Caro energia e speculazione

Scritto da in data Ottobre 25, 2022

I prezzi del gas hanno raggiunto livelli record anche a causa della speculazione finanziaria. Cerchiamo di capire come funziona.

Ascolta il podcast

Wall Street di Oliver Stone

Nel podcast precedente ci eravamo occupati di una delle cause principali dell’aumento dei prezzi dei prodotti energetici: la guerra in Ucraina. In questa puntata cercheremo di capire come funziona l’altro corno del problema, cioè la speculazione. Dobbiamo partire da una domanda semplice, se non addirittura banale. Se consumatori e imprese stanno pagando un sacco di soldi per gli approvvigionamenti energetici, tutti questi soldi a chi vanno? Chi sta guadagnando dal caro energia? È una regola basilare di qualunque mercato capitalistico: se qualcuno perde, qualcun altro guadagna. Per tentare di rispondere a questa domanda prendiamola un po’ larga, e partiamo da una citazione cinematografica, la seguente:
«Io non sono un affossatore di compagnie, ne sono piuttosto un liberatore. Il punto è, signore e signori, che l’avidità − non trovo una parola migliore − è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme, l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità, e l’avidità − ascoltatemi bene − non salverà soltanto la Teldar Kart, ma anche l’altra disfunzionante società che ha nome America. Grazie infinite».
Era il mitico Michael Douglas nel film “Wall Street” del regista Oliver Stone. Un film vecchio, del 1987, che raccontava la storia di Gordon Gekko, un pescecane della borsa di New York, Wall Street appunto, uno speculatore che, nell’America degli anni Ottanta, comprava aziende in difficoltà, le faceva a pezzi e le rivendeva guadagnandoci un sacco di soldi. Quel film fu un grande successo, sia perché si ispirava a una storia vera, sia perché la finzione cinematografica riusciva a interpretare, in maniera mirabile, quello che i tedeschi chiamano zeitgeist, lo spirito dei tempi. Gordon Gekko era il prototipo dei nuovi capitalisti, gli speculatori finanziari, una nuova classe o, meglio, una nuova élite di personaggi senza scrupoli, determinati a far soldi a qualunque costo e che nell’America di quegli anni trovavano un riferimento culturale e politico nel presidente Ronald Reagan.

La rivoluzione neoliberista

“Greed is good!” − l’avidità è una cosa buona − diceva Gordon Gekko nella finzione cinematografica, ma quello slogan stava alla base della grande rivoluzione conservatrice, una rivoluzione innanzitutto culturale e poi anche politica ed economica, che è stata chiamata rivoluzione neoliberista. Fu incarnata negli anni Ottanta da due grandi leader, Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margareth Thatcher nel Regno Unito, ma nei decenni successivi praticamente tutti, a destra ma anche a sinistra, hanno abbracciato questa nuova ideologia, questo nuovo credo talora, come hanno fatto diversi leader di sinistra, addirittura con l’entusiasmo del neofita.
Quell’ideologia, quell’impostazione culturale, quel sistema di valori − chiamatela come vi pare − sta alla base del modo in cui è stato organizzato il nostro sistema economico negli ultimi 30-40 anni. Quell’impostazione sta alla base di tutta la costruzione europea, delle istituzioni e delle regole che vengono emanate a livello europeo e debbono essere recepite dai paesi aderenti all’Unione. L’impostazione, per dirla in termini molto sintetici e molto semplificati, si affida in maniera fideistica alle virtù taumaturgiche del mercato. Il mercato è l’alfa e l’omega di tutto e, quindi, intervenire sulle forze di mercato o, meglio, intralciare le forze del mercato, è per definizione sbagliato anche quando le dinamiche di mercato sono, come nel caso dei prezzi dei prodotti energetici, assolutamente disfunzionali.

Andamento anomalo dei prezzi del gas

I prezzi del gas a marzo 2021 erano attorno ai venti euro a megawattora, a dicembre 2021 erano a duecentottantuno euro, il 26 agosto 2022 hanno raggiunto i trecentoquarantatré euro per ridiscendere, negli ultimi giorni, verso i cento euro.
Come è facile capire, dinamiche del genere non sono e non possono essere normali dinamiche di mercato. Il prezzo di un qualsiasi prodotto può aumentare o ridursi se aumenta o se si riduce la domanda o l’offerta. Ma nell’ultimo anno e mezzo la domanda di gas non si è moltiplicata per diciassette volte e anche l’offerta, nonostante la guerra in Ucraina, non si è ridotta di diciassette volte, quindi  questi aumenti fuori scala dei prezzi non dipendono da dinamiche di mercato, cioè dall’andamento della domanda e dell’offerta di gas, ma da dinamiche di altro genere, prevalentemente di tipo finanziario e, quindi, speculative. Questo punto sembra banale ma è invece importante perché sentiamo spesso sui nostri mass media la storiella che il prezzo del gas è aumentato perché Putin ha ridotto le forniture o perché c’è stata una ripresa economica, a partire dalla primavera del 2021, che ha fatto aumentare la domanda. Per carità, queste due affermazioni sono entrambe vere, ma possono spiegare un aumento del prezzo del gas dell’ordine di qualche decina, non di centinaia di euro. Se il prezzo del gas è così volatile le ragioni sono di altro genere.

Non è tutta colpa di Putin

Occorrerebbe anche precisare che negli ultimi tempi è diventato facile additare Putin come la causa di tutti mali dell’umanità. D’altronde i nostri governi hanno deciso, senza peritarsi di chiedere l’approvazione popolare, che dovevamo scendere in guerra contro la Russia, e quindi i russi sono diventati i nostri nemici e su di loro si possono scaricare tutte le nefandezze. La Russia ha ridotto in parte le forniture di gas con la finalità di fare pressioni sull’Occidente, ma la gran parte della riduzione è stata decisa dai paesi occidentali con le sanzioni, perché dovevamo colpire la Russia anche nell’esportazione di prodotti energetici. È una regola di mercato: se riduci l’offerta di un prodotto il prezzo sale… ma chi ha deciso di ridurre l’offerta di gas? È stata la Commissione Europea e i nostri governi, e non Putin, che hanno deciso di ridurre gli approvvigionamenti di gas proveniente dalla Russia, causando un aumento dei prezzi che stanno pagando i cittadini e le imprese europee. Putin da quell’aumento dei prezzi ci ha solo guadagnato, vende di meno ma incassa molto di più.
Certamente Putin è brutto, cattivo e prepotente ma chi ci governa non ha dato dimostrazione di essere particolarmente scaltro e lungimirante.
Tra l’altro, nell’ultimo anno la domanda reale di gas si è addirittura ridotta, perché l’aumento esorbitante dei prezzi ha spinto molte aziende energivore a ridurre la produzione o addirittura a chiudere, e quindi la domanda di gas è diminuita. Nello scorso mese di settembre in Italia, per esempio, la domanda di gas per uso industriale si è ridotta del 22%!
Allora, qual è il problema? Un primo problema, lo abbiamo appena citato, e prendendo a prestito una colorita espressione dell’onorevole Bersani potremmo dire che «C’è una mucca in corridoio!» e quella mucca che si sta mangiando i redditi delle famiglie e delle imprese ha un nome preciso: sanzioni alla Russia sul gas. Ma c’è anche un secondo problema che si chiama speculazione.

La speculazione finanziaria

All’inizio degli anni Sessanta, il Governo italiano decise di nazionalizzare il settore dell’energia elettrica. Le ragioni di quella scelta erano strategiche, un paese che si stava industrializzando, era il periodo del boom economico, si aveva necessità di controllare gli approvvigionamenti energetici e, in secondo luogo, il concetto era che, mentre i privati portano l’energia soltanto dove gli conviene, cioè dove guadagnano di più, il pubblico, quindi lo Stato, avrebbe portato l’energia dappertutto mettendo tutti i territori, anche quelli più periferici e svantaggiati, sullo stesso piano per quel che riguardava le possibilità di approvvigionamento energetico, ponendo le basi per uno sviluppo economico più equo, più robusto e più efficiente.
Fino agli anni Novanta i prezzi dei prodotti energetici erano in gran parte dei paesi europei prezzi amministrati, cioè regolamentati dalla mano pubblica. La cosa aveva una sua logica, considerando che i prodotti energetici sono strategici per qualunque paese. Gas e petrolio servono per far funzionare le nostre industrie, per muoverci, quindi per i trasporti, per il riscaldamento o il condizionamento delle nostre case. Si tratta quindi di prodotti vitali i cui prezzi andrebbero tenuti sotto controllo per evitare disastri nei nostri sistemi produttivi e nella nostra vita quotidiana.
Negli ultimi vent’anni, nell’Unione Europea si è andati invece in direzione di una liberalizzazione selvaggia anche dei mercati dei prodotti energetici.
Fino a una decina di anni fa i prezzi del gas erano definiti da contratti di fornitura a lungo termine. Avere contratti a lungo termine favoriva i produttori che avevano garanzia di trovare acquirenti per il loro prodotto, a un prezzo definito e stabile che consentiva di affrontare nel medio-lungo periodo i grandi costi di esplorazione e di costruzione delle infrastrutture, in sostanza i gasdotti. Ma i contratti a lungo termine davano un vantaggio anche agli acquirenti: il gas aveva un prezzo stabile per un lungo periodo e c’era sicurezza dell’approvvigionamento.

La liberalizzazione dei mercati energetici

Nel 2011 in Europa fu deciso che quel sistema, che aveva funzionato bene per decenni, dovesse essere cambiato e fu deciso di creare un nuovo mercato di riferimento per il gas.
La ragione di quella riforma, quella ufficiale, era che occorreva liberalizzare il mercato del gas per favorire la concorrenza e avvantaggiare i consumatori che avrebbero pagato prezzi più bassi. Questo è il classico mantra neoliberista, una scelta più di carattere ideologico che altro, anche perché l’evidenza storica in molti casi dimostra che liberalizzazioni e privatizzazioni più che avvantaggiare i consumatori hanno finito semplicemente per arricchire i soliti noti o i piccoli oligopoli di grandi aziende, mentre i consumatori, o non hanno guadagnato nulla, o hanno finito per pagare di più.

Il TTF (Title Transfer Facility) cos’è e come funziona

Fu quindi istituita ad Amsterdam − l’Olanda grazie all’enorme giacimento di Groeningen è un grande produttore di gas − una borsa chiamata TTF (Title Transfer Facility) nella quale dovevano essere scambiati i contratti di fornitura del gas.
Ma in un mercato liberalizzato non si possono mettere limiti alla speculazione finanziaria. In ogni mercato borsistico  ci sono operatori che scambiano contratti reali di fornitura, ma ci sono anche operatori finanziari, banche, fondi d’investimento, società finanziarie che semplicemente speculano, cioè scambiano contratti virtuali giocando sulle aspettative.
Per non entrare in complicate spiegazioni di carattere tecnico, semplifichiamo molto per capirci, anche a costo di qualche imprecisione. Se io sono uno speculatore e mi attendo che il prezzo del gas aumenterà da qui a tre mesi, posso comprare sulla carta un certo quantitativo al prezzo di oggi, supponiamo sia cento euro al megawattora e rivendere a tre mesi al prezzo di duecento. Se la mia analisi è corretta avrò guadagnato in tre mesi cento euro per ogni megawattora scambiato.
Approfittando delle aspettative di rialzo dei prezzi, che effettivamente fanno salire le quotazioni, gli speculatori comprano massicce quantità di futures, cioè di contratti virtuali di fornitura, scommettendo di rivenderli a un prezzo sempre più alto, alimentando così una spirale all’insù. Tutta l’operazione è stata fatta su carta, senza scambio fisico di prodotto, ma le regole di funzionamento dei mercati finanziari lo consentono.
Un primo problema è che il prezzo del prodotto gas viene definito in base all’andamento della domanda e dell’offerta di gas sulla borsa TTF, sia la domanda e l’offerta reale sia quella virtuale. In periodi turbolenti come quelli attuali gli speculatori vedono molte più possibilità di guadagno, e quindi aumentano i loro scambi facendo aumentare il prezzo del gas. Ci sono in pratica grandi quantità di quote di gas che vengono scambiate soltanto sulla carta, ma quelle quantità causano gli aumenti dei prezzi. In queste oscillazioni di prezzo gli speculatori guadagnano, guadagnano anche i produttori, chi ci perde sono coloro che il gas lo devono acquistare per rivenderlo a consumatori e imprese produttive, sui quali vengono poi scaricati gli aumenti di prezzo.
Un secondo problema è che i regolatori europei hanno stabilito che il prezzo che si forma sulla borsa TTF diventa il prezzo di riferimento per il gas in tutti i paesi europei. Quindi se al TTF di Amsterdam a fine giornata il prezzo del gas sale a duecento euro a megawattora, quel prezzo diventa un cosiddetto benchmark, cioè un indice di riferimento per tutto il mercato europeo.
Anche se gran parte del gas che arriva in Italia dipende da contratti di fornitura a lungo termine, e quindi non viene negoziata sul mercato TTF, è il prezzo che si determina sul TTF a fare da riferimento e a dover essere adottato per l’intero mercato.
Ora si sta cercando di modificare questo automatismo, ma nell’ultimo anno una parte rilevante degli aumenti dei prezzi del gas, che abbiamo tutti pagato nelle nostre bollette, sono serviti di fatto per ingrassare gli speculatori.

Ideologia del mercato e “beni pubblici”

Ma qui torniamo al punto di partenza. Se l’intero sistema economico che abbiamo costruito negli ultimi trent’anni si basa sul principio che citavamo all’inizio, e cioè che “greed is good” (l’avidità è una cosa buona), il fatto che ci siano degli speculatori che guadagnano palate di soldi sulle spalle di famiglie e imprese non è un problema, sono le regole del gioco, che tutti accettano come ineluttabili e immodificabili. Avete sentito qualche politico, di qualunque schieramento, dire che bisogna stroncare la speculazione e riportare i mercati energetici sotto stretto controllo pubblico perché si tratta di beni strategici da cui dipende il benessere e il futuro della nostra nazione e della nostra economia? Io non ho sentito nessuno. Continuiamo a sentir cianciare di price cap e altre proposte, tanto inefficaci quanto difficilmente realizzabili, mentre nessuno osa aggredire quello che è il vero nodo. Lo diciamo in maniera semplice: anche questa volta, come è già successo con il Covid o con la crisi finanziaria del 2008, il mercato ha fallito e di fronte ai fallimenti del mercato c’è, storicamente, un’unica strada percorribile che si chiama intervento pubblico. Ci sono beni e servizi essenziali − l’acqua, l’energia, la salute, l’istruzione − che non devono e non possono rispondere a logiche di mercato, perché in questi settori “greed is bad!”, l’avidità è una brutta cosa e causa enormi problemi a milioni di persone, avvantaggiando soltanto piccole élite, e non c’è alcuna ragione storica, economica, politica, logica, etica per la quale dobbiamo continuare a sopportare tutto ciò.

Potrebbe interessarti anche:

La crisi sta arrivando: chi pagherà il conto?

se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta i fatti recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici

 

Tagged as

[There are no radio stations in the database]