El Salvador e le carceri a rischio esplosione

Scritto da in data Aprile 30, 2020

Centinaia di corpi vivi, ammassati uno vicinissimo all’altro, seduti con le gambe divaricate incastrate, la testa appoggiata alla nuca di quello di fronte, le mani legate dietro la schiena, in pantaloncini corti, teste rasate, busti nudi, mascherine al viso e una marea di tatuaggi. Un sguardo nelle carceri di El Salvador ai tempi del coronavirus

El Salvador

El Salvador è uno stato dell’America Centrale che confina a nord con il Guatemala e a est con l’Honduras. Ha bellissime spiagge che si affacciano sull’Oceano Pacifico, dove i surfisti trovano di che divertirsi, e panorami di montagna mozzafiato. È uno dei paesi più pericolosi del mondo, dove abitano 6,8 milioni di persone e 70.000 di questi appartengono a una delle numerose pandillas salvadoregne. Cos’è una pandilla? È un gruppo di persone che hanno tra loro uno stretto legame, possono essere amici che hanno una relazione di mutuo affetto, ma possono essere persone affiliate a una banda che commette atti delittuosi. Quando si tratta di El Salvador, siamo senz’altro sulla seconda definizione. Esistono tre pericolose pandillas, più altre minori, tutte dedite a seminare il terrore nelle comunità sotto il loro controllo, sono sicari e si dedicano al narcotraffico e all’estorsione verso commercianti e autisti.

Las Pandillas

Le tre principali sono Mara Salvatrucha, o MS-13, Barrio 18-Sureños e Barrio 18-Revolucionarios.

Mara Salvatrucha nasce a fine anni Settanta a Los Angeles e oggi è una struttura criminale che mantiene sotto scacco la società salvadoregna. Sono collocati sia nelle zone cittadine che in quelle rurali. C’è un’unica regia di comando, anche se ci sono tanti gruppi con programmi e mandati diversi. A volte ci sono scontri interni. Nel 2019, nelle carceri salvadoregne, uno ogni quattro detenuti apparteneva a questa pandilla.

Barrio 18 nasceva dalla 18th Street Gang di Los Angeles e nel 2009 si divise in Sureños e Revolucionarios, dopo che la pandilla chiese alle autorità penitenziarie di separare in carcere gli appartenenti alle due fazioni, vista l’impossibilità della convivenza. E così fu. I Sureños sono quelli che nel 2009 hanno ammazzato il documentarista franco-spagnolo Christian Poveda, che ha girato il documentario La vida loca sulle bande di El Salvador.

I Revolucionarios, nemici fino alla morte dei Sureños, è la pandilla meglio insediata nella capitale San Salvador ed è stata l’autrice dell’attentato più violento commesso da queste bande: il 20 giugno 2010, nel municipio di Mejicanos, un gruppo dei Revolucionarios sequestrò un bus pieno di passeggeri, bloccò gli ingressi e gli diede fuoco con la benzina. Chi tentava di scappare dai finestrini veniva fucilato. Diciassette morti, la maggior parte di essi carbonizzati.

Quello che accomuna tutte e tre le pandillas è che sono nemiche giurate una dell’altra.

Il pugno di ferro di Bukele

Se ora vi dicessi che diversi, tanti, centinaia di appartenenti a queste pandillas sono le stesse persone ammassate che vi ho descritto all’inizio?

Da quando è entrato al potere lo scorso giugno, il presidente Nayib Bukele ha fatto della riduzione degli omicidi una delle colonne portanti del suo mandato presidenziale e sembra che ce la stia facendo, con una media di 2,3 omicidi al giorno, uno dei tassi di omicidio più basso degli ultimi anni. Almeno, fino allo scorso fine settimana, quando, tra venerdì e sabato, le pandillas hanno ucciso 58 persone in diversi punti del paese, approfittando del fatto che polizia ed esercito sono occupati nella gestione dell’emergenza del Coronavirus. Anche a El Salvador esistono quarantena e misure di isolamento.

Come conseguenza, da questo lunedì si applicano misure di sicurezza più drastiche nelle carceri dove sono rinchiusi 16.000 pandilleros. Misure drastiche significa la fine delle celle divise per gli appartenenti alle diverse gang, ammassamento e nessuna distanza di sicurezza, isolamento 24 ore su 24, interruzione totale della linea telefonica e di internet e nessuna possibilità di comunicazione verso l’esterno. Sembra infatti che i mandati degli omicidi del fine settimana siano stati impartiti dall’interno delle carceri. Le misure si applicano nel carcere di massima sicurezza di Zacatecoluca e saranno estese ad altre sei prigioni per un tempo “indefinito”, come ha dichiarato il direttore generale dei Centri Penitenziari Osiris Luna Meza.

Come vi posso raccontare le foto di questo ammassamento di persone: vi consiglio di andarle a vedere su Twitter o facendo una ricerca su Google: le troverete presto. Più di tutto, più del numero, delle teste pelate, dei tatuaggi, mi impatta la giovane età di questi ragazzi.

Sull’account Twitter del presidente Bukele è stato pubblicato un video in cui si vedono presunti appartenenti al Barrio 18-Sureños chiedere aiuto perché i diritti dei compagni incarcerati siano fatti valere.

L’odio tra le bande è leggendario: fino a ora era impensabile mettere non solo nella stessa cella, ma addirittura nello stesso carcere pandilleros appartenenti a pandillas differenti. Con queste misure di emergenza, le carceri di El Salvador siedono su una bomba a orologeria.

Le misure sono contro i diritti umani?

Non mancano le voci contrarie alla strategia di Bukele: la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, la CIDH, mostra preoccupazione per lo stato di emergenza nelle carceri e per “mettere a rischio i diritti delle persone private della libertà”.

https://twitter.com/CIDH/status/1255677238936309766

Secondo la Commissione dei Diritti Umani di El Salvador, unire le diverse pandillas nella stessa cella “porta a un serio pericolo di ammutinamento o assassinii selettivi o collettivi”. Inoltre, il fatto di aver invaso la rete con le immagini degli ammassamenti attraverso gli account non solo del presidente, ma anche di altre persone del governo, la fa sembrare una misura mediatica: come per dimostrare che il governo di El Salvador ha sotto controllo la situazione a fronte di misure che mettono in rischio i diritti umani e la salute pubblica di chi sta dentro e fuori le carceri.
Misure di emergenza contro le pandillas che cozzano con le misure di emergenza del Coronavirus, ammassamenti di membri di diverse gang che aizzano la polveriera di violenza propria delle bande. Ai posteri l’ardua sentenza.

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