6 novembre 2020 – Notiziario Africa
Scritto da Giusy Baioni in data Novembre 6, 2020
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- Etiopia sull’orlo della guerra civile (in copertina)
- Mozambico: nuova strage nel nord
- Costa d’Avorio: proseguono le tensioni post elettorali
- Tanzania: giuramento del presidente rieletto
- Camerun: le scuole, arma di guerra; rapito il cardinale Tumi
- Sahrawi: gli Emirati Arabi aprono un consolato
Questo e molto altro nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Giusy Baioni. Musiche di Walter Sguazzin
Etiopia
Una rapida escalation porta l’Etiopia sull’orlo della guerra civile. La regione settentrionale del Tigray, zona dell’etnia minoritaria tigrina per decenni al potere, è l’epicentro di una crisi degenerata da settembre e oggi sul punto di esplodere. Ieri il premier Abiy Ahmed ha annunciato l’invio di truppe nel nord, dopo che mercoledì si erano registrati scontri fra le forze governative e il TPLF (Tigray People’s Liberation Front), dopo che Ahmed aveva ordinato una ritorsione per un attacco alle truppe governative.
Secondo il presidente della regione del Tigray, Debretsion Gebremichael, le sue forze di sicurezza avrebbero invece sventato un piano delle truppe federali per usare armi e artiglieria stoccate nella regione per attaccarli. Artiglieria che invece minacciano di usare contro il governo centrale.
Bombardamenti e sparatorie sarebbero iniziati ieri mattina e oltre venti soldati risultano feriti. Fonti sul posto riportano di combattimenti intensi per tutta la giornata. Secondo una fonte diplomatica di Reuters, ci sarebbero decine di vittime fra le truppe federali, mentre non si ha notizia di morti del TPLF.
Il governo ha tagliato tutte le comunicazioni telefoniche e via internet nel Tigray.
I paesi limitrofi temono una escalation che possa sfociare in una guerra totale contro Abiy Ahmed, a capo dell’Etiopia dal 2018, primo premier oromo dopo decenni di dominazione tigrina.
Nobel per la pace 2019 per aver messo fine all’eterna guerra con l’Eritrea, oggi Ahmed si trova a non riuscire ad arginare un conflitto interno con forti risvolti etnici.
Le tensioni si erano acuite a settembre, quando nel Tigray si erano tenute le elezioni regionali nonostante il divieto dal governo centrale, che le aveva sospese a causa del Covid-19. Da allora l’escalation non si è fermata, esplodendo questa settimana.
Redwan Hussein, portavoce di una nuova task force per lo Stato di Emergenza, ha dichiarato alla Reuters che per ora non ci sono in programma colloqui.
Ethiopia mobilised for war in the northern Tigray region on Thursday, dashing international hopes of averting a conflict between Prime Minister Abiy Ahmed’s government and the powerful ethnic faction that led the ruling coalition for decades. https://t.co/k1vea6TFXd
— Reuters Africa (@ReutersAfrica) November 5, 2020
Intanto, un altro fronte resta sospeso: è fallito anche l’ultimo round dei negoziati fra Egitto, Sudan ed Etiopia per la diga della Renaissance, la controversa maxi opera sul Nilo Blu avviata dall’Etiopia, con l’ambizione di farne la più grande diga d’Africa. I colloqui sono a un punto morto da ormai tre mesi.
Mozambico
Almeno venti i morti in un nuovo massacro nel nord del Paese, nella regione di Cabo Delgado. La strage è avvenuta all’inizio della settimana: almeno cinque adulti e quindici adolescenti sono stati decapitati da presunti jihadisti, che li hanno assaliti mentre i giovani prendevano parte a una cerimonia tradizionale d’iniziazione nel distretto di Muidumbe. La regione di Cabo Delgado è a maggioranza musulmana, ma nella zona di Makondé, dove è avvenuto il massacro, la popolazione è soprattutto cristiana.
Nella provincia, ricca di idrocarburi, da tre anni imperversano estremisti che hanno dichiarato la loro affiliazione allo Stato islamico. Dal loro arrivo nel 2017, avrebbero provocato almeno duemila vittime e quattrocentomila sfollati.
Costa d’Avorio
Resta tesa la situazione della Costa d’Avorio dopo che Alassane Ouattara è stato proclamato vincitore delle elezioni per la terza volta, con oltre il 94% dei voti. Una percentuale bulgara che non stupisce, visto che i partiti di opposizione avevano invitato a boicottare i seggi in protesta contro il terzo mandato presidenziale, non permesso dalla costituzione.
L’opposizione, guidata da Henri Konan Bédié, non riconosce gli esiti delle elezioni e annuncia la formazione di un “Conseil national de transition”. Come risposta, le forze dell’ordine hanno circondato la sua abitazione, martedì, e arrestato diversi dei suoi uomini.
Intanto da Parigi Guillaume Soro, che aveva guidato i ribelli che avevano condotto Ouattara al potere − ma che poi aveva rotto con lui − mercoledì notte ha diffuso un messaggio via Facebook in cui invita l’esercito all’ammutinamento e a unirsi all’opposizione.
Ex-rebel calls on Ivory Coast army to mutiny, join opposition https://t.co/KIwxf8cjJp
— Reuters Africa (@ReutersAfrica) November 5, 2020
Tanzania
John Magufuli ha prestato giuramento ieri mattina per il suo secondo mandato, dopo un’ampia ma contestata rielezione ottenuta con l’84% dei voti.
Tre ore di messa nello stadio della capitale, una dozzina di delegazioni straniere, tre presidenti (l’ugandese Yoweri Museveni, quello dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa e quello delle Comore, Azali Assoumani) e il primo ministro burundese Alain-Guillaume Bunyoni (sotto sanzioni internazionali).
Dopo Magufuli ha giurato la vice-presidente Samia Hassan Suluhu: è la prima donna eletta in questo ruolo.
Un possente dispiegamento di forze di sicurezza ha impedito alle opposizioni di manifestare. Diversi leaders erano stati arrestati nei giorni scorsi, dopo aver lanciato accuse di brogli. Tutti sono stati liberati fra lunedì e martedì.
Camerun
Non c’è pace nelle due regioni anglofone del Camerun. Dopo la strage di scolari di fine ottobre, si sono susseguiti diversi assalti. Martedì sono state attaccate quattro scuole, sei insegnanti e dieci studenti sono stati rapiti in una scuola protestante di Kumbo, nella provincia di Nord-Ovest. Fortunatamente, gli studenti sono stati liberati il giorno stesso, in seguito a una “mobilitazione spontanea” delle persone. Gli insegnanti sono invece stati liberati ieri. Mercoledì, una decina di “persone non identificate” hanno attaccato una scuola di Limbé, nella regione di Sud-Ovest, hanno picchiato insegnanti e alunni e poi hanno saccheggiato la scuola e le hanno dato fuoco. Un insegnante ha dichiarato a AFP che gli assalitori hanno chiesto a studenti e professori di «spogliarsi, prima di scattare loro delle foto nudi» e di «dar fuoco alle classi».
A Bamenda, capoluogo della regione del Nord-Ovest, un collegio è stato attaccato martedì da quattro terroristi, messi poi in fuga da una pattuglia di forze di sicurezza.
A Fundong, sempre nella provincia di Nord-Ovest, sei liceali sono stati rapiti mercoledì mentre andavano a scuola e sono stati rilasciati dopo qualche ora, grazie alla pressione della popolazione. Secondo Ilaria Allegrozzi, ricercatrice di Human Rights Watch per l’Africa centrale, «la scuola è utilizzata come un’arma di guerra in questo conflitto» e «i separatisti non vogliono che i bambini vadano a scuola, istituzione che secondo loro li assimilerebbe al potere centrale» francofono. Secondo le stime dell’Unicef, sarebbero 855mila i bambini non scolarizzati nelle zone anglofone.
Intanto ieri migliaia di persone hanno partecipato ai funerali dei sette bambini uccisi a Kumba il 25 ottobre. Avevano fra i sette e i dodici anni. Presente anche il primo ministro Joseph Dion Ngute, che ha promesso che i colpevoli non resteranno impuniti.
E un’ultim’ora conferma la notizia del rapimento del card. Christian Tumi, mentre si trovava sulla strada fra Kumbo e Bamenda, nella regione del Nord-Ovest. Rapito, oltre a lui, anche il re locale di Kumbo, il Fon of Nso, autorità morale tradizionale. Elie Smith, collaboratore del cardinale, ha confermato la notizia ai microfoni di RFI, spiegando che l’alto prelato si era prodigato in appelli perché i bambini potessero frequentare regolarmente le scuole.
Sahrawi
Gli Emirati Arabi hanno inaugurato il 4 novembre un consolato generale a Laayoune, nel Sahara Occidentale, nella parte sotto il controllo del Marocco. Il Sahara Occidentale vive da decenni in un limbo: classificato dalle Nazioni Unite come “non autonomo”, vede da decenni il Fronte Polisario in lotta contro il Marocco per ottenere l’indipendenza. È la sedicesima rappresentanza diplomatica nel Paese.
Le negoziazioni infinite sono sospese da mesi. Ciò nonostante, quindici paesi africani hanno aperto rappresentanze consolari dalla fine del 2019 a Laayoune a nella città portuale di Dakhla. Gli Emirati Arabi sono i primo paese arabo a compiere questo passo, con un implicito riconoscimento dei diritti dei Sahrawi, che il Marocco considera una propria provincia.
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