estero parla anche Edmundo González, il candidato scelto dall’opposizione, in esilio in Spagna.
Alla BBC ha dichiarato che non ha ancora fissato una data per il rientro in Venezuela, perché “le condizioni non ci sono”. Una frase che dice molto: in patria, libertà personale e politica non sono garantite.
Il Venezuela non è soltanto un Paese in crisi economica e umanitaria. È uno Stato in cui l’opposizione politica è criminalizzata, i candidati squalificati, i giornalisti perseguitati.
Il fatto che Machado debba nascondersi e González resti in esilio è la fotografia di un regime che non teme le urne, ma il dissenso. E quando il ritorno a casa diventa una minaccia, la democrazia ha già perso il passaporto.
Myanmar
Il regime militare birmano ha promulgato martedì una “Legge per la protezione delle elezioni multipartitiche” che vieta qualunque discorso, organizzazione, incitamento, protesta o distribuzione di volantini volto a “distruggere” parte del processo elettorale. La norma è entrata in vigore alcuni mesi prima del voto previsto a fine anno.
Secondo la legge, chi viola questo divieto rischia da tre a sette anni di carcere; se l’offesa è commessa in gruppo la pena sale da cinque a dieci anni. Danneggiare schede elettorali, seggi o intimidire elettori e candidati può costare fino a 20 anni di reclusione, e se durante un’azione di disturbo muore qualcuno, tutti i responsabili possono essere condannati a morte.
La norma è solo l’ultimo passo di un regime che, dopo il colpo di Stato del 2021, ha represso brutalmente le proteste e affronta tuttora una guerra civile multipla; vaste aree del Paese sfuggono al controllo della giunta.
Lo scorso anno la raccolta dati per il censimento pre-elettorale non ha raggiunto circa 19 milioni di persone a causa delle condizioni di sicurezza.
Critici e osservatori internazionali denunciano che si tratta di un escamotage per conferire legittimità alla dittatura. Tom Andrews, relatore speciale dell’ONU per i diritti umani in Myanmar, ha definito il piano elettorale “una frode” e “un miraggio” progettato per creare l’illusione di un governo civile.
Anche il governo parallelo di unità nazionale e diversi gruppi armati etnici si sono impegnati a ostacolare il voto.
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