Giuliana Zeppegno: “La luce che pioveva”

Scritto da in data Febbraio 25, 2022

La memoria e la distanza: due strumenti fondamentali alla narrazione. Valentina Barile su Radio Bullets con Giuliana Zeppegno – docente di italiano come lingua straniera, autrice e traduttrice – e il suo romanzo “La luce che pioveva”, pubblicato da L’Orma editore.

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Distanza

Guardare da lontano, da un altro luogo. Prendere le distanze per osservare meglio, a cosa serve? Giuliana Zeppegno su Radio Bullets: «La distanza del luogo in cui sono nata e cresciuta, sicuramente ha agito in molti modi nella mia vita ed è qualcosa che ha agitato la mia interiorità in modi non sempre piacevolissimi, diciamo. C’è una parte di questa circostanza molto euforizzante e stimolante che punta all’apertura e alla libertà, e un’altra invece che perlomeno io ho vissuto in modo più pesante o più conflittuale. Io abito a Madrid da oltre dodici anni. In precedenza ho vissuto in Germania e in altri posti. Quindi la distanza per me è un nodo problematico, non è qualcosa di chiaro. Questo libro è stato scritto, anzi è stato reso possibile proprio dalla vicinanza sia fisica che emotiva rispetto a quello che stavo narrando, perché per circostanze personali mi sono trovata costretta a fare ritorno in Italia per alcuni mesi nel corso del 2021 e quindi mi sono ritrovata immersa nel presente e nel passato della mia famiglia, a stretto contatto con persone molto importanti per me; totalmente immersa, tra l’altro, nella lingua italiana cosa che qui in Spagna non ho perché per molti anni io ho pensato in spagnolo».

Trasformazione

Giuliana Zeppegno

Il passaggio della storia avviene praticamente nella vita delle persone, attraversandole in ogni abitudine quotidiana. Solo a cambiamento avvenuto si riesce a guardare ciò che è stato, selezionando un punto di partenza e uno di arrivo. Giuliana Zeppegno: «Al margine del coinvolgimento affettivo che mi lega alla protagonista di questo libro, ho deciso a un certo punto di cercare di pubblicare quest’opera perché ritenevo che la vita che vi viene raccontata fosse degna di essere raccontata, di essere letta, soprattutto alla luce del suo carattere emblematico nei confronti di un’intera generazione che, a mio avviso, è una generazione molto interessante: quella delle persone − e soprattutto delle donne − nate nel corso degli anni Cinquanta. Si tratta di vite che hanno abbracciato grandissime trasformazioni, che hanno coperto distanze enormi, volenti o nolenti, e in molti aspetti diversi. La vita della protagonista di questo libro passa da un’esistenza in campagna in una cascina dove manca il riscaldamento, ovviamente, manca il bagno in casa, a Google Maps; passa da un’infanzia schiacciata costantemente dallo sguardo altrui, che è uno sguardo maschile, e dalla totale sudditanza alla narrativa della chiesa, alla conquista progressiva, stentata e abbastanza usuale della propria esistenza. Si passa da un mondo piccolo piccolo a un mondo molto molto grande. Sono vite che hanno anche subito a un certo punto un’accelerazione che io credo sia stata reale, che è quella impressa dall’avvento delle nuove tecnologie, come si diceva una volta, e dalla globalizzazione».

Memoria

La parola “ricordare” deriva dal latino re-, “indietro” e cor-, “cuore”, vale a dire “richiamare in cuore”, riportare alla mente, scegliere, quindi, un fatto, una storia, una persona e riportarla al presente. “La luce che pioveva” è questo: la memoria. Giuliana Zeppegno conclude su Radio Bullets: «La memoria è certamente l’anima fondamentale di questo libro ed è il centro vuoto in qualche modo, nel senso che se mi si chiede che cos’è la memoria io non ho una risposta, è un po’ un cruccio, una riflessione costante, io non so che cosa sia. Sicuramente è qualche cosa che nella mia vita ha acquistato un’importanza sempre più centrale, come cerco di trasmettere nella premessa del libro. Ritengo che sia fondamentale reinventare, lasciar andare, superare, proiettare ecc., però al contempo anche mantenere e conservare. E in questa dialettica qua io credo così confusamente che si giochi un po’ il saper stare al mondo, sostanzialmente, e il trovare un proprio spazio e anche un proprio equilibrio nel presente, cioè in una dialettica, appunto, che sta sempre sul farsi fagocitare dal passato e il farsi divorare dall’ansia del futuro, o dall’euforia del futuro».

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