Enaiatollah Akbari, andata e ritorno
Scritto da Valentina Barile in data Agosto 27, 2021
L’Afghanistan rivive il terrore. Oggi più che mai diamo luce alle storie di donne e uomini che cercano a ogni costo di mettersi in salvo. Valentina Barile su Radio Bullets con Enaiatollah Akbari – giovane afghano arrivato in Italia undici anni fa, laureato in Scienze internazionali dello sviluppo e della cooperazione – e il suo ultimo libro con lo scrittore Fabio Geda, “Storia di un figlio. Andata e ritorno” (Baldini + Castoldi).
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Via dall’Afghanistan
«La storia è questa, ma forse la conoscete già: mi chiamo Enaiatollah Akbari, anche se tutti mi chiamano Enaiat. Sono nato in Afghanistan, nell’Hazarajat, una regione montuosa a ovest di Kabul, selvaggia di terra e rocce, tappezzata di pascoli e con il cielo più limpido che possiate immaginare. D’inverno la neve, di notte le stelle, ovunque – tante da ritrovartele persino nelle tasche. L’Hazarajat è la terra degli hazara, la mia etnia. È grande come mezza Italia e ci abitano meno di dieci milioni di persone. Da Torino, dove abito adesso, quando mi capita di sollevare lo sguardo in direzione delle Alpi, soprattutto sul finire dell’inverno, quando l’ultima neve le copre fin dove partono i boschi bruciati dal freddo, allora, di tanto in tanto, sento emergere una specie di nostalgia che solletica la nuca e mi riporta al calore della brace nella casa di Nava, alle grida degli amici riuniti per strada a giocare a buzul-bazi, agli odori della cucina di mia madre e soprattutto alla sua voce, che dice: Enaiat, Enaiat jan, mi serve il tuo aiuto, c’è da prender l’acqua. Enaiat, dove accidenti sei finito?» − da “Storia di un figlio. Andata e ritorno” (Baldini + Castoldi).
Enaitollah Akbari: «Purtroppo, in questo momento, vedo di nuovo che l’Afghanistan è ritornato al punto di partenza, forse ancora peggio di prima e, per me, è un momento davvero pesante perché si sta aprendo la vecchia ferita che ormai era guarita… quel ricordo di persecuzione, quel ricordo di brutalità dei talebani era sostituito dai sogni che avevo e stavo realizzando qui in Italia».
Viaggio in Italia…
Studiare per essere liberi, questo è il sogno delle ragazze e dei ragazzi del mondo. Essere una parte della propria storia collettiva, nazionale, contribuire allo sviluppo del proprio paese. Ma non sempre può essere così. Enaiatollah Akbari: «Il mio viaggio ha avuto inizio quando ero un bambino di circa dieci anni a causa della mia etnia, la mia religione, e, poi, soprattutto perché il mio papà, che era costretto a farsi dei viaggi per andare in Iran a prendere delle merci, è stato assassinato. Da quel giorno in poi, per me, è iniziata la persecuzione, quindi come un risarcimento dei danni i talebani volevano prendere me, e del mio futuro non si sapeva cosa sarebbe successo. Così mia madre mi ha portato in Pakistan e mi ha lasciato lì senza dirmi che non ci saremmo più rivisti. E da lì è cominciato il mio viaggio – da immigrato a clandestino, da profugo – fino ad arrivare in Italia – ci ho messo più o meno cinque anni abbondanti – e ovviamente, non avendo soldi in tasca, dovevo lavorare e affidarmi ai contrabbandieri. Il mio sogno è sempre stato quello prima di tutto di studiare, di vivere il ricordo del mio maestro con una dolcezza, con una consapevolezza. Lui è stato assassinato davanti ai nostri occhi dai talebani perché non voleva chiudere la scuola. E da quel giorno in poi la scuola per me è stata come il punto di riferimento, è stato il mio sentiero… ogni cosa che facevo non dimenticavo mai la scuola. La scuola ha avuto sempre un valore, un’importanza per me, e quindi ho sognato di studiare, di istruirmi e laurearmi soprattutto in un campo che in futuro possa permettermi di dare un contributo nell’istruzione, nel processo di istruzione in Afghanistan. Ho fatto la mia tesi di laurea sull’istruzione in Afghanistan. Il mio sogno gira intorno alla scuola, all’istruzione e in questo momento anche quel sogno purtroppo è stato rubato dai talebani».
Oggi, l’Afghanistan
Cosa accade da venti anni in Afghanistan. Di regime in regime, di violenza in violenza si consumano gli ultimi brandelli di speranza per chi è scappato, si è salvato, per chi è riuscito a fuggire, per chi voleva finalmente ritornare e ricostruire partendo dalle proprie ceneri. Ma oggi l’Afghanistan è alla vigilia di un nuovo baratro. Enaiatollah Akbari conclude su Radio Bullets: «Nella democrazia ogni individuo può dare il proprio contributo per migliorare a lungo termine il suo paese, può portare dei vantaggi al suo popolo. Ogni individuo ha un ruolo nel miglioramento del proprio paese, ma con la sharia che è una forza armata che vuole governare trentacinque milioni di persone. Cosa vuol dire la sharia? Vuol dire che non devi sognare un futuro, non devi guardare al futuro, non devi avere prospettive verso il futuro. Tutto il tuo essere è legato al passato, ogni cosa che fai deve pensare e avere il punto di riferimento nel passato, non il passato di cento anni fa, ma un passo di millequattrocento anni fa. E quindi non c’è la crescita, non c’è lo sviluppo, non c’è l’uguaglianza. La sharia non ti garantisce l’uguaglianza. La democrazia ci poteva garantire i diritti delle singole persone, la democrazia è finita in Afghanistan e finisce anche il diritto dell’individuo, la libertà dell’individuo finisce e questo mi fa tanto male».
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