Afghanistan, un paese di successi sportivi
Scritto da Barbara Schiavulli in data Giugno 28, 2019
Doveva essere solo una partita di prova, ma quando l’Afghanistan ha battuto a maggio il Pakistan nella coppa del mondo di cricket maschile nel Regno Unito, i tifosi sono scesi in strada a festeggiare con petardi e colpi di pistola. I politici di tutto l’Afghanistan hanno messo da parte le differenze per celebrare insieme. La vittoria è stata particolarmente dolce anche perché l’Afghanistan è in costante tensione con il Pakistan. Kabul accusa il vicino di finanziare i talebani.
Ma per un momento grazie allo sport, gli afgani hanno vissuto il loro piccolo riscatto. Sono almeno 40 anni che l’Afghanistan è dilaniato da guerre, invasioni, terrorismo e conflitti etnici. Ora, gli incredibili successi dal cricket al calcio, dalle arti marziali al wrestling, aiutano il paese a sognare una nuova identità e offreno alla gente la speranza di un futuro migliore.
Quando tornai in Afghanistan nel 2002 per la seconda volta stavano spuntando palestre come funghi, 80 palestre per uomini nel giro di due anni. Tutto quello che era vietato durante il regime dei talebani, veniva fatto rivivere. Qualche anno più tardi avrei visitato la prima palestra di aerobica per donne, la proprietaria aveva messo su la palestra per onorare la sorella uccisa dai talebani perché faceva karate. Poi è diventata la prima vice presidente donna della commissione olimpica afgana.
Guardai circondata da uomini, la partita Italia Messico nel famigerato stadio Ghazi di Kabul, che l’ultima volta che era stato aperto, era per le esecuzioni pubbliche che facevano i talebani. Era diventato il luogo della sconfitta. Del dolore della morte. Le immagini delle persone appese alla forca, delle donne lapidate, ancora echeggiavano nelle teste di chi era lì. La partita venne mandata su un maxi schermo, in differita, dicendo a tutti prima il risultato per paura che scommettessero e poi litigassero e ci scappasse il morto. Era così l’Afghanistan all’indomani della caduta del talebani, con il loro medioevo dentro e quel trauma che continuano a vivere in un paese dove la guerra in realtà non è mai finita.
Nel 2010, l’Afghanistan era al 195eismo posto nella classifica del calcio maschile della Fifa. Oggi è salito al 149, e negli ultimi 5 anni è rimasto in quella zona, dimostrando che non è un successo provvisorio. L’Afghanistan riguardo all’Asia meridionale è solo dietro l’India e davanti a nazioni molto più grandi come il Pakistan e il Bangladesh.
Dal 2008, l’Afghanistan, che fino ad allora non aveva mai vinto una medaglia olimpica, ne ha vinte due, una nel 2008 e una nel 2012, entrambe per il taekwondo. Nessuna nazione oltre all’India, nell’Asia meridionale ha mai fatto tanto. L’Afghanistan ha anche portato a casa medaglie, ben sette, negli ultimi tre giochi asiatici, l’apice degli eventi sportivi del continente. Medaglie date al cricket, al taekwondo, al wushu e al kurash, una sorta di lotta turca.
Il paese degli aquiloni è stato ammesso nell’organizzazione internazionale del cricket solo nel 2001, ma nel 2018, è diventata la 12esima nazione a guadagnare lo status di Test, una prova di cinque giorni di resistenza, il formato più duro del cricket. Mesi dopo hanno battuto l’Irlanda per la loro prima prova. E nel formato più breve di questo sport, il T20, lo spinner afgano Rashid Khan si è classificato come il migliore lanciatore del mondo ed è una stella della Premier League indiana (Ipl). “Il fatto che Rashid Khan abbia ottenuto un contratto da un milione di dollari dall’Ipl permette ai giovani di sognare”, ha spiegato al Ozy lo storico del cricket Boria Majumdar.
L’Afghanistan era stato escluso dalle competizioni olimpiche nel 1999 dopo che i talebani avevano vietato la partecipazione delle donne allo sport. Nel 1978 dopo l’invasione sovietica, il Kabul Golf Club, aperto nel 1967 fu chiuso.
I successi sportivi hanno un impatto ben oltre il campo di gioco, dà orgoglio nazionale, identità, aiuta a modellare le aspirazioni dei giovani.
I primi cambiamenti sono avvenuti nel 2004, in quell’anno la federazione di pallamano dell’Afghanistan fondata nel 1981, divenne membro delle federazioni di pallamano asiatiche internazionale. Anche in quell’anno riaprì il Kabul Golf Club (si tratta di un campo da nove buche vicino a Kargha e non molto bello) e l’Afghanistan venne riammesso ai giochi olimpici ad Atene. Due Atlete, Robina Muqim Yaar rappresentarono il paese, e anche se non vinsero niente, era come se lo avessero vinto solo per aver partecipato. Un’atleta donna ha anche partecipato alle paraolimpiadi sempre ad Atene per la prima volta da quando la federazione delle paraolimpiadi dell’Afghanistan è stata fondata nel 2004.
“Sul campo mi sento una mina”, dice facendo una battuta Malik Muhammad che nel 2011 aveva 18 anni, e ha perso le gambe su una mina vera cinque anni prima. Ora fa nuoto e basket, ed era nella nazionale paraolimpica di nuovo e ci racconta che lo sport lo ha salvato.
“Abbiamo dovuto cominciare da capo, ma se c’è una cosa che non cambia mai è la voglia di vincere”, ci dice Abdul Wasid, allenatore della squadra nazionale femminile di pallacanestro.
D’allora sono stati innumerevoli i passi avanti, soprattutto nelle arti marziali. Nel 2007, Siyar Baharduzada, ha sconfitto il giapponese Shikou Yamasita per vincere il campionato dei pesi massimi leggeri Shooto, un’importante competizione MMA. L’anno seguente l’Afghanistan ha ospitato la prima corsa ciclistica Kabul – Jalalabad. Nel 2009 venne istituita la federazione di golf dell’Afghanistan e per la prima volta una squadra di karate afgana ha partecipato al torneo mondiale Karate All Kyoshunin, uno degli eventi più importanti di questo sport.
“Mi sento felice quando mi batto”, ci dice mentre dal naso gli cola il sangue Ashmat Rabai che a 16 anni aveva scelto ormai da 4 anni le arti marziali.
Ma la situazione non è tutta rose e fiori. Le donne continuano ad avere un accesso limitato allo sport, il paese è attanagliato dalle tradizioni. Solo nell’agosto 2009 si è tenuta la prima gara femminile di sollevamento pesi. La squadra nazionale di cricket femminile è stata costituita nel 2010 e sciolta nel 2014.
Ho incontrato le ragazze del pugilato, si allenavano in una fatiscente palestra all’interno del famigerato stadio, venivano scortate a casa dalla polizia e l’allenatore aveva dovuto chiedere il permesso ai genitori per poterle allenare e i genitori avevano dovuto avvisare il vicinato perché non c’è niente di peggio dello sparlare della gente. Ma una di loro è andata alle olimpiadi di Londra, veloce, scattante, piccola e con la voce di un angelo. Shabnaz, aveva 18 anni, ha cominciato perché le piaceva guardare il pugilato in televisione. “Nel Corano non è scritto che le donne non possono fare le pugilesse”, ci ha detto, “so che uno sport violento, ma mi scarico anche se a volte le mie amiche hanno paura di me. Prima di sposarmi farò un lungo discorso all’uomo che i miei genitori sceglieranno per me, e se non lo sposerò se non mi accetterà come sono”.
“Mi piace combattere e vincere, uno dei mie fratelli non vorrebbe neanche che andassi a scuola, ma per fortuna i miei genitori sono forti”, ci dice Amina, 15 anni durante l’allenamento di pugilato. “Voglio essere rispettata. So che dovrò sposarmi, ma se alzerò un dito contro di me, lo butto al tappeto”. Il pugilato infonde sicurezza. Amina, le chiedo, che cos’è per te la la felicità? “Non sentire il rumore delle esplosioni nella mia testa”.
L’anno scorso, le calciatrici della nazionale femminile hanno accusato i dirigenti della federazione di abusi sessuali, questo ha fatto sì che gli sponsor si ritirassero e i genitori a trascinare via le ragazze. La Fifa ha sospeso l’allora capo della Federcalcio afgana, Keramuddin Keram e sono state cancellate le partite amichevoli sono state cancellate.
Eppure piano piano l’Afghanistan e le sue donne continuano a combattere. Nel 2009 abbiamo visitato Skateistan, il primo parco di skateboard destinato a ragazzi e ragazze a Kabul. Messo su da un’australiana, il Comitato olimpico aveva ha donato i terreni per lo skate park che aveva giorni della settimana per le ragazze. Nel 2016 c’è stato il primo allenamento di Rugby per donne all’ambasciata inglese di Kabul. E nel marzo 2018, Hanifa Yausoufi divenne la prima donna a raggiungere la cima del Noshaq, il punto più alto dell’Afghanistan.
“Mi sento libera, orgogliosa, mi dicono tutti che non è da donne, e questo fa si che io non voglia fare altro”, ci spiega Benasha, 23 anni nel 2011 al Park Skate, “la situazione sta migliorando e spero che le prossime generazioni possano fare le cose con più facilità, senza lottare anche solo per uscire di casa”.
Ma è dura, molto dura, quella parte di paesi tradizionale e ultrareligioso non ama lo sport. Forse bastano i rischi, le minacce a spiegare perché l’Afghanistan celebra con tanto ardore i suoi successi sportivi. Ogni vittoria rappresenta la speranza, l’ottimismo. Per una volta quei colpi di arma da fuoco che echeggiano per Kabul non portano lacrime ma sorrisi.
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