Cien años de soledad: o no?
Scritto da Valentina Barile in data Luglio 31, 2020
Da un post su Facebook di Marco Ottaiano – docente di Lingua e letteratura spagnola e di Analisi del testo e traduzione letteraria dallo spagnolo all’Università L’Orientale di Napoli – nasce una conversazione che si allunga oltreoceano e arriva a Santiago del Chile con Javier Pineda, giornalista e attivista.
Valentina Barile raccoglie le loro voci per Radio Bullets.
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Illustrazione in copertina: ©Annalisa Grassano – https://www.annalisagrassano.com/
Francesco Iacovelli al doppiaggio
Da Facebook a Radio Bullets
Quanto importante è l’uso dei contenuti sui social network? Quanto è efficace portare la letteratura su Facebook e sugli altri social? Da un post su Facebook è possibile creare un dibattito e trasferirlo in una dimensione reale? Marco Ottaiano ai microfoni di Radio Bullets: «Il mio contatto con Valentina Barile nasce da un post che ho realizzato sul mio social, su Facebook – avrei voluto farlo anche su Instagram ma poi ho preferito farlo soltanto su Facebook, in quanto c’era più possibilità di interagire fra gli utenti, fra i miei contatti. Credo che i social possano rappresentare una risorsa importante, non soltanto per quelli della mia generazione, ma anche e soprattutto per i giovani, per i quali gli strumenti social sono i primi, ormai, strumenti di consultazione. Questo è naturalmente un rischio, ma significa anche che tutti noi abbiamo la responsabilità di veicolare informazioni importanti e di più alto profilo, per quanto possibile, all’interno dei social. Il dibattito che ho proposto in questi giorni, su Facebook, stavolta riguardava la clamorosa stroncatura che Pier Paolo Pasolini fece di “Cien años de soledad”, definendo, addirittura, sciocchi tutti i lettori che erano cascati nel tranello imbastito da Gabriel García Márquez per un libro che, secondo lui, era semplicemente un grande artificio, ma che aveva molta poca sostanza. Non prendo le parti di Márquez né quelle di Pasolini, dico semplicemente che queste stroncature ci raccontano un mondo… un mondo anche di piccole o grandi intolleranze, insofferenze, divisioni, repulsioni e altro. E credo che sia interessante – molto più che le lodi, le celebrazioni – recuperare le piccole e grandi stroncature della letteratura mondiale, perché riescono a raccontarci molto più di un elogio».
Chi è Gabriel García Márquez, cosa ha fatto… quanto del suo continente, del sangue suo e dei suoi connazionali, c’è nella sua penna. Javier Pineda, giornalista e attivista nel movimento Convergencia de 2 de Abril, da Santiago del Cile racconta… «Credo sia uno dei migliori scrittori della nostra America. Le prime notizie di lui le ho avute a scuola attraverso alcuni dei suoi libri classici “Cien años de soledad”, “El amor en los tiempos del colera”, “El coronel no tiene quien le escriba”. Però, poi, successivamente, l’ho scoperto con il passare del tempo. Credo che l’elemento principale di Gabriel García Márquez sia il fatto che lui rappresenti una fonte di ispirazione per chi sceglie il giornalismo come mestiere. E credo che una delle cose fondamentali della sua vita sia il suo ruolo nella fondazione dell’agenzia di stampa “Prensa Latina”, progetto in cui partecipò insieme a giganti come Rodolfo Walsh, Eduardo Galeano, José Ricardo Masetti. Ha avuto anche un ruolo attivo come giornalista in prima linea a favore della nostra America, prendendo parte a un processo molto grande come quello della rivoluzione cubana. Con la sua scrittura ha costruito un’arma per l’umanità».
Dall’Italia, Marco Ottaiano: «Márquez è stato un grande innovatore della lingua e della cultura di lingua spagnola. È stato un autore fondamentale per il canone spagnolo del secondo Novecento, e ha creato – come sempre avviene per i grandi – una serie di epigoni, naturalmente, spesso non alla sua altezza, ma sicuramente epigoni che ci danno la misura dell’importanza di questo autore, non soltanto nella cultura latinoamericana, ma in tutta la cultura occidentale. Allo stesso tempo, Márquez deriva da altri autori. Sicuramente in lui è fondamentale la lezione di Faulkner, uno degli scrittori più amati in America Latina e, di certo, anche quella straordinaria lezione che viene dal capolavoro di Juan Rulfo, “Pedro Páramo”, che precede nella pubblicazione “Cien años de soledad” di più di dieci anni».
Cien años de soledad: traduzione o lingua originale?
Di una narrazione straniera, di una storia che arriva da lontano cosa è necessario sapere? Con quali strumenti il lettore di una cultura diversa può avvicinarsi senza difficoltà alla conoscenza di una società per lui nuova. Qual è il mestiere del traduttore, il tecnicismo che deve applicare per attenersi alla giusta trasposizione di un testo. Cosa racconta Cien años de soledad, cosa Gabriel García Márquez vuole comunicare attraverso la sua alchìmia letteraria di realtà e finzione?
Marco Ottaiano, anche direttore del corso specialistico di Traduzione letteraria per l’editoria all’Instituto Cervantes di Napoli, spiega… «Quando si parla di “Cien años de soledad”, e si parla della diffusione di questo libro in Italia, dobbiamo innanzitutto ricordare che quella italiana fu la prima traduzione del capolavoro di García Márquez. Giangiacomo Feltrinelli volle fortemente questo testo e investì moltissimo, non soltanto nell’acquisizione dei diritti, ma naturalmente anche nelle energie che impiegò per pubblicare, diffondere, pubblicizzare e creare eventi intorno a questo testo. Tant’è che la traduzione di Enrico Cicogna è quasi coeva all’edizione di lingua spagnola. Successivamente, poi, sono arrivate le altre edizioni in altre lingue occidentali. Naturalmente, leggere Márquez in lingua originale è un privilegio che i pochi che hanno la possibilità di sfruttare, devono assolutamente utilizzare. Di fatto, un autore crea, all’interno della propria lingua, un infinito universo di riferimenti, di non detti, di questioni creative che molto spesso il traduttore ha – per quanto bravo – difficoltà a riprodurre e ricreare. Questo, naturalmente, non significa che non bisogna tradurre, bisogna sempre provare a tradurre e, naturalmente, a farlo bene e, ovviamente, ogni traduzione permette di accedere a un testo che altrimenti rimarrebbe ignoto a tutti quelli che non parlano la lingua nella quale quel libro è stato prodotto, è stato realizzato. Susan Sontag, la scrittrice, saggista americana, diceva che tradurre significa, innanzitutto, dare una possibilità a un testo in un’altra lingua che il traduttore seleziona, o comunque, il sistema intorno al traduttore, quindi il sistema culturale è tenuto a selezionare ciò che merita di essere tradotto. Nel caso di Márquez, naturalmente, più che mai possiamo dire che ben vengano, che sono state molto, molto apprezzate – per quanto, magari, anche discutibili, per alcune scelte stilistiche ed estetiche – le traduzioni dei suoi testi che in passato venivano quasi tutte realizzate da Enrico Cicogna, che non era un ispanista vero e proprio, ma era sicuramente uno scrittore, un talento nella scrittura. Oggi, un testo come quello di “Cien años de soledad” è stato – fra l’altro – ritradotto dalla più celebre, più importante traduttrice italiana dallo spagnolo che è Ilide Carmignani e, naturalmente, l’augurio è che possa avere una nuova possibilità di circolazione. George Steiner diceva in “Dopo Babele” che inevitabilmente – e io aggiungo, fortunatamente – ogni generazione ritraduce, ed è bene che ci sia ora una nuova idea del testo di Márquez in lingua italiana grazie al lavoro di Ilide Carmignani».
Cien años de soledad: realtà o finzione?
Una lunga narrazione, uno spaccato di un secolo. Il racconto delle vicende di sette generazioni della famiglia Buendía, il cui capostipite, José Arcadio, fonda la città di Macondo alla fine dell’Ottocento.
Cent’anni di solitudine a cui sono destinati i personaggi, le cui vite e i cui spiriti si intrecciano nella sontuosità e nell’inquietudine disperata dei retaggi sociali che condizionano eventi, scelte, sentimenti, politica, comunità. Il confine inesistente tra la vita e la morte, le contraddizioni di un popolo, le incoerenze dell’essere umano.
Javier Pineda dal Cile: «Credo che i personaggi di Márquez, prima di rappresentare le contraddizioni dell’America latina, riflettano le contraddizioni dell’umanità. Lui stesso riconosce che i suoi personaggi sono costruiti sulla base di un simbolismo che evidenzia la vita reale dei personaggi a cui si ispira, ai quali si aggiungono gli elementi propri della quotidianità che, poi, vanno a sviluppare, con una tale profondità, l’espressione delle diverse personalità della nostra America nei suoi distinti libri e articoli giornalistici. E credo che questa sia la chiave per comprendere ciò che è stato definito realismo magico, in cui esistono fatti difficili da credere, ma che nella pratica possono esistere… è probabile che esistano in alcuni luoghi del mondo. Credo che in questo stia la magia della scrittura di Gabriel García Márquez: per quanto possano sembrare inverosimili, alcune delle sue storie, a volte, sono ritagliate dalla realtà, che è molto più profonda e magica. Credo che in tema di narrazione distopica, su cui è accesa l’attenzione del mondo della letteratura attuale, gli scrittori che si collocano nella corrente del realismo magico abbiano anticipato e detto molto di più».
Marco Ottaiano aggiunge dall’Italia: «Márquez sceglie di non raccontare direttamente la società colombiana, di non esplicitarla in una denuncia che è dentro il tempo che quella società viveva in quegli anni. Ma di sicuro, attraverso un complesso sistema di simboli, riesce a dire molto di quella società, a denunciare le piaghe, le contraddizioni di un mondo che è anche il suo, ma che al tempo stesso riesce a essere universale».
Javier Pineda conclude definitivamente dal Cile… «Sull’esistenza della società raccontata nelle sue opere, lo stesso Fidel Castro riconosceva che la scrittura di Gabriel García Márquez ha una profonda influenza latinoamericana. Molte delle sue storie, comprese quelle giornalistiche, rientrano nel genere fiction: qui si riconosce la sua innegabile capacità di autore. Inoltre, a ciò si aggiungono i fatti storici certi che si incontrano in molti dei suoi libri, ad esempio, in “Cien años de soledad” si possono estrapolare elementi che realmente esisterono nella società colombiana o, al contrario, lo stesso popolo di Macondo che non esiste. Dunque, credo che questa finzione basata sulla realtà faccia dell’opera di Gabriel García Márquez un’opera unica che rifletta la società dell’America latina. E in parte, come la scrittura che fu generata da altri autori di “Prensa Latina”, Rodolfo Walsh o Eduardo Galeano, che come lui avevano la capacità di esprimere attraverso i loro diversi personaggi, racconti, storie qual è la quotidianità che si vive nel nostro continente. Per concludere, c’è un elemento fondamentale che Márquez tiene a precisare, con l’avanzare dei suoi anni: non è con la sua opera che certi aspetti sociali sono confermati, ma è certo che con il suo talento e la sua voce stava costruendo una realtà, un esercizio performativo attraverso cui trasmettere al lettore il modo in cui vedeva il mondo, e credo che aldilà della finzione, nella sua narrazione ci sia l’espressione della società della nostra America».
Realtà, finzione. Magia. Le anime dei morti che hanno corpo e quelle dei vivi di cui se ne può toccare lo spirito fino a sentirne la trasparenza che si sfilaccia tra le dita. Eventi assurdi, cuciti in una quotidianità, proposti e decodificati come normali.
Gabriel García Márquez non amava farsi inquadrare in quella corrente definita realismo magico, ma chi conosce la società latinoamericana, chi ha avuto la fortuna di attraversare con i propri piedi il Sudamerica, chi ha potuto assistere, sotto i grattacieli, ai riti sciamanici, non può non confermare quanto, ancora oggi, le storie, i personaggi, gli eventi di un popolo siano corrispondenti ai fatti raccontati nelle opere dei grandi scrittori ispanoamericani.
La realtà e la finzione si mescolano fino a non poter distinguere cosa appartenga all’una e cosa all’altra. Ma raccontano quanto sia tutto vero!
Altri due consigli per la settimana dalla libreria I Trapezisti
Via Laura Mantegazza 40, Roma
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- Oreo di Fran Ross , edizioni BigSur
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