7 maggio 2024 – Notiziario in genere

Scritto da in data Maggio 7, 2024

Entra in vigore il divieto di aborto di sei settimane in Florida: è la fine all’accesso nel sud-est degli Stati Uniti. Estradato dal Pakistan in Norvegia l’islamista norvegese accusato per la sparatoria mortale al festival LGBTQ+ di Oslo. Contraccezione forzata: le donne groenlandesi chiedono i danni allo Stato danese.

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Stati Uniti

In Florida, raccontano molte testate tra cui il Guardian, è entrato in vigore un divieto di aborto di sei settimane, interrompendo quindi l’accesso alla procedura con un limite che rende di fatto impossibile alle persone anche solo di sapere di essere incinte, radendo così al suolo l’ultima roccaforte del diritto di aborto degli Stati Uniti sudorientali.

Il divieto è entrato in vigore settimane dopo che la Corte suprema dello stato della Florida ha preso una decisione che ne ha aperto la strada.

Divieti severi ora coprono tutto il profondo sud americano, aumentando la pressione sulle restanti cliniche del paese.

La clinica più vicina per la maggior parte delle donne della Florida che hanno superato le sei settimane di gravidanza si trova ora in diversi stati di distanza, nella Carolina del Nord, dove le donne hanno un po’ più di tempo, perché lì vige il divieto all’aborto dopo le 12 settimane di gravidanza.

I dati

L’anno scorso, secondo i dati statali, in Florida sono stati eseguiti più di 84mila aborti, comprese più di 9mila per pazienti straniere, secondo il Guttmacher Institute. Circa il 60% delle interruzioni di gravidanza in Florida avviene dopo la sesta settimana di gravidanza.

Martedì scorso, una settimana fa, nell’ultimo giorno prima dell’entrata in vigore del divieto, una clinica per aborti a Gainesville, in Florida, stava cercando di accogliere quante più pazienti possibile.

La clinica ha aumentato gli orari di apertura nel corso di aprile, ma la fretta è stata aggravata dal fatto che, oltre al divieto imminente, la Florida richiede alle persone di avere un consulto di persona presso una clinica per aborti almeno 24 ore prima di sottoporsi alla procedura.

Una paziente sarebbe potuta arrivare martedì esattamente alla sesta settimana di gravidanza, ma sarebbe stato troppo tardi per abortire dato che il divieto è entrato in vigore mercoledì.

Il team femminile della clinica, il Bread and Roses Women’s Health Center, ha dovuto spiegare più e più volte queste complesse norme a persone al telefono e a pazienti disorientate, mentre i telefoni squillavano senza interruzioni per ore.

Prima del divieto di sei settimane, Kristin, direttrice di Bread and Roses, aveva affermato che la clinica raramente vedeva le persone prima delle sei settimane di gravidanza.

“La maggior parte delle persone non sa di essere incinta fino ad almeno sei settimane”, ha detto Kristin in un’intervista la settimana prima che il divieto entrasse in vigore.

(Citando i timori sulla privacy, come molte altre persone alla clinica, Kristin ha chiesto di essere identificata solo con il suo nome.)

“Cerchiamo di far entrare le persone il più rapidamente possibile, ma a volte non abbiamo posti anche per tre settimane, quindi è raro che qualcuna arrivi prima delle sei settimane”, dice.

Da altri Stati

Rispetto al 2020, nel 2023 in Florida ci sono stati quasi 9mila aborti in più. Secondo il Guttmacher Institute, le pazienti che hanno abortito fuori dallo stato hanno rappresentato quasi il 60% di tale aumento.

Bread and Roses visitava dalle 20 alle 30 pazienti al giorno, ma ad aprile la clinica ha iniziato a vederne più di 40 al giorno, ha detto Kristin. La clinica tende a visitare ogni giorno dalle tre alle dieci pazienti provenienti da altri stati, ha detto.

“Man mano che gli stati crollavano, maggiore era l’aumento che abbiamo visto da altri stati”, ha detto Kristin.

Kristin ha rifiutato di dire da dove provengono le pazienti della sua clinica, a parte dire che si tratta nel sud-est degli Stati Uniti.

La campagna elettorale

Oltre alla decisione del mese scorso di lasciare entrare in vigore il divieto di sei settimane, la Corte Suprema della Florida – che è dominata da giudici di nomina repubblicana – ha dato il via libera a una misura elettorale di novembre per sancire il diritto all’aborto nella costituzione dello Stato.

Se la misura passasse, il divieto di sei settimane sarebbe considerato incostituzionale e l’aborto sarebbe legale fino alla vitalità, circa 24 settimane dopo l’inizio della gravidanza.

Diverse persone dello staff di Bread and Roses indossavano spille che invitavano le persone a “votare sì” al provvedimento elettorale.

Circa una dozzina di stati potrebbero far sì che si voti direttamente sul diritto all’aborto a novembre.

I sostenitori del diritto all’aborto hanno già vinto misure elettorali negli stati di tutto il paese, compresi i bastioni repubblicani come Kansas e Kentucky, ma per vincere in Florida, la misura sul diritto all’aborto dovrà raccogliere il 60% dei voti.

Indipendentemente dal suo esito, al voto mancano mesi. Nel frattempo, migliaia di pazienti potrebbero essere colpite dal divieto di sei settimane.

“Sarà terribile e avrà un impatto su tutto il sud-est”, ha detto il dottor K., un medico di famiglia che pratica aborti al Bread and Roses. “Non ho proprio idea di cosa faranno queste pazienti e dove andranno”.

Pakistan

Un islamista radicale norvegese sospettato di complicità nella sparatoria mortale avvenuta due anni fa a un festival LGBTQ+ a Oslo è stato espulso dal Pakistan verso la Norvegia. Lo riporta l’AP. Due persone sono state uccise e nove gravemente ferite nella sparatoria avvenuta in tre luoghi, principalmente fuori dal London Pub, un popolare bar gay nel quartiere della vita notturna di Oslo, il 25 giugno 2022.

Arfan Bhatti avrebbe pubblicato online dichiarazioni sull’uccisione di persone gay, hanno riferito i media norvegesi.

Bhatti conosceva Zaniar Matapour, il principale sospettato dell’attacco che il servizio di sicurezza della polizia norvegese ha definito un “atto terroristico islamico”. Matapour è da marzo sotto processo a Oslo per la sparatoria, accusato di terrorismo.

Chi è Bhatti

Cittadino norvegese nato a Oslo da immigrati pakistani, Bhatti che ha un passato in bande criminali, è stato una figura di spicco del movimento islamico radicale e circola in Norvegia da anni, noto soprattutto come figura di spicco di un gruppo affiliato allo Stato islamico nel paese.

Il 46enne non era in Norvegia nel 2022 ma probabilmente in Pakistan.

Il suo ruolo nella sparatoria del 2022 non era chiaro e la polizia norvegese ha affermato che con il ritorno di Bhatti in Norvegia, “vogliono continuare con indagini approfondite per far luce su quale coinvolgimento Bhatti potrebbe aver avuto nell’attacco”.

In Norvegia

Emilie Enger Mehl / Senterpartiet (Sp) | Flickr

“Non importa in quale parte del mondo si trovi qualcuno, dovrebbe sapere che le autorità norvegesi stanno facendo tutto il possibile per portarlo in Norvegia”, ha detto la ministra della giustizia Emile Enger Mehl in una conferenza stampa.

La polizia norvegese ha affermato che, nonostante non ci sia nessun accordo di estradizione con il Pakistan, le autorità pakistane hanno permesso “di completare le indagini sul caso terroristico”.

Bhatti potrebbe essere chiamato a testimoniare nel processo presso il tribunale distrettuale di Oslo contro Matapour.

L’avvocato di Bhatti, John Christian Elden, ha affermato che il suo cliente non ha nulla a che fare con la sparatoria del 2022. “Spetta al sistema legale decidere se sia colpevole”, ha detto Enger Mehl.

Matapour, un cittadino norvegese originario dell’Iran, avrebbe sparato 10 colpi di mitragliatrice e otto colpi di pistola contro la folla prima di essere arrestato.

In seguito all’attacco, una parata del Pride è stata annullata perché la polizia ha affermato di non poter garantire la sicurezza.

Matapour, che aveva giurato fedeltà al gruppo Stato islamico, si è rifiutato di parlare con gli investigatori. Se giudicato colpevole, rischia 30 anni di carcere.

Danimarca

Separata dalla famiglia all’età di 11 anni, Henriette Berthelsen è stata costretta a indossare la spirale, un trauma che ha nascosto a lungo prima di sporgere denuncia contro la Danimarca, come 142 sue connazionali della Groenlandia.

“Ho rimosso così tanto. Secondo la cartella clinica, mi sono fatta inserire una spirale nove volte dall’età di 13 anni”, spiega all’AFP la psicologa e attivista nel suo appartamento alla periferia di Copenaghen. “Ricordo un grande dolore”.

Henriette Berthelsen, 66 anni, è una delle 143 inuit ad aver presentato denuncia contro la Danimarca per violazione dei suoi diritti durante la campagna di contraccezione forzata condotta tra gli anni ’60 e ’80.

Queste denunce dovrebbero portare a un processo.

E in autunno, 67 ricorrenti hanno chiesto risarcimenti per circa 40mila euro. Lo Stato non ha ancora risposto.

“Tutte le richieste di risarcimento saranno valutate dal ministero” della Salute e dell’Interno, dicono in una email all’AFP.

Per Copenaghen, questa campagna di contraccezione forzata mirava a limitare il tasso di natalità nel territorio artico che, sebbene non fosse più una colonia dal 1953, rimaneva sotto controllo.

Senza consenso

I genitori di Henriette Berthelsen non hanno mai dato il loro consenso a questi interventi.

Inviata per un anno in Danimarca per imparare la lingua, la ragazza è stata poi educata in un collegio danese a Nuuk, capitale del territorio, lontano dalla sua frazione di Qeqertarsuatsiaat (Groenlandia sud-occidentale).

“Un cartello diceva che tutte le ragazze del collegio dovevano andare in infermeria”, racconta.

Per molto tempo Henriette rimane in silenzio, ricordando un adagio di sua madre: “Non si contraddice un danese”. E per molte delle sue compagne di classe, il trauma avrà un impatto nella loro vita di donne.

“Nella mia classe all’epoca, un numero notevole di donne non poteva avere figli”, osserva la sessantenne che si batte affinché le vittime della contraccezione forzata possano ricevere aiuto psicologico.

Per Ebbe Volquardsen, docente all’Università di Nuuk, “ci vuole tempo perché i gruppi emarginati (…) prendano coscienza della disuguaglianza sistemica e siano in grado di problematizzarla”.

È stata la testimonianza di un’altra vittima e poi una serie di podcast nel 2022 a rivelare al grande pubblico l’esistenza di questa campagna contraccettiva, dimenticata dalle autorità pubbliche e repressa dalle vittime.

“È importante che lo Stato danese si assuma le proprie responsabilità”, afferma Henriette Berthelsen.

“Certe cose sono accadute come risultato del colonialismo”, come “decidere al posto di un popolo se ce ne sono troppi o non abbastanza, commettere un genocidio, commettere violenze e offese contro le ragazze”.

“Nel contesto degli anni 2020 (…) gli elementi autoritari della campagna sono apparsi come un esempio scioccante di come la situazione coloniale/postcoloniale abbia influenzato l’interazione tra groenlandesi e danesi”, aggiunge lo storico Søren Rud.

“Enorme successo”

L’avvocato della querelante, Mads Pramming, ha inserito nel fascicolo una copia del 1971 della rivista medica che descrive il “successo” di questa politica.

“C’erano 9mila donne in età fertile e nel giro di quattro anni hanno messo la spirale a metà di loro, 4.500 in totale, e la popolazione è diminuita enormemente”, spiega.

“In alcuni villaggi non ci sono state nascite. Si gridava all’enorme successo”.

Per la stragrande maggioranza delle denuncianti, la più anziana delle quali ha oggi 82 anni, la campagna ha avuto un impatto duraturo sui loro corpi.

“Tra 143, una cinquantina hanno dovuto subire l’asportazione dell’utero e non hanno potuto avere figli, tutte hanno sempre sofferto” fisicamente e mentalmente, riassume Pramming.

“Le loro testimonianze saranno la prova più pesante in questo caso”, ha detto l’avvocato.

Soprattutto perché un incendio ha distrutto buona parte delle cartelle cliniche delle donne colpite.

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