Donna, un viaggio nelle etimologie

Scritto da in data Marzo 5, 2021

Un tempo, i luoghi e le persone erano legati, oggi sono interconnessi da un unico filo conduttore, oltre le acque degli oceani e le catene montuose: le lingue. Sulla base di diverse fonti storiche e linguistiche, proviamo a raccogliere insieme ad Anils Basilicata (Associazione Nazionale Insegnanti Lingue Straniere, sezione regionale) e Arbër Agalliu – giornalista, collaboratore di Albania News – le primissime informazioni che ruotano intorno alla parola donna. Valentina Barile su Radio Bullets.

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Da dove arriva la parola donna?

Per avere un’idea dell’etimologia della parola donna in alcune lingue del mondo, prese da Est a Ovest e da Nord a Sud, per cominciare a delineare un profilo iniziale di ciò che è stato, che è e che sarà è necessario tornare ai tempi in cui la scrittura si è affermata per la prima volta. Da dove arrivano le nostre lingue? Può il nostro parlato creare dei sensi? Quanto le nostre lingue siano state influenzate dagli eventi storico-sociali, o come la storia di una società prenda direzioni diverse a seconda dei sensi che vengono dati alle parole, ce lo dicono le comunità di parlanti. Donna deriva dal latino dŏmna, domĭna – femminile di dominus, cioè signora, padrona di uno spazio non domestico, ma societario. A differenza di quanto accadeva nell’antica Grecia, in cui le leggi, la politica, la cultura erano materia degli uomini, mentre le donne erano relegate a un ruolo passivo e domestico che prevedeva la totale obbedienza al padre e, successivamente, al marito. La vita della donna era scandita prevalentemente all’interno delle mura domestiche, nella parte interna della casa, detta gineceo. Tutto questo combacia con la derivazione dal sanscrito (di matrice indoeuropea) della parola greca donna γυνή [γυναικός, ἡ], che nella sua prima accezione vuol dire sposa. Poi, nella seconda, diventa donna, femmina. Nella terza moglie, concubina. Nella quarta ancella. In spagnolo mujer, mulher in portoghese, e poi femme in francese hanno un senso lontano dalla famiglia delle lingue da cui derivano, e cioè le romanze derivanti dal latino. Le prime due vengono fatte derivare dal latino mulier da mulleris – che vuol dire acquoso o molliccio – da un sistema patriarcale che si è via via affermato e che ha volutamente legato alla etimologia della parola donna l’accezione di fragilità, di sottomissione. In francese, è utilizzata con riferimento a legami matrimoniali.

Dal matriarcato al patriarcato

Miriana Piccirillo – Referente lingua cinese Anils sez. Basilicata

Spostandoci dall’Europa vediamo cosa accade nelle altre parti del mondo, cominciando dalla Cina, con Miriana Piccirillo, referente di lingua cinese: «In cinese, donna si dice 女. Il carattere 女, deriva da un pittogramma che originariamente rappresentava una donna in ginocchio, e che possiamo trovare già nelle iscrizioni su ossa oracolari risalenti all’età del bronzo e più tardi su incisioni bronzee. Osservando il carattere 女, i tratti sembrano effettivamente evocare la figura di una donna inginocchiata, ma questo carattere è anche uno dei radicali della lingua cinese, ovvero quei caratteri che combinati con altri ne formano di nuovi, e che ci permettono di comprendere quale sia il significato generico di ogni carattere, per cui possiamo trovare il radicale di donna in parole come mamma, moglie, sorella maggiore e sorella minore. Nonostante ciò, lo stesso radicale è presente anche nella parola xing che vuol dire cognome o fare di cognome. In questo caso, la presenza del radicale di donna si può collegare solo al più antico ordine della società cinese ancestrale di stampo matriarcale, prima che con la dinastia Han il confucianesimo diventasse la filosofia di stato e si passasse, quindi, da una società di stampo matriarcale a una di stampo patriarcale».

Vittoria Colandrea – Referente lingua araba Anils sez. Basilicata

Virando verso Sud e percorrendo la rotta al contrario, arriviamo in Medio Oriente con Vittoria Colandrea, referente di lingua araba: «Il termine donna imr’a, deriva dal termine maschile imr’ che vuol dire, appunto, uomo o essere umano. Pertanto, il termine donna si realizza aggiungendo una ta’ marbuta che è la lettera per formare il femminile, al termine uomo. Sempre legato alla stessa radice è la parola murua’ che vuol dire virilità o anche mascolinità».

Torniamo in Europa con Arbër Agalliu, viaggiando nella lingua albanese: «La parola grua, ovvero donna, la si può definire etimologicamente albanese rispetto all’altra parola albanese femër che, in realtà, deriva dal latino femina. Secondo alcuni studiosi la stessa parola grua potrebbe avere origini dal greco, precisamente dalla parola γραία (grea), che proprio nell’antica lingua ellenica significava donna anziana, ovvero matura. Difficile da dire, fatto sta che grua risulta essere una parola antichissima. Bisogna ricordare, inoltre, che l’albanese è una delle lingue più misteriose e affascinanti, oltre a essere tra le più vecchie in Europa. Una lingua che è molto differente dalle altre lingue presenti nella regione balcanica».

Arbër Agalliu© – Arbër Agalliu e il busto di Giorgio Castriota Scanderberg

L’umanità era matriarcale

Incrociando le fonti che abbiamo considerato finora – e di cui oggi riportiamo solo alcuni frammenti –, quindi la nascita della scrittura nel mondo e gli eventi storici che si sono susseguiti dal 3000 a.C., osserviamo come l’etimologia della parola donna abbia compiuto un viaggio lungo, tortuoso, violento, che unisce secoli, distanze ed eternità. Johann Jakob Bachofen – antropologo svizzero – tra il 1815 e il 1887, aveva già parlato di un passato matriarcale dell’umanità. E per umanità sappiamo che si riferisse alla evoluzione della specie. Infatti, alcuni miti greci, da quello delle Amazzoni alla storia di Medusa, non erano il frutto di dinamiche psicologiche con l’altro sesso ma il ricordo di conflitti sociali veri che portarono, poi, all’affermazione del patriarcato, al dominio del maschio sulla femmina. Marija Gimbutas – archeologa e linguista lituana – sosteneva che il processo di indoeuropeizzazione è stato di trasformazione culturale; deve essere inteso come una serie di incursioni militari attraverso le quali la nuova ideologia guerriera e patriarcale di popoli provenienti dal Nord, precisamente dalle rive del fiume Volga, si impose sulla pacifica cultura matriarcale della vecchia Europa con un nuovo sistema amministrativo, linguistico e religioso sui gruppi indigeni. Perché si spostarono? – viene spontaneo chiedersi. Per la semplice ragione per cui, essendo pastori nomadi e guerrieri delle steppe comprese tra Mar Nero e Caucaso, arrivarono in Europa e nel vicino Oriente, spingendosi sull’Indo, in cerca di nuove terre a causa della crescita demografica. Tutto questo riporta a studi che si basano su analisi linguistiche e antropologiche che pervengono a una proto-cultura, una proto-popolazione e una proto-lingua. Così la distruzione della Grande madre mediterranea, cioè un’età dell’oro di bilanciamento tra i sessi in cui credeva la civiltà matriarcale dei Pelasgi – popolazioni preelleniche della Grecia che abitavano il continente europeo dalla Puglia alla Sardegna, dalle coste africane all’Anatolia –, si evidenziò sempre più nella natura violenta di questo processo di transizione dal culto della Dea Madre a quello patriarcale esplicitato dal culto del dio celeste (Zeus, Giove, Dyaus Pitar).

Antonietta Tammone – Referente lingua tedesca Anils sez. Basilicata

Continuiamo il nostro viaggio con Antonietta Tammone, referente lingua tedesca, spostandoci nel cuore dell’Europa: «Il tedesco contemporaneo si riferisce agli esseri umani di sesso femminile fondamentalmente con due termini: weib e frau. Vi è stato un periodo – il Medioevo – in cui entrambi traducevano l’italiano donna, intesa sia come essere di sesso femminile, ma anche come creatura più sensibile e fragile rispetto all’uomo. Col tempo i due termini si sono ovviamente diversificati e risemantizzati. Per quanto riguarda l’etimologia del termine frau, questa è legata al tedesco antico, risalente a frowe o frowa, tedesco medio (frowe o wrowe) cioè ehen, signora, e frau che viene attestato, invece, dal XIX secolo quando la derivazione dalla forma maschile frou riporta all’antico termine che indicava il signore. Quindi, un po’, quasi un sostantivo ambiguo tra il maschile e il femminile».

L’itinerario linguistico che abbiamo percorso, seppur di pochi chilometri – vi sono lingue e continenti che in questa circostanza abbiamo trattato poco per mancanza di dati certi –, ci porta a riflettere sulla condizione della donna, oggi, sulla Terra. Esistono culture in cui, nonostante il culto della Madre Terra (Pachamama) sia ancora molto praticato, e mi riferisco alle generazioni che hanno ereditato i sistemi delle civiltà precolombiane in America centrale e in Sudamerica, le radici del patriarcato continuano ad alimentare con il veleno le nuove terre che non riescono a liberarsi dalle colonizzazioni. Certo è che i popoli del Nord, i cacciatori nord-siberiani, quarantamila anni fa attraversarono a piedi lo stretto di Bering, dal punto estremo orientale del continente asiatico al punto più a ovest del continente americano, nell’Oceano Pacifico, avanzando dall’Alaska alla Terra del Fuoco, portando con sé una cultura che ha mantenuto confusi i ruoli della donna e dell’uomo nelle civiltà successive, tra esaltazioni e subordinazioni.

Francesco Iacovelli – Referente lingua inglese Anils sez. Basilicata

Concludiamo con Francesco Iacovelli, referente di lingua inglese per Anils Basilicata, riponendo una speranza in una lingua che oggi potrebbe colorare nuovi scenari e diffonderli nel mondo, così come ha fatto con altre parole: «La parola woman deriva dall’antico inglese wimman-wiman al singolare e wimmen al plurale, letteralmente woman-man, alterazione di wifman (singolare) e wifmen (plurale) che faceva riferimento anche al ruolo di donna inteso come domestica. Un composto di wif – woman – più man, ovvero human-being. Ciò che era importante per la formazione della parola donna, era l’affiancamento del wif al man. Per quanto riguarda lady, essa deriva dal 1200; parola proveniente dall’antico inglese hlæfdige, ovvero donna di un padrone (lord) o anche colei che impasta il pane, dall’unione della parola hlaf ricollegata a bread (pane) più dige che vuole significare maid (domestica) la cui parola è collegata a dæge, cioè creatrice di impasto per il pane. Con il trascorrere del tempo, però, vediamo come dalla parola lady si possano intendere diverse sfaccettature, per esempio, sempre nel 1200, questa parola definiva la donna come una persona di una posizione superiore all’interno della società; nel 1300 raffigurava, invece, la donna scelta come oggetto di un amore cavalleresco. Nel 1861, lady voleva significare: donna che ha una buona posizione di rango sociale grazie ai suoi modi e alla sua sensibilità. Dal 1890 la parola è indicata comunemente per indicare qualsiasi tipo di donna».

Женщина in russo, zan in persiano, khatun in hindi e in urdu, kadın in turco, warmi in lingua quechua, mani in lingua uza. Parole che racchiudono l’etimologia della parola donna che cerca, nei secoli dei secoli, il suo spazio.

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