Belli, bravi e istruiti, ora vogliono il parlamento

Scritto da in data Ottobre 17, 2018

Afghanistan, giorno 1 – A tre giorni dalle elezioni, viene ucciso il decimo candidato al parlamento. Ci sono 249 posti, 2500 candidati, tantissime donne. Ma il vero cambiamento sta nei volti, una coalizione di giovani pronta a sfidare il sistema considerato antiquato, corroto e violento. Quattro di loro parlano con Radio Bullets e raccontano i loro progetti per un Afghanistan migliore. Barbara Schiavulli da Kabul.

Photo Credits: Barbara Schiavulli

L’odore è acre, intenso, penetrante. Sa di terra e sudore. Sa di paura e di dolore. Prima ti investe l’odore e poi gli occhi. Decine di sguardi tristi, occhioni circondati da una viso annerito dalla sporcizia. Indossano vestiti laceri e la sconfitta di non essere riusciti. Non vogliono varcare la soglia dell’aereo e bloccano i passeggeri, poi si aprono come le sponde di un fiume e lasciano passare quelli che il biglietto l’hanno pagato, persone che rientrano felici da una vacanza, o che tornano per rivedere i parenti, o sono parte di quello che accade in un paese che affonda nella violenza, nella guerra e dove molti hanno perso la speranza se non qualcuno di caro.
E poi ci sono loro, gli ultimi, gli invisibili delle nostre strade, i clandestini, gli abusivi, gli esclusi, quelli che non contano niente, quelli che cercavano e non gli è stato permesso di trovare. I capelli arruffati, gli occhi colmi di lacrime che non hanno neanche la forza di esondare, sanno che saliranno sull’aereo, torneranno indietro perché nessuno li vuole. Li sistemano in fondo, non parlano, non si muovono fino a quando non ci riproveranno. Separati dai veri passeggeri che abbassano lo sguardo sulle borse di marca, sulle pieghe dei vestiti puliti, su quel velo troppo alla moda per costare due lire.

afgani in arrivo a Kabul

Arrivano a Kabul insieme a tutti gli altri vengono presi dalle guardie un po’ più vecchi e feriti dentro di quando erano partiti e spariscono in quell’Afghanistan che è avvolto nella foschia della mattina presto, quando l’aria è ancora frizzantina. Controllo dei passaporti, valigie che già girano sul nastro, assalto dei portantini e poi fuori la capitale con i suoi clacson che suonano in continuazione, il traffico anarchico, lo smog che ti si appiccica addosso e i volti dei candidati alle prossime elezioni che sono ovunque. Sui palazzi, sulle macchine, sui pali della luce, sugli alberi, sulle bancarelle, sulle transenne dei lavori in corso. Sulle case, sulle porte, sulle vetrine, sembra una città in festa se non fosse che queste elezioni sono spesso mortali. 10 i candidati uccisi, l’ultimo oggi, Jabar Karaman nella provincia di Helmand, roccaforte dei talebani che non vogliono che la gente partecipi al voto di sabato. 2500 candidati per 249 seggi della Wolesi Girga la Camera Bassa, come la chiamano gli afgani. Solo a Kabul ci sono 804 candidati per 33 posti, 9 andranno alle donne e 24 agli uomini. Ma non sono elezioni come tutte le altre che abbiamo assistito in Afghanistan da quando nel 2001 è caduto il regime dei Talebani, militanti che sono ancora attivi, in controllo di almeno un terzo del territorio e operativi ovunque. Dove si è insinuato l’Isis e dove l’occidente considerato invasore ora si tiene in disparte.

Che siano elezioni diverse lo si capisce dai manifesti, mai visti tanti volti giovani, senza barbe, vestiti all’occidentale con tagli di capelli alla moda. Ci sono donne super truccate, con veli sgargianti e slogan d’effetto. E poi ci sono i soliti vecchi, amici degli amici dei signori della guerra, la vecchia guardia, i politici corrotti, i politici onesti ma non forti, i vecchi come li chiamano i giovani. Turbanti, vestiti tradizionali, barbe bianche, volti seri quasi arcigni. Basta fare un viale per scoprire che è in corso uno scontro di generazione. Da una parte i giovani, istruiti, compenti, probabilmente benestanti che lanciano sguardi ammiccanti e mezzi sorrisi rassicuranti. Ragazzi e ragazze, laureati, professionisti, uomini e donne d’affari stufi dell’Afghanistan dove si ottengono le cose pagando mazzette, trafficando droga, adeguandosi al sistema che però non sembra più funzionare.

Sami Mahdi

“Siamo la generazione cresciuta dopo l’11 settembre, i vecchi sono inchiodati al passato, per loro è difficile cambiare. Le nuove generazioni credono nei diritti, nella legge, nella politica non violenta, e vogliono entrare in parlamento perché abbiamo bisogno di un futuro intriso di speranza e non di paura”. A parlare è Sami Mahdi, un volto conosciuto della tv afgana, un giornalista di quelli che tra i primi ha condotto un programma sulla violenza contro le donne. Giornalista e politico in Afghistan, non poteva scegliere una vita più rischiosa. 34 anni e parla di istruzione, cultura, insegna diritto costituzionale e spiega perché i giovani voteranno i giovani. “In afghanistan il 75 per cento della popolazione è sotto i 40 anni e il 60 per cento ha meno di 30 anni, e hanno tutti nuovi desideri. C’è un deficit di fiducia in questo momento, dobbiamo ricostruirla mostrandoci per quello che siamo, onesti e competenti. Molti degli anziani in parlamento non hanno finito le scuole, non c’era niente di male, ma la non competenza è un problema, sono abituati a risolvere le questioni con la violenza, non lavorano in squadra.

Sayed Hamed Dadiq

Il cambiamento è un ritornello, lo scontro generazionale un mantra, il rispetto dei diritti di tutti un fattore irrinunciabile. Sayed Hamed Daqiq, 36 anni, a causa della polio che lo ha colpito a quattro mesi, ha il corpo trasformato dalla malattia, ma il suo spirito trascende quello che può essere un fisico in difficoltà. “Se vinco mi batterò per i disabili, che rappresentano il 2,5 per cento delle popolazione senza diritti. Molti sono dovuti alle malattie trascurate come la mancanza di vaccinazioni, ma quarant’anni di guerra ha devastato un paese, oggi quello con più mine al mondo che uccidono 200 persone al mese, senza contare quelli che perdono un braccio, una gamba, la vista. Ma Daqiq imprigionato nel suo corpo è laureato in giurisprudenza, consulente per diverse commissioni. “Che sia difficile scavalcare la vecchia generazione è un fatto, ma non impossibile. E non possiamo tirarci indietro solo perché è difficile. Per i disabili perfino andare ai seggi sarà complicato, non esistono rampe qui, ma dobbiamo costruirci un futuro”.

Sabri Andari

“Se essere disabili è difficile, immaginate essere disabili e donna in Afghanistan”. Sabri andari non la manda a dire a nessuno, anche lei inchiodata su una sedia a rotelle per la polio da quando aveva quattro anni, ma senza un briciolo di rassegnazione. Ha studiato scienze politiche, consigliera per il ministero dell’educazione ed esperta di questioni femminili. “Le donne non sono ancora libere, e su questo bisogna lavorare. Anche il matrimonio è una questione non nostra. Vincere sarà difficile perché ci sono quei vecchi mafiosi”. Ma le donne hanno una quota del 25 per cento in Parlamento, e ci sono 200 candidate che la paura l’hanno messa in borsa, non la lasciano ma non le controlla. “L’unico modo per tentare è rischiare, poi ci saranno dei miglioramenti, sfideremo la violenza e la corruzione”. E se i talebani volessero negoziare? “Benissimo, depongano le armi, e si conquistino la loro fetta del potere. Ma se il prezzo della trasformazione dei talebani da militanti a politici fossero le donne? Sabri caccia un no, che mette sull’attenti le sue guardie del corpo. I diritti delle donne non sono sul piatto di nessuna trattativa.

Nesar Ahmad Bahawi

D’accordo è anche Nesar Ahmad Bahawi, 34 anni, è molto conosciuto, una star dello sport afgano, campione di taekwondo, medaglia d’argento nei mondiali del 2007, il secondo atleta afgano a vincere una medaglia nello sport. Conosce la gloria, la vittoria, ma anche la disciplina, il sudore, il dolore. “Quando sarò in parlamento lotterò per gli sportivi, per le donne, per i diritti. Conosco cosa significa perdere e vincere, ma ho imparato che non è importante quanto partecipare”. Laureato in giurisprudenza, è circondato da un gruppo di ragazze, capi gruppo di veri comitati che sono andati ad esporgli le loro idee, lui ascolta, assorbe le fa proprie. Le ragazze sono a dir poco agguerrite, non hanno niente delle afgane sotto ai burqa di 15 anni fa, ma sono le loro figlie, con jeans stretti, veli legati alla moda, trucco, parlantina spigliata di chi è abituato a dire la sua. “Nello sport ero solo, io e l’avversario, in politica ci vuole più pazienza e bisogna fare squadra, le vittorie possono essere immediate, ma sicuramente la politica può fare la differenza. Avrei potuto lasciare il paese, allenare altri ragazzi. Ma se ogni giovane partisse a chi lasceremmo la responsabilità di cambiare questo paese”. Uomini e donne? “Nessuna differenza, sono metà del paese e fino a che non saranno coinvolte nel sistema non accadrà niente di nuovo. Quando combattevo non lo facevo per i tagichi o per i pashtun, lo facevo per tutto l’Afgahistan e tutto il paese pregava per me prima di un incontro. Sarà così anche in politica”.

Questo servizio è stato realizzato grazie al contributo dei sostenitori e amici di Radio Bullets


[There are no radio stations in the database]