Giulia Contini, “La stanza dei canarini”

Scritto da in data Dicembre 31, 2021

Cosa vuol dire affermare sé stessi? Come e quando ci accorgiamo chi siamo e cosa ci piace? In che modo possiamo comunicarlo agli altri? Valentina Barile su Radio Bullets con Giulia Contini e il suo romanzo “La stanza dei canarini” (Bompiani).

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Cos’è l’amore

Si vive un’esistenza a comprendere il senso dell’amore senza capire che l’unica direzione da prendere è verso sé stessi. Giulia Contini su Radio Bullets: «È lei l’amore perché è la persona che mi migliora oltre a essere la persona migliore che io avessi mai incontrato. L’amore dovrebbe essere una cosa del genere, qualcosa che comunque ti spinge a essere la versione migliore di te stessa. Adesso noi pensiamo che comunque basti semplicemente proporsi a qualcuno e quel qualcuno dovrebbe in automatico vedere i nostri pregi, la nostra bellezza, i nostri valori, ma in realtà non è così, non dovrebbe essere così. Sostanzialmente noi siamo tutti sconosciuti finché non decidiamo di diventare qualcosa di importante l’uno per l’altra; e perché io dovrei scegliere te tra mille, perché tu dovresti scegliere me? Quindi io penso che dobbiamo offrire all’altro appunto la versione migliore di noi, mettere sul piatto i motivi per cui vale la pena sceglierci, amarci, lasciarsi amare da noi perché poi secondo me la cosa difficile è quello che viene dopo, dopo che l’altra persona accetta di venire a vedere le tue carte e, come a poker, scoprire se sei un bluff oppure no».

Io sono…

La strada verso sé stessi è un viaggio verso casa, dove casa non è sempre il luogo dove si è nati, ma quello che si sceglie per vivere, restare, stabilirsi. Giulia Contini: «In questi giorni c’è stata tutta una polemica, una querelle intorno a un’intervista fatta da Pietro Castellitto perché aveva definito Roma nord “il Vietnam”, e molti hanno detto sostanzialmente che era una metafora un po’ azzardata perché sicuramente Roma nord ha altre fisionomie. Io però quello che voleva dire Pietro Castellitto l’ho capito in pieno, e per certi versi mi ci ritrovo perché anche per me la piccola città di provincia è stato un po’ il mio “Vietnam” e questa cosa ce la diciamo spesso con i miei compagni di classe; diciamo appunto che la città di provincia, per chi non ha determinate caratteristiche, per chi non è bravo a omologarsi, per chi non ha determinati privilegi che lo mettono al riparo da delusioni, da attacchi o altro tipo di angherie può essere un posto difficile in cui vivere perché non ti puoi nascondere nessuna parte, non puoi diventare mimetico, che secondo me è l’unica cosa che vuoi in una certa fase della tua vita, quella dell’adolescenza. Per cui, sì, io sono scappata dalla provincia per venire a Roma e a Roma ho trovato l’ambiente ideale per chi vuole scegliere, appunto, di perdersi in quella che è la giungla tiepida di cui parlava anche Fellini ne “La dolce vita”. Ripenso sempre comunque con affetto alla provincia che è il luogo dove vivono ancora i miei genitori e dove mi piace tornare, però per poco tempo. Io ho molta stima per chi è rimasto… penso che veramente sono stati coraggiosi».

… lontano da casa

«Come vedi, ho sbagliato la data! Chissà cosa significa!? Un estremo tentativo di fermare il tempo. Forse. È una strana giornata. Stai preparando i bagagli e io non ho la disperata voglia di piangere che mi ha fatto versare tante lacrime ieri sera. La quiete prima della tempesta? Domani lo saprò. Saprò che impressione mi fa saperti lontana per tanto tempo, lontana e raggiungibile. Non è un errore, sarai raggiungibile. Potrò chiamarti quando vorrò e avrò come limiti solo la tua pazienza e la mia decenza! Che cosa proverò sapendoti in giro per Roma? A vedere cose che io non vedrò, a incontrare persone che io non incontrerò, a percorrere strade che non conosco, che non posso riconoscere dalle tue parole. Abbi cura di te bambina mia!» – da “La stanza dei canarini” (Bompiani).

Giulia Contini conclude su Radio Bullets: «Che cosa c’è prima della consapevolezza di sapere chi siamo? C’è la possibilità di essere chiunque, in psicanalisi si chiama la “sindrome di Peter Pan”. Peter Pan sostanzialmente non vuole crescere perché non vuole scegliere di cristallizzarsi in una forma. Si dice sempre che scegliere è rinunciare e diventare adulti significa fare una serie di scelte, quindi, di rinunce. Prima di diventare qualcuno, prima di scegliere chi essere tu puoi decidere di essere qualsiasi cosa, di essere chiunque, di amare chiunque, di essere contemporaneamente una brava figlia, una brava amante, una brava studentessa, una brava atleta e tutto quello che riesci a immaginare. Ti accorgi soltanto dopo che a volte queste identità sono in conflitto tra di loro e quindi devi cominciare a rinunciare a qualcosa e fare male a qualcuno o far male al tuo io, a te stessa: prima, quindi, è bellissimo immaginare di espandere all’infinito il tuo sé, poi diventa doloroso, smette di essere doloroso quando capisci che in realtà una volta che hai capito chi sei tu, puoi costruire il mondo intorno a te».

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