Giù il fu-Cile
Scritto da Massimo Sollazzini in data Maggio 18, 2021
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Ci saranno costituzionalisti come Fernando Atria, discendenti degli indios mapuche come Francisca Linconao, attiviste come Giovanna Grandon, ribattezzata Zia Pikachu. Ci saranno loro e altre 152 persone nell’assemblea che entro dodici mesi dovrà cambiare la legge fondamentale e, magari, anche il futuro del Cile. Il paese dei forti contrasti, quello definito un po’ Svizzera un po’ Angola, si è recato alle urne nel fine settimana: si votava per l’elezione di molti sindaci e governatori regionali, ma soprattutto per dare un seguito al referendum popolare che lo scorso autunno aveva validato la proposta di riscrivere la Costituzione. La scelta dei candidati per la Costituente ha detronizzato le aspettative dei partiti storici, in primis quello del Presidente Pinera che non va oltre ¼ dei seggi disponibili: aspirava a un terzo, soglia minima per porre il veto sul nuovo testo. Per contro, lo spoglio segna l’affermazione dei candidati indipendenti, che arrivano a 48 seggi: facce nuove, come quelle dei 17 rappresentanti delle popolazioni indigene, e che assieme ai 53 seggi dei partiti di sinistra potrebbero segnare profondamente la stesura del nuovo testo base.
Un’assemblea costituente, ovvero un organismo nominato appositamente per scrivere una Costituzione, è qualcosa che tipicamente viene alla ribalta dopo guerre, o comunque rivolgimenti piuttosto cruenti. Dalla Rivoluzione francese alla Seconda Guerra Mondiale, per citare l’esempio a noi più vicino, conclusa la quale fu la volta degli estensori della carta costituzionale italiana. La costituente cilena arriva piuttosto dopo una fase di diffusa ribellione sociale seguita a decisioni governative impopolari: il rincaro dei biglietti per i mezzi pubblici, in particolare, bus e metro fondamentali per permettere a tanti pendolari di andare al lavoro e stare appena sopra la soglia della povertà, a Santiago del Cile, e non solo. Nel 2019, questa miccia diede il via a un malcontento crescente quanto pacifico e via via sempre più difficile da soffocare. Inizialmente il Governo ci provò, con una repressione che in vari episodi costò la vita a una trentina di persone. Ma quando per le strade uscirono i carri armati la reazione diventò ancora più popolare: il 25 ottobre di due anni fa un milione e duecentomila persone scesero in strada e a quel punto il Presidente, che in Cile è anche capo dell’Esecutivo, non poté che scendere a patti accogliendo la richiesta di un reset generale per l’intelaiatura della democrazia cilena.
Una trama simile a quella che in questi giorni va drammaticamente in scena in Colombia, dove il numero di vittime è già maggiore. Il Cile è diverso, come ogni stato in qualche modo lo è, specie in America latina. E diverso non vuol dire immacolato: negli anni Settanta aveva fama di laboratorio economico occidentale, il giocattolo in cui fare esperimenti liberisti sotto l’egida degli Stati Uniti di Kissinger. Quello dove la sinistra al potere con il Presidente Allende stava diventando una minaccia per la democrazia, e dove quindi, per sventare la minaccia, s’instaurò una dittatura tra le più cruente e plateali, tra il 1973 e la fine degli anni Ottanta, quella di Augusto Pinochet. Il “generale” è spirato nel 1990, ma l’impronta di quella fase non è stata ancora del tutto rimossa dalla legge pilastro per la nazione. Per questo, svoltare verso il futuro ha significato per prima cosa cambiare la Costituzione, secondo la maggioranza dei cileni che ha votato “sì” al referendum dello scorso ottobre. Un cambiamento lento, maturato pagando il prezzo dell’attesa; un parto lungo, e la metafora è solo in parte casuale. Il ruolo femminile in questa evoluzione è stato pesante: quello di Michelle Bachelet, Presidente della Repubblica per due volte negli anni Duemila e oggi Alto commissario Onu per i diritti umani. Quello delle donne che, ancora sotto Pinochet, avviarono il movimento Mujeres por la democracia, o quello delle loro figlie, che nelle proteste del 2019 hanno fatto di un ritornello contro le violenze sessuali il vero inno del cambiamento in atto. Non a caso, le regole per la nomina dell’Assemblea costituente prevedevano la parità di genere: è cosi sarà.
Estesa per 4.000 chilometri lungo l’oceano Pacifico, questa stretta e lunga striscia di terra oggi è habitat per meno di 19 milioni di persone. L’anomalia del Cile nel contesto sudamericano è emersa anche in tempo di pandemia, imponendolo come battistrada nella campagna vaccinale. Oggi quattro cileni su dieci hanno già la copertura completa: giocano a favore la disponibilità a prestarsi come laboratorio vaccinale, offerta un anno fa alle case farmaceutiche, e un’anagrafe sanitaria decisamente all’avanguardia rispetto ai paesi limitrofi. Nondimeno, neanche in Cile il Covid può dirsi ancora sotto controllo: l’eccesso di ottimismo ostentato dal governo a febbraio, quando là era piena estate, e il conseguente allentamento delle restrizioni hanno propiziato un repentino rimbalzo di contagi, saliti giorno dopo giorno per più di un mese e mezzo, fino a metà aprile. Possibile concausa l’ampio utilizzo di Coronavac, vaccino cinese che prima della seconda dose sembra coprire solo un 3% di rischio Covid. Ora, a metà maggio, la mortalità da virus è di un terzo più bassa rispetto a quella che si registra in Italia, mentre il tasso di positività è tre volte più alto.
Tra i più vulnerabili all’epidemia, manco a dirlo, persistono gli abitanti dei quartieri più popolari, specie nelle grandi città. Gli estensori della nuova Costituzione saranno chiamati ad agire contro questi squilibri, riportando magari in mano pubblica bisogni basici come l’acqua o l’istruzione, per citare un paio di aspettative. Il percorso è ancora lungo: dopo che sarà scritto, entro un anno, il nuovo testo dovrà essere rimesso al giudizio del cosiddetto “plebiscito”, e tutto potrebbe ancora implodere. Certo, ai tempi di Pinochet ogni decisione era molto più rapida. Ma a rimpiangere quel tempo sembrano rimasti davvero in pochi.
Audio credits: Mora x Jhay Cortez – 512
Un violador en tu camino, manifestazione a Santiago del Cile, 19 dicembre 2019.
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