Ci mancano perché erano rivoluzionari

Scritto da in data Dicembre 14, 2023

Questo brano, a cura di Giunio Santini, è un estratto del podcast “Tra le pale dei mulini” di Extinction Rebellion Bologna.

 

È morto Henry Kissinger. E come potevamo aspettarci, diversi analisti e giornalisti italiani non hanno perso l’occasione per esaltarne l’acume politico, oltre che la “concretezza necessaria a risolvere le crisi mondiali” citando La Repubblica.

Limitarsi a questo, aggiungendo magari un indifferente “Ognuno avrà il suo giudizio, ma è  innegabilmente una grande figura” è imperdonabile, soprattutto in un momento come questo, dove arrivano al pettine i nodi di un mondo fondato su politiche imperialiste e neocoloniali.

A 50 anni di distanza, la nebbia della guerra di cui parlava Clausewitz si dirada, lasciando spazio invece alla chiarezza della storia.  Oggi sono numerose le fonti interne e rivelazioni di imperialisti in pensione che ci permettono di riconoscere le responsabilità di chi ha plasmato il mondo come lo conosciamo oggi e, soprattutto, di conoscere lo spirito che li aveva mossi.

Nel caso di Kissinger, lo spirito che lo ha guidato è sempre stato un perfido realismo, accompagnato come spesso accade in questi casi, da un totale disprezzo della vita umana. E, purtroppo, del valore insignificante che Kissinger, Segretario di Stato delle presidenze Nixon e Ford, attribuiva alla vita umana, ne hanno avuto testimonianza in ogni angolo del globo. Secondo lo storico dell’Università di Yale, Greg Grandin, Kissinger è stato responsabile della morte di tra i tre e i quattro milioni di persone tra il 1969 e il 1976.

Una lunga scia di morte che si estende dalla Cambogia, al Cile, dall’Argentina al Vietnam. In Cambogia, dove le trascrizioni delle conversazioni avvenute tra Nixon, Kissinger e il generale Haig ci raccontano di risate quando arrivò l’ordine di, cito le fonti ufficiali, bombardare “con tutto ciò che vola, su tutto ciò che si muove”.

Oppure in Vietnam, dove il coinvolgimento di Kissinger gli valse il Premio Nobel per la Pace nel 1973, se non fosse che in seguito si scoprì che aveva sabotato i colloqui di pace di Parigi del 1968 passando informazioni riservate al governo del Vietnam del Sud. O ancora in Cile, dove Salvador Allende era stato eletto presidente nel 1970, primo Presidente socialista di ideologia marxista democraticamente eletto nel mondo.

In quegli anni, un marxista capo di stato nel “cortile di casa” degli Stati Uniti era scenario impossibile per le presidenze USA e così Kissinger e Nixon riversarono oltre 12 milioni di dollari in attività di destabilizzazione. Fino al colpo di stato del 1973, che diede inizio a 17 anni di dittatura di Augusto Pinochet, con oltre 40mila perseguitati del regime tra morti, desaparecidos, torturati, incarcerati ed esiliati per motivi politici.

Tra questi vi è anche Luis Sepulveda, scrittore cileno rimasto apolide per oltre 31 anni dopo che la dittatura, che già lo aveva esiliato, decise di revocargli la cittadinanza. La sua colpa: essere stato parte delle GAP, la guardia personale di Allende composta dai compagni più vicini al presidente, rimasta al suo fianco fino al bombardamento del palazzo presidenziale della Moneda.

Sepulveda fu arrestato meno di un mese dopo il colpo di stato e, come racconta nel suo diario “Storie ribelli”, portato nello Stadio nazionale di Santiago, adibito a campo di prigionia e tortura. Lì, lo scrittore ha visto cadere uno dopo l’altro i suoi compagni di lotta, sotto la violenza di un regime che si apprestava a diventare il laboratorio statunitense per l’applicazione delle idee più radicali del neoliberismo, sotto lo sguardo attento di Kissinger.

Chiudo il mio pensiero proprio con un brano di Luis Sepulveda, che racconta di quelle vite schiacciate da Henry Kissinger per stravolgere la storia di un popolo, che aveva deciso democraticamente di provare a rendere realtà i propri sogni.

“Quelli di cui sentiamo la mancanza, la domenica all’ora del tramonto, proponevano: «Ehi, ci facciamo un mate?», e poi, con il calice familiare che emanava l’aroma dell’infuso migliore, «di erba intera» dicevano quelli di cui sentiamo la mancanza, si guardavano negli occhi con fiera tenerezza, con violento affetto, con passione armata di futuro, perché quelli di cui sentiamo la mancanza erano militanti.

E se noi ne sentiamo la mancanza, non è un caso o un imbroglio del fato, né si deve ai disegni di qualche dio offeso. Ne sentiamo la mancanza perché osavano proporre un’esistenza migliore di quella del gregge. Ne sentiamo la mancanza perché dicevano che il pane era di tutti oppure di nessuno. Ne sentiamo la mancanza perché accendevano luci nell’oscurità, forti o deboli, non importa, il loro bagliore continua a illuminarci. Ne sentiamo la mancanza perché nella penombra della camera si avvicinarono al letto dei figli, li accarezzarono, lasciarono sulle loro fronti la stella di un bel sogno e, quando uscirono per compiere un’azione, lo fecero sapendo quante cose avevano da perdere, eppure agirono con la risolutezza di chi ha la ragione dalla sua parte.

Quando li portarono via, quando iniziammo a sentirne la mancanza, i testimoni che non avevano visto nulla mormorarono: «Qualcosa avranno fatto, non per niente li portano via», e avevano ragione, perché avevano fatto molto più di qualcosa: avevano sognato che si poteva vivere in piedi.

Avevano sognato che il destino dell’uomo non poteva essere sempre un castigo. Avevano sognato che la felicità di tutti era possibile. Avevano sognato di creare una legge giusta, davanti alla quale saremmo stati tutti uguali. E avevano osato far diventare realtà i sogni, perché quelli di cui sentiamo la mancanza, senza tante storie né pavoneggiamenti, avevano raggiunto la dimensione superiore dell’essere umano, per questo ne sentiamo la mancanza: perché erano rivoluzionari.”

Foto di copertina: Flickr

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