6 febbraio 2021 – Notiziario Africa
Scritto da Giusy Baioni in data Febbraio 6, 2021
Ascolta il notiziario
- WTO: la prossima presidente sarà per la prima volta una donna. E per la prima volta africana.
- Unione Africana: al via il 34° summit a distanza. Joe Biden invia un videomessaggio in cui illustra le prospettive della sua amministrazione verso l’Africa.
- Algeria: appello a Biden sul Sahara Occidentale.
- Repubblica Centrafricana: prorogato di sei mesi lo stato d’emergenza.
- Senegal: si riaccende il conflitto nella Casamance.
- Libia: nominato il nuovo capo del governo.
- Nigeria: arrestato l’amministratore delegato di ExxonMobil Nigeria.
Questo e molto altro nel notiziario Africa a cura di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin
WTO
La situazione di stallo sulla nomina del nuovo capo del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, sembra essere terminata: la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala sembra destinata a diventare la prima donna, e la prima africana, Direttrice generale del WTO. Lo stallo si è smosso dopo che il ministro del Commercio sudcoreano Yoo Myung-hee ha ritirato la sua candidatura a seguito di consultazioni con gli Stati Uniti − il suo principale sostenitore − e altri paesi. Il ritiro di Yoo si è verificato grazie all’azione di dozzine di ex funzionari del governo degli Stati Uniti che hanno esortato il presidente Joe Biden a sostenere Okonjo-Iweala dopo che l’amministrazione Trump ne aveva bloccato la selezione nell’ottobre 2020. Roberto Azevedo si era dimesso da direttore generale dell’OMC in agosto, un anno prima del previsto. I 164 membri dell’OMC si incontreranno più tardi per approvare tramite consenso la nomina di Okonjo-Iweala.
Ngozi Okonjo-Iweala sarà dunque la prima donna e il primo africano a capo dell’organizzazione. 66 anni, ha servito come prima donna ministro delle finanze e degli esteri del suo paese e ha alle spalle una carriera di 25 anni come economista dello sviluppo presso la Banca mondiale. Ha accolto con favore il sostegno della troika. Okonjo-Iweala, che siede anche nel consiglio di amministrazione di Twitter, è presidente dell’alleanza per il vaccino GAVI e inviata speciale per la lotta contro il Covid-19 dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Usa − Africa
The Biden-Harris Administration is committed to working with the African Union to advance our shared vision of a better future.
Watch President Biden’s Message to African Union Summit Participants: pic.twitter.com/tXFX4Tp9PD
— The White House (@WhiteHouse) February 5, 2021
Alla vigilia del 34° vertice dell’Unione Africana, Joe Biden ha inviato un videomessaggio ai capi di Stato che partecipavano all’incontro di ieri, venerdì 5 febbraio. Si tratta del primo discorso del nuovo presidente statunitense sull’Africa. Biden spiega di voler coinvolgere la sua amministrazione in un lavoro congiunto con i paesi del continente. Usa un tono pacato e rispettoso, a differenza del suo predecessore. «La mia amministrazione – afferma Biden – è impegnata a ricostruire i nostri partenariati in tutto il pianeta e si sta impegnando nuovamente con istituzioni internazionali come l’Unione Africana. […] Dobbiamo lavorare tutti insieme per portare avanti la nostra visione condivisa di un futuro migliore».
Joe Biden parla del destino che unisce i paesi del continente e il resto del mondo. «Niente di tutto ciò sarà facile, ma gli Stati Uniti sono già pronti a essere vostri partner, nella solidarietà, nel sostegno e nel rispetto reciproco. Crediamo nelle nazioni dell’Africa. Nello spirito di imprenditorialità e innovazione che esiste in tutto il continente. E mentre le sfide che ci attendono sono grandi, non c’è dubbio che le nostre nazioni, i nostri popoli, l’Unione Africana siano all’altezza del compito».
Non lesina tuttavia un chiaro riferimento al rispetto dei diritti umani, delle minoranze, delle donne e ragazze e dei diritti LGBTQ, che nel continente africano sono ben lungi dall’essere rispettati. Il presidente americano parla di scambi e investimenti per raggiungere la «prosperità per tutti» e promette una diplomazia rafforzata per cercare di risolvere i conflitti. Infine, sottolinea la sfida della salute globale, con l’epidemia di Covid-19 e gli sconvolgimenti climatici che hanno causato «molte sofferenze».
Anni luce dalle frasi ingiuriose del predecessore Trump, che nel 2018 aveva parlato dei paesi africani usando il termine shithole e scatenato indignazione in tutto il continente.
Algeria – Sahara Occidentale
E dall’Algeria arriva la prima interpellanza al nuovo presidente americano: le due camere del parlamento algerino hanno scritto una lettera chiedendo a Biden di riconsiderare la decisione del suo predecessore riguardo al Sahara Occidentale. Nel dicembre 2020 Donald Trump ha infatti riconosciuto la sovranità marocchina su questo territorio, mentre il Marocco ha ufficializzato la normalizzazione delle sue relazioni con Israele.
Nella loro lettera, i parlamentari ritengono che la posizione di Donald Trump, che ha riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale mentre l’Onu lo considera non autonomo, sia in contraddizione con le posizioni americane su questo tema e con la legalità internazionale. L’Algeria, tradizionale appoggio ai separatisti del Fronte Polisario, da parte sua si dichiara favorevole a un referendum di autodeterminazione.
Nel congratularsi con Joe Biden per la sua elezione, i parlamentari algerini gli chiedono di rivedere il decreto firmato dal suo predecessore. La scorsa settimana, alla domanda sulla posizione degli Stati Uniti su questo tema, il Segretario di Stato americano Anthony Blinken sembrava indicare che non era stata ancora presa alcuna decisione.
Unione Africana
Si apre oggi il 34° vertice annuale dell’Unione Africana, che vedrà l’insediamento come presidente dell’organizzazione di Felix Tshisekedi, capo di stato della Repubblica Democratica del Congo, che subentra al sudafricano Cyril Ramaphosa. Il vertice durerà due giorni e si terrà per la prima volta online, causa pandemia.
Il continente si trova infatti nel bel mezzo della seconda ondata che, pur meno aggressiva che in altri luoghi, preoccupa per la variante sudafricana e ha causato diverse vittime anche tra le élites politiche.
Ironia della sorte, il 2020 era stato nominato dall’UA l’anno del “Silencing the Gun”: se è vero che una fragile pace è in vigore in Sud Sudan e Libia, tuttavia in Etiopia è scoppiato un nuovo conflitto con il potenziale di destabilizzare l’intera regione del Corno d’Africa, la Repubblica Centrafricana è nel caos e violenze e scontri non cessano in diverse altre zone: nel Sahel, nella regione del Lago Ciad, all’est della Repubblica Democratica del Congo e nel Camerun anglofono.
Tra le questioni più urgenti che la nuova amministrazione dovrà affrontare, si annoverano, oltre alla pandemia e alle sue pesanti ricadute sul continente, anche la disputa sulla diga del Nilo e il fragile equilibrio in Somalia, dove le elezioni che si dovrebbero tenere fra due giorni rischiano di saltare.
In tale quadro, il 34° vertice dell’Unione Africana ha invece scelto la cultura e il patrimonio come tema generale, fatto che ha suscitato una certa perplessità. “Arte, cultura e patrimonio: una leva per costruire l’Africa che vogliamo”. Nel bel mezzo della pandemia Covid-19 e dopo “Silencing the Guns” nel 2020, sorprende il tema principale scelto per il vertice annuale dei capi di Stato e di governo che si svolge sabato e domenica nella capitale etiope. Certo, la risposta sanitaria al coronavirus e ai vari conflitti in corso dovrebbe avere un posto di rilievo nell’agenda, ma il presidente della Commissione dell’Unione Africana ha voluto concentrarsi su ciò che considera, come ha detto durante la 38° sessione del Consiglio esecutivo dell’istituzione, questa settimana, come «indicatore principale dell’identità»: la cultura. L’UA spiega in un comunicato stampa che il patrimonio culturale sarà «per i prossimi dodici mesi al centro delle discussioni nella maggior parte degli eventi organizzati dall’UA».
La questione del Tigray, per quanto scottante, non è invece all’ordine del giorno. Non un caso, forse, dato che la sede dell’UA è proprio ad Addis Abeba.
Repubblica Centrafricana
L’Assemblea Nazionale ha prorogato di sei mesi lo stato d’emergenza. Nelle intenzioni del governo, questi sei mesi dovrebbero consentire alle autorità di dare la caccia ai ribelli e porre fine a decenni di conflitto.
Così ha spiegato il ministro degli Interni Henri Wanzet Linguissara: «Lo stato di emergenza ci permetterà di sapere quale centrafricano è un buon cittadino, quale è un traditore, chi è sospettato, per aiutarci a guardare a sinistra e a destra, da ogni parte, per andare avanti meglio. Questo è l’obiettivo dello stato di emergenza che il governo chiede all’Assemblea nazionale».
Alcuni deputati hanno però sollevato dubbi sull’utilità di mantenere il coprifuoco, chiedendone quanto meno una modifica degli orari, nonché le restrizioni dei trasporti come quelle ai moto-taxi nella capitale. Il governo ha assicurato di lavorare su questi temi per facilitare le attività quotidiane della popolazione. In tale clima si dovrebbe anche tenere il secondo turno delle elezioni legislative.
Senegal
Un conflitto del tutto fuori dai riflettori: nella Casamance, regione meridionale del Senegal con velleità separatiste, tornano a farsi sentire le armi. In questi giorni, le basi principali del fronte meridionale del Mouvement des force democratiques de Casamance (MFDC) sono cadute, e l’equilibrio di potere è tornato a favore dell’esercito senegalese, mentre i ribelli si sono ritirati più a ovest. Un ritiro tattico per ricostituire nuove basi. In questa guerra silenziosa e senza copertura mediatica, né il Senegal né l’MFDC comunicano alcun risultato.
Come racconta RFI, tre basi indipendentiste, tutte dal fronte meridionale, sono cadute dopo gli intensi bombardamenti dell’esercito senegalese martedì e mercoledì. Resta da vedere se l’esercito sarà in grado di garantire il ritorno degli sfollati e di occupare efficacemente la terra, totalmente minata. L’esercito senegalese conduce da dieci giorni operazioni di “sicurezza” militare contro i separatisti della Casamance, che dal 1982 si battono per l’indipendenza della regione meridionale del Senegal.
Libia
I 73 partecipanti al dialogo inter-libico riuniti a Ginevra, in Svizzera, sotto gli auspici delle Nazioni Unite hanno eletto ieri Abdel Hamid Dbeibah capo del governo a interim. La nomina di un nuovo esecutivo libico a Ginevra è un passo avanti nel processo politico libico, ma il nuovo premier Abdel Hamid Dbeibah e il suo team, eletti a sorpresa, dovranno ora affermare la loro legittimità sul campo.
Il primo e forse più difficile obiettivo è riuscire ad affermarsi sul terreno, di fronte alle tante fazioni antagoniste che influenzano il processo decisionale politico. Alcuni hanno già chiaramente annunciato che prenderanno le distanze da Ginevra, e cercheranno a tutti i costi di consolidare la loro posizione al potere: è il caso di diversi signori della guerra. Il processo politico ONU del 2015, che ha portato al potere il governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, non ha mai ottenuto la fiducia del Parlamento, il che ha accentuato le divisioni. Non è detto che oggi ci siano più ragioni per accettare questo nuovo potere che alcuni già qualificano come “governo dei Fratelli Musulmani”.
Anche Fayez al-Sarraj, all’epoca, non era stato in grado di sciogliere le milizie come previsto dall’accordo politico. Abdel Hamid Dbeibah eredita oggi una situazione molto più complessa. Oltre alle potenti milizie, deve fare i conti con i 20mila mercenari stranieri presenti sul terreno. Il Primo Ministro dovrà anche mettere in sicurezza il paese, superare le divisioni, unificare le istituzioni, avviare un processo globale di riconciliazione nazionale e organizzare le elezioni generali del 24 dicembre. Tutto questo in meno di un anno.
Nigeria
L’Alta Corte Federale di Giustizia di Abuja, in Nigeria, ha ordinato giovedì l’arresto di Richard Laing, amministratore delegato in Nigeria della compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil. La filiale locale della compagnia petrolifera statunitense è l’obiettivo di un’indagine su una presunta frode che riguarda un progetto di oleodotto. Si tratta di indagare su possibili frodi commesse alcuni anni fa negli appalti pubblici per un progetto di gasdotto del valore di 213 milioni di dollari. L’AD della ExxonMobil aveva rifiutato in tre occasioni di andare a testimoniare davanti alla Commissione contro i reati economici.
All’epoca Richard Laing non era ancora in Nigeria, ma, come ha affermato il portavoce della commissione, «l’indagine non è diretta a lui personalmente, ma alla società». Il caso arriva nel momento peggiore per la compagnia, poiché il governo prepara una nuova legge sul settore petrolifero. Le autorità vogliono che le grandi aziende investano e creino più posti di lavoro in Nigeria. L’inchiesta avviata dalla Commissione contro i reati economici è anche un banco di prova per quest’ultima, dopo gli scandali che ne hanno punteggiato il funzionamento. Nel 2020, infatti, la giustizia ha sospeso il direttore della Commissione, accusato di aver sottratto somme recuperate nella lotta alla corruzione.
Madagascar
Dogana sotto accusa in Madagascar: alcuni documenti mettono in evidenza il ruolo della dogana, della polizia di frontiera e della gendarmeria in un caso di esportazione illegale di 73,5 kg d’oro.
Tre uomini sono stati arrestati in possesso di valuta estera e tre lingotti d’oro durante un transito a Johannesburg, mentre si recavano a Dubai all’inizio di gennaio. Il loro aereo era partito da Tulear, nel Madagascar sudoccidentale. Da qui sono scaturite le indagini che hanno portato ora all’arresto di un gendarme: «Corrotto o complice», lo ha definito il segretario di Stato alla Gendarmeria, generale Richard Ravalomanana: «Lo abbiamo arrestato per complicità nel traffico di oro e abuso d’ufficio». L’arrestato ha firmato, senza averne titolo, un documento da cui risulta che il controllo dell’aereo è stato effettuato. La gendarmeria nazionale non ha dato l’autorizzazione al volo ma l’aereo è riuscito a lasciare il territorio nazionale con la complicità di alcuni funzionari, compreso l’uomo agli arresti.
Gli scienziati ritengono di aver scoperto il più piccolo rettile sulla terra: una sottospecie di camaleonte delle dimensioni di un seme.
Due delle minuscole lucertole sono state scoperte da una spedizione tedesco-malgascia in Madagascar. La Brookesia nana, o nano-camaleonte, dalla testa alla coda è lunga 22 mm. Ciò la rende il più piccolo delle circa 11.500 specie conosciute di rettili. La femmina è più grande e misura circa 29 mm.
«Il nuovo camaleonte è conosciuto solo in una foresta pluviale montana nel nord del Madagascar e potrebbe essere minacciato di estinzione». I ricercatori hanno scoperto che caccia gli acari sul suolo della foresta pluviale e di notte si nasconde ai predatori tra i fili d’erba. In un post sul blog, il dottor Mark Scherz, uno dei ricercatori coinvolti nella scoperta, lo ha definito «un caso spettacolare di estrema miniaturizzazione».
Sudafrica
Milioni di euro destinati alla lotta al Covid-19 sarebbero stati illecitamente sottratti: queste le conclusioni di un’unità investigativa incaricata di indagare sull’aggiudicazione di appalti pubblici a società private nell’ambito della lotta alla pandemia. Il nucleo investigativo, istituito dal governo lo scorso anno dopo numerose denunce di corruzione, ha emesso le sue conclusioni ieri mattina.
Sono stati indagati più di 189 appalti pubblici. Contratti firmati da autorità provinciali o comunali con società private per l’acquisizione di attrezzature nell’ambito dell’epidemia di Covid-19. Per esempio l’acquisto nella provincia del Capo Orientale di motociclette tipo sidecar per il trasporto dei pazienti in ospedale, il cui contratto non è mai stato convalidato dalle autorità. L’unità investigativa ha concluso che quando il governo, l’anno scorso, ha dichiarato lo stato di calamità naturale, alcuni funzionari provinciali o ministri hanno colto l’opportunità per aggiudicare contratti in modo irregolare e senza alcun controllo. Contratti per diverse centinaia di milioni di euro. In alcuni casi si tratta di appalti pubblici non convalidati, stipulati con aziende non autorizzate, aggiudicati ad amici o familiari o contratti conclusi con aziende che avevano gonfiato i prezzi fino al 500%. Il caso più noto è quello di un contratto per l’acquisto di dispositivi di protezione assegnato a una società di copertura, appartenente al marito della portavoce del presidente Cyril Ramaphosa. Portavoce che da allora è stata sospesa.
Angola
L’Angola ha celebrato questo giovedì il 60° anniversario dell’inizio della rivoluzione contro il dominio coloniale portoghese. In questa occasione, e per denunciare le difficoltà economiche e le violenze della polizia, la società civile ha manifestato nella capitale Luanda. La manifestazione non autorizzata è stata repressa dalla polizia. Da diversi mesi le forze di sicurezza disperdono violentemente manifestazioni antigovernative e sabato scorso avevano aperto il fuoco su esponenti di un movimento separatista nella cittadina di Cafunfo, 700 km a est di Luanda.
Etiopia
In Etiopia, mentre non accenna a migliorare la crisi nel Tigray, con le Nazioni Unite che avvertono che il conflitto potrebbe innescare una più ampia destabilizzazione nel paese e nell’intero Corno d’Africa, si registra anche un ennesimo rinvio del processo a 24 oppositori del premier Abiy Ahmed imprigionati dallo scorso luglio. Tra questi, il carismatico Jawar Mohammed, già alleato del Primo Ministro e rappresentante della frangia nazionalista oromo, il gruppo etnico maggioritario del paese. In carcere da otto mesi, vengono accusati di terrorismo e incitamento all’odio. Dalla scorsa settimana, i 24 oppositori hanno avviato uno sciopero della fame. Un gesto simbolico per protestare contro l’arresto di quasi 100 dei loro sostenitori, membri del partito OFC, l’Oromo Federalist Congress, arrestati la scorsa settimana mentre venivano a sostenere i prigionieri in tribunale.
Delle dieci accuse inizialmente mosse contro di loro a settembre, i tribunali hanno deciso di ritirarne sei. Ma coloro che oggi si considerano prigionieri politici saranno ancora processati con l’accusa di terrorismo, frode nelle telecomunicazioni e istigazione all’odio. Dato che le elezioni si terranno tra quattro mesi esatti, sarà molto difficile per loro prendervi parte. Etichettato oggi come partito di opposizione, l’OFC all’epoca aveva sostenuto l’ascesa di Abiy Ahmed alla carica di primo ministro. Oggi è paralizzato dall’imprigionamento dei suoi leader e dalla chiusura della maggior parte dei suoi uffici nel resto del paese.
Burundi
Sono stati condannati all’ergastolo tutti gli accusati di aver tramato per il fallito colpo di Stato del 2015. La condanna era stata emessa dalla Corte Suprema lo scorso anno, ma i documenti che lo attestano sono stati resi pubblici ieri. Fra i condannati ci sono ex generali dell’esercito, politici, ma anche giornalisti e attivisti, tutti condannati in contumacia perché dal 2015 sono in esilio all’estero. I documenti del tribunale mostrano che un totale di 34 sospetti sono stati dichiarati colpevoli nel giugno 2020. Sono stati condannati a pagare una multa collettiva di 1,5 miliardi di franchi burundesi ($ 780.000) alle vittime del colpo di Stato, fra le quali viene incluso il partito al governo CNDD-FDD. Sostanzialmente, un sequestro dei beni rimasti in Burundi.
Fra i condannati c’è anche Marguerite Barankitse, nota come la maman nationale, donna insignita di numerosi premi per il suo impegno umanitario soprattutto con gli orfani. Onesime Nduwimana, un ex parlamentare dell’opposizione. Non si sa dove si trovino il generale Niyombare e gli altri alti funzionari: sono fuggiti tutti dopo il fallito colpo di Stato.
Kenya
Un uomo statunitense è stato condannato a più di 15 anni di carcere per aver abusato di ragazze minorenni in un orfanotrofio in Kenya. Il missionario cristiano Gregory Dow aveva fondato l’orfanotrofio con sua moglie nel 2008. L’anno scorso, Dow si era dichiarato colpevole negli Stati Uniti di quattro capi di imputazione per comportamenti sessuali illeciti con minori all’estero.
L’orfanotrofio era stato in parte finanziato dalle chiese della contea di Lancaster, nello stato americano della Pennsylvania, ed è stato operativo per quasi un decennio prima che Dow fuggisse nel 2017. I keniani si erano indignati quando era emerso che Dow aveva lasciato il Kenya subito dopo che le accuse di abuso erano venute alla luce. Ulteriore sdegno quando si era saputo che l’uomo era stato già condannato per crimini simili e nonostante ciò fosse stato autorizzato ad aprire un orfanotrofio. Nel 1996 si era infatti dichiarato colpevole di aggressione sessuale, aveva ricevuto due anni di libertà vigilata e gli era stato ordinato di registrarsi come molestatore sessuale per un decennio.
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