Afghanistan: il paese delle lezioni che non si imparano

Scritto da in data Gennaio 9, 2023

L’Afghanistan è il paese delle opportunità mancate e delle lezioni che non si imparano.

L’Unione Sovietica occupò il paese, fu sconfitta e costretta a ritirarsi nel 1989. I gruppi di resistenza formarono un governo di coalizione, ma invece di ricostruire la nazione, si rivoltarono l’uno contro l’altro in una guerra civile che rase al suolo Kabul e fece precipitare il paese nel caos. Quel caos ha permesso ai talebani − nella loro prima iterazione − di prendere il potere.

La gente sollevata, dal fatto che i combattimenti fossero finalmente terminati, accolse inizialmente il gruppo il cui nome significa gli “studenti”. Ma invece di portare la calma accademica e una ripresa economica intelligente, i talebani si concentrarono sull’invenzione di regole eccentriche di abbigliamento e condotta, chiudendo le scuole femminili, facendo saltare in aria i Buddha di Bamiyan e collaborando con il gruppo terroristico arabo, al-Qaida, facendo così diventare l’Afghanistan post 11 settembre 2001 il teatro della rappresaglia americana e della caduta del regime stesso talebano.

Sono seguiti venti anni di massicce infusioni finanziarie, programmi di sviluppo, istruzione – soprattutto nelle città − e un enorme sforzo militare statunitense per addestrare ed equipaggiare l’esercito afghano.

Tali livelli di investimenti e sforzi avrebbero potuto trasformare l’Afghanistan nella Svizzera dell’Asia centrale. Invece, i politici del paese hanno perfezionato l’arte del furto e della corruzione. L’esercito ha lasciato che gli americani facessero il lavoro pesante, mentre loro si concentravano sulla creazione di soldati fantasma (reclute immaginarie che prendevano uno stipendio, intascato in realtà dagli ufficiali).

Il nuovo governo, disinteressato alla costruzione della nazione, si è impegnato nella costruzione di ville, palazzi hollywoodiani incredibilmente brutti, mentre la maggior parte della gente continuava a languire in capanne di fango rurali. Aree rurali che erano il terreno e il luogo di reclutamento perfetti per i talebani, che non solo persistevano, ma crescevano.

Senza contare che i talebani durante le conversazioni che hanno accompagnato i colloqui di pace di Doha di due anni fa, hanno sottolineato con forza di aver imparato dagli errori passati. Questa volta sarebbero stati benevoli guardiani dello Stato e avrebbero mostrato all’Occidente e al mondo quello che la repubblica islamica afghana poteva realizzare. Si sarebbero dedicati allo sviluppo e al benessere della popolazione. E gli Stati Uniti, per potersene andare, hanno deciso di credergli. L’Europa e la Nato, nel frattempo, si sono dimostrate per l’ennesima volta incapaci di prendere decisioni autonome, motivo per il quale un attimo prima dell’opportuna guerra in Ucraina, qualcuno aveva messo in dubbio la stessa necessità del patto atlantico.

Il ritorno dei talebani

In Afghanistan le cose all’inizio sono cominciate male, ma non troppo. I talebani sono entrati a Kabul senza grandi incidenti, nessuno poteva biasimarli per aver preso il controllo unilaterale della capitale, con il presidente Ashraf Ghani fuggito nella notte in elicottero pensando, a detta sua, di risparmiare alla capitale un bagno di sangue, soprattutto il suo.

La vita è continuata: nel terrore per quelli della società civile che non erano riusciti a lasciare il paese ad agosto, nello shock soprattutto per le donne che non sapevano cosa il futuro avrebbe riservato loro. Si era parlato prima del 15 agosto di un governo inclusivo con donne e minoranze, ma il 16 era già chiaro che così non sarebbe stato. I talebani volevano tutto e hanno preso tutto. Non che non ci siano stati, almeno nei primi tempi, dei miglioramenti. Con la fine dei combattimenti tra l’esercito dissolto e i talebani, si sono potute raggiungere aree prima inaccessibili per via del conflitto. Una benedizione soprattutto per la gente e le Ong rimaste e che potevano così accedere alla popolazione ovunque.

Di sicuro non è stato bello che il gabinetto talebano non avesse nemmeno una donna e che i membri di altri gruppi etnici e politici non fossero rappresentati ma, dato che l’alternativa era un ritorno alla guerra civile o alla guerra aperta, il mondo è sembrato disposto a essere tollerante e paziente come non è stato su altri fronti.

Dopotutto, qualcuno ai piani alti ha pensato che si trattasse di una forza combattente che doveva ancora acquisire capacità di governo e amministrazione. Anche se la riapertura delle scuole medie e superiori femminili continuava a essere rinviata con un pretesto o un altro, e anche dopo che il leader di al-Qaida era stato trovato comodamente affacciato su un balcone del centro di Kabul (e rimosso meno comodamente da un drone americano) la pazienza del mondo ha tenuto.

Il prezzo della “pace”

Nessuno vuole una ripresa del conflitto, tanto più che, in assenza di un contendente credibile, significherebbe solo una lotta sanguinosa e prolungata. È stata persino istituita una commissione speciale delle Nazioni Unite per negoziare una sorta di “normalizzazione” delle relazioni diplomatiche con i talebani, culminando potenzialmente nel riconoscimento del loro governo.

Gli ex paria erano pronti a prendere posto sulla scena mondiale, e tutto quello che dovevano fare era lasciare che le ragazze andassero al liceo, includere alcuni non talebani nei loro vari consigli e attenersi alle cose che avevano già concordato a Doha, come non sostenere il terrorismo.

Sembrava fin troppo facile, ma solo per quegli occidentali sordi alle grida delle ragazze afghane, degli artisti, degli attivisti. Neanche dei giornalisti che, ancora per poco, riusciranno ancora a entrare, dopo che tutto il sistema giornalistico afghano è stato cancellato.

Donne nel mirino

Poco prima di Natale è stato annunciato che le donne sarebbero state bandite anche dalle università. Il mondo ha avuto appena il tempo di condannarlo, che siamo passati oltre: alle donne era è ora vietato di lavorare per Ong, nazionali o straniere. Apartheid di genere, si chiama quello che sta accadendo alla donne in Afghanistan. Un paese privo del suo Mandela, ma con tante dissidenti che nessuno vuole vedere perché la coscienza occidentale andrebbe in frantumi sulle scelte scellerate e interessante che sono state fatte in quel paese.

Afghanistan: uomini che odiano le donne

Il non mandare le ragazze a scuola, impedire alle donne di lavorare, a maggior ragione nelle Ong dove le donne aiutano donne in estrema difficoltà in un posto dove agli uomini è vietato sostituirle, ovviamente, è inaccettabile in base ai valori minimi e ai diritti umani. Non hanno fondamento da nessuna parte se non nella patologia di uomini che li hanno inventati, non certo l’Islam come ha subito espresso un coro di sgomento tra studiosi e leader di tutto il mondo islamico. Ma sono anche inspiegabili sulla base del semplice pragmatismo. Senza aiuti esterni, l’Afghanistan è in gravi difficoltà. In un paese dove le donne non possono lavorare ci sono centinaia di vedove alla fame, milioni di famiglie stremate. Se una donna non può andare da un medico donna, perché non studiano più all’università, non si può curare. La mancanza di accesso ai servizi di base − perché uomini e donne non si possono neanche guardare, figuriamoci passare un pacco di riso − porta le donne sull’orlo del baratro sia fisico che mentale. Non che gli uomini stiano meglio: il lavoro non c’è, le regole li opprimono, hanno costantemente paura di essere scoperti, traditi, spiati.

Mancano infrastrutture e capitale umano

Mancano, già da alcuni anni, le risorse per nutrirsi o per fornire energia, strumenti di base per il trasporto o l’agricoltura, farmaci e cure mediche. Per essere autosufficiente, il paese ha bisogno di costruire con saggezza ed energia infrastrutture e capitale umano. Data la totale segregazione in atto, che non consente alle donne di essere curate da medici uomini, cosa si propongono i talebani per coltivare una generazione futura praticabile e viva? Senza infermiere e dottoresse, il già alto tasso di mortalità materna e infantile non farà che aumentare. Se poi le Ong, che non possono più impiegare donne, e anche le Nazioni Unite decideranno di lasciare il paese (è qui che entrano la maggior parte degli aiuti), l’Afghanistan sarà condannato a implodere. Anche perché è importante sapere che l’umanitario non ha mai lasciato l’Afghanistan, nonostante le difficoltà e le nuove regole. Molte Ong sono scappate, altre sono rimaste mutando le missioni ma non il cuore del loro lavoro. Ma con gli editti dei talebani, anche le Ong e le Nazioni Unite si ritrovano a dover prendere delle decisioni. Cinque grosse organizzazioni, tra queste Save the Children e Care, hanno sospeso dei progetti, mentre le altre aspettano di capire cosa succederà nei prossimi giorni.

Gli aiuti dell’Occidente

Da quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan nel 2021, la comunità internazionale ha contribuito offrendo dai 40 agli 80 milioni di dollari ogni settimana all’economia del paese, e i funzionari della Banca Centrale hanno twittato sull’immissione di fondi ogni settimana. Tuttavia, c’è stato un silenzio totale per alcune settimane perché la Banca non ha più fatto annunci. Inoltre, Martin Griffiths, principale coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, ha dichiarato che la restrizione dei talebani alle Ong che impiegano donne, ha costretto alla sospensione del volo delle Nazioni Unite che trasportava denaro per gli aiuti umanitari a Kabul, come riferito da Bbc. Le Nazioni Unite specificano anche che non versano soldi sull’Afghan Bank ma li distribuiscono direttamente ai beneficiari. In ogni caso, secondo l’Afghanistan Bank, dall’agosto 2021 la comunità internazionale ha donato al governo dell’Aie un totale di 1,7 miliardi di dollari in contanti. 

Wfp: Afghanistan, una catastrofe epocale

Tutto questo molti, all’interno delle alte e medie sfere dei talebani, lo riconoscono. In privato esprimono costernazione per le sentenze emesse nella dura provincia di Kandahar, dove troneggia il leader supremo dei talebani che, secondo loro, rappresenta una minoranza molto piccola ma molto importante attorno ad Haibatullah.

Questa volta, a differenza della prima presa di potere dei talebani negli anni Novanta, c’è un pubblico respingimento. Ci sono state manifestazioni di donne, ma anche di uomini. Un gruppo di studenti maschi, a Herat, ha abbandonato gli esami finali dell’università in segno di solidarietà con le colleghe bandite. Secondo fonti credibili, alcuni fanti talebani hanno lasciato i loro posti per protesta.

Parte di questa opposizione riflette in parte principi, in parte il pragmatismo e probabilmente gran parte di essa è un mix. Di sicuro, mancano figure di opposizione. Qualcuno cita il figlio di Massoud, il leggendario Signore della Guerra che piaceva tanto agli Occidentali negli anni Ottanta. Ma non è così amato dagli afghani, che lo rimandano a un barlume di resistenza solo nelle sue terre che neanche controlla troppo bene.

Talebani divisi?

Gli intransigenti talebani faranno crollare il paese, il che è chiaro alla maggior parte delle persone che seguono questa regione, compresi anche funzionari e persino membri del gabinetto dei talebani. Di conseguenza, cosa stanno effettivamente facendo i talebani riguardo al dirottamento della storica seconda possibilità del movimento? Non molto, e sicuramente non abbastanza. Ci sono discussioni interne durante le riunioni dei talebani. Delegazioni si sono recate a Kandahar per fare appello alla cerchia interna, ma sono state respinte sulla base del pensiero magico. Il paese morirà di fame senza aiuti esterni? No, il cibo viene da Dio che provvederà se tutti mostreranno sufficiente pietà. Donne e neonati muoiono durante il parto senza un’adeguata assistenza medica? È la volontà di Dio.

I fantasmi di Kabul

Il timore è che questa qualità di leadership porti a una nuova guerra civile. Già si stanno svolgendo raduni di gruppi di opposizione a Vienna e Dushanbe, tra le altre località, ospitati dai governi occidentali e regionali che stanno pensando di sostenere una rivolta. Questo può essere allettante, ma non è un buon scenario. Non c’è un contendente abbastanza forte per una vittoria chiara o rapida, e un ritorno alla violenza è l’ultima cosa che si augura al popolo afghano.

Per evitare il collasso dell’economia del paese e il suo ritorno al ruolo di “stato paria”, o un ritorno alla guerra e allo spargimento di sangue, i talebani possono solo togliere potere alla piccola cricca di eccentrici autocrati di Kandahar. Questo, ovviamente, non sarà facile. Mentre l’ortodossia islamica può concordare sul fatto che le sentenze sul lavoro e sull’istruzione delle donne sono anti-islamiche, danneggiando la comunità dei credenti, l’Islam non ha equivalenti alla scomunica e la parte sunnita in particolare tende a sottolineare l’obbedienza al governante, anche se questo è buono. Inoltre, durante i decenni della loro lotta, i talebani sono rimasti uniti e indivisibili. Mostrare pubblicamente divisione e disaccordo sarebbe un grande passo.

L’uso della religione

D’altra parte, se ragionevoli elementi talebani trovassero un po’ di coraggio, troverebbero condizioni favorevoli. Autorità islamiche molto rispettate all’interno del paese, come il famoso professor Abdul Samad Qazizadah, o anche Maulawi Jalilullah Mawlawizadeh, capo di una madrasa a Herat, hanno pubblicamente denunciato le sentenze come prive di fondamento nell’Islam e potenzialmente in grado di distruggere il paese rovinando il buon nome dell’Islam davanti all’opinione pubblica mondiale. Le loro parole hanno un peso.

E mentre manca la scomunica, la dichiarazione della scorsa settimana dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica − che rappresenta cinquantasette stati membri e che sconfessa le sentenze talebane sull’istruzione e l’occupazione femminile − dovrebbe dare ai dissidenti all’interno del gruppo il sostegno teologico e politico per opporsi apertamente a tali politiche. Li qualificherebbe per un significativo aiuto e sostegno intra-islamico nel caso riuscissero a prendere il timone.

Al di fuori dell’Afghanistan, la comunità internazionale è stata cautamente incline ad accettare il governo talebano. Questo è fuori discussione ora, fintanto che i “falchi” di Kandahar sono al comando. Ma se dovessero essere rimossi e prevalesse l’ala moderata, potrebbero aspettarsi un aiuto e un sostegno significativi. Qatar, Cina e Iran sono presenti, così come India e Russia. Tutti paesi che con i diritti hanno poca familiarità.

Ma se venisse revocato il divieto di occupazione femminile, riaperte le scuole femminili, riammesse le donne nelle università e adottate misure per un governo più inclusivo, cambierebbe tutto. Aggiungiamo che se gli intransigenti di Kandahar − molti dei quali sono nelle liste del terrorismo globale − non facessero più parte del governo, le sanzioni potrebbero essere revocate e i beni congelati del paese rilasciati.

Molti di questi membri talebani moderati, che hanno sfidato in passato gli Stati Uniti e la Nato, avranno il coraggio di affrontare la ristretta cerchia di intransigenti che stanno alzando il dividendo della pace e portando il paese alla rovina? Con la guerra civile all’orizzonte, potrebbero non avere molta scelta. E noi occidentali? Saremo capaci per una volta di schierarci dalla parte dei diritti e delle donne, e non solo dei nostri interessi che, in questo caso, a lungo andare scadono come il latte in frigo.

 

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Foto di copertina: Foto di nasim dadfar su Unsplash 

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