Hagard, tradurre una parola
Scritto da Valentina Barile in data Giugno 4, 2021
Parole, sensi, codici, segni che cambiano da una lingua all’altra. Le parole attraversano vette e fiumi, continenti, e volano sulle latitudini. Valentina Barile ne parla su Radio Bullets con Marco Federici Solari, editore e traduttore, a proposito di “Hagard”, il romanzo di Lucas Bärfuss, tradotto in italiano da lui per L’Orma editore.
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Tradurre parole
«In quello stesso istante cominciano i problemi. Da un po’ di tempo Philip ha la sensazione di essere osservato: qualcuno lo fissa. Scopre così un occhio rivolto verso di lui, un unico occhio, ciclopico, morto, con la pupilla a forma di spirale, nera su sfondo giallo. L’occhio invita all’autocontrollo. Chiunque salga sul vagone deve essere in possesso di abbonamento o di regolare biglietto. Si rischia una multa e, in caso di recidiva, una denuncia, ma quest’ultima evenienza non lo riguarda. Philip prende malvolentieri i mezzi pubblici. È una cosa che non ha mai imparato a fare. Preferisce l’automobile. Qual è la probabilità di un controllo? Non ne ha la minima idea. Non sa neppure dove stia andando. Scenderà alla prossima fermata o arriverà al capolinea, al confine con la Germania? E quanto ci vuole a percorrere tutta la tratta? Un’ora e mezza. Non ha forse sentito dire – o l’ha detto da qualche parte? – che non fare il biglietto alla lunga conviene?» – da “Hagard” di Lucas Bärfuss (L’Orma editore).
Marco Federici Solari ai microfoni di Radio Bullets: «Hagard è una parola molto particolare, una parola che viene dal gergo della falconeria e indica quei falchi catturati adulti che diventano degli ottimi cacciatori ma che non possono essere mai davvero addomesticati e, quindi, un giorno prendono e scappano e non ritornano al richiamo del falconiere. Ed è una parola interessante, per parlare di traduzione, perché è una parola in bilico tra più lingue. È una parola che si usa anche in italiano, però è una parola che si ritrova anche in Shakespeare, per esempio, e originariamente, invece, è francese. E allo stesso modo, tra più lingue, sta in bilico inevitabilmente anche il traduttore, e in bilico proprio perché è molto una questione di equilibri, soprattutto il traduttore letterario non traduce la singola parola, la singola frase, ma traduce l’interezza di un testo. Quindi, un’intera armonia creata da uno scrittore… e la deve rimodulare, riarmonizzare con altri suoni e un’altra lingua e quindi ha bisogno spesso di lavorare di compensazioni, di tenere un equilibro che non è soltanto quello della parola, della frase o del paragrafo ma dell’intero arco del testo, tanto più in un libro come quello di Lucas Bärfuss in cui questa attenzione architettonica alla costruzione del romanzo è così precisa».
Tradurre sensi
Il mestiere di chi traduce comporta la responsabilità di trasmettere quel senso specifico su cui lavora l’autore della narrazione. È l’unico vincolo che si porta addosso il traduttore o questi aumentano se, come nel nostro caso, editore e traduttore coincidono? Marco Federici Solari: «Quando, come nel mio caso, il traduttore coincide con l’editore, ovviamente, la responsabilità è molto forte. La responsabilità di aver scelto un singolo libro per portarlo in Italia e renderlo in italiano. Responsabilità che, per fortuna, nel mio caso è condivisa perché io sono coeditore de L’Orma editore con Lorenzo Flabbi, e anche condivisa con la redazione della casa editrice che poi affronta, lavora, mette le mani sul testo. Questo lo sottolineo perché mi sembra che è una responsabilità condivisa e, quindi, automaticamente sia politica, perché frutto di discussione, dialogo e confronto, sia anche più forte e più salda di una semplice responsabilità individuale. Nello specifico, poi, quel lavoro di cui parlavo prima, di traduttore, di portare un testo in un’altra armonia linguistica e sonora, nel caso dell’editore significa anche portare un testo da un contesto originario – in questo caso, un libro uscito qualche anno fa nella Svizzera tedesca – a un nuovo contesto, quindi al contesto della letteratura e dell’editoria, e del mercato editoriale italiano. E quindi bisogna anche costruire, per esempio, noi lo facciamo con il concetto di collana, quindi questi sono libri che noi inseriamo in una collana specifica che ha una sua poetica, la collana Kreuzville, che comunque però fa parte di questo lavoro, di creare un nuovo contesto per un testo, che è uno dei mestieri – mi sembra – dell’editore».
La specie umana e la specie animale. Due dimensioni dell’essere che si confondono nelle sfumature di senso. L’azione umana e l’azione animale quanto possono coincidere e cosa hanno in comune. Marco Federici Solari: «Nel caso di “Hagard” di Lucas Bärfuss, l’uomo e l’animale, questo falco appunto evocato dal titolo, ma anche la gazza, uccello presente a più riprese nel libro e che noi, poi, abbiamo riportato anche nella immagine di copertina sono, in qualche modo, parte di una duplicità e di un’ambiguità sostanziale del romanzo perché sono – come accade spesso in natura – predati e predatori contemporaneamente. Quindi, una delle domande di questo libro molto ossessiva è: chi è davvero preda e chi è cacciatore. È cacciatore Philip, il problematico protagonista che si mette sulla scia a inseguire da lontano, in un momento quasi di impazzimento, una donna che vede per strada per caso; è l’autore, che insegue a sua volta il narratore del testo, che insegue a sua volta Philip e in qualche modo anche lui lo bracca; siamo noi lettori che a nostra volta bracchiamo entrambi. Il Philip non è anche preda in una società – come viene raccontata dal romanzo – spietata e capitalistica, in cui appena si scavalla dalla parte non più dei predatori, dei vincenti, ma si diventa fragili, si è subito vittime?».
«A un certo punto, sul tardi, Philip sentì dei passi, un picchiettio di tacchi in avvicinamento. Aveva la vista annebbiata, riconobbe solo una figura sfocata che si appropinquava all’edificio, entrava nel corridoio e scompariva nell’ingresso. Poco dopo si accese una luce a una finestra dell’ultimo piano. Deve essergli sembrato un segno, un avviso, un ultimo richiamo. In ogni caso, lo vedo sul tetto, camminare sulla ghiaia tra i comignoli e i condotti d’aerazione. Tre metri più in basso sporge il terrazzino che poco prima si era illuminato. Philip si arrischia a saltare. È sul balcone. Preme sulla portafinestra; dietro, uno spazio scuro. Il vetro va in frantumi. Giunge un’aria umida e calda». – da “Hagard” di Lucas Bärfuss (L’Orma editore.)
Marco Federici Solari conclude su Radio Bullets: «“Hagard” di Lucas Bärfuss è una vera e propria lezione di ambiguità romanzesca. Cosa vuol dire. Vuol dire che non ci sono in questo libro verità facilmente condivise con il lettore, opinioni o, se ci sono, sono sempre sfumate, ambigue, possono rovesciarsi due pagine dopo e quindi costringerci a interrogarci sulla nostra adesione alle parole che avevamo letto poco prima. E lo stesso accade con i personaggi che spesso vengono raccontati, per buona parte del libro, attraverso la lente deformante della mente forsennata del protagonista Philip e poi in un rovesciamento, davvero splendido del finale, li vediamo invece sotto uno sguardo – diciamo – per certi versi più oggettivo, e rimaniamo stupiti di scoprirli completamente diversi da come li avevamo immaginati. E tutto questo Bärfuss lo fa con una economia di mezzi davvero straordinaria. È quello che, per certi versi, Michail Bachtin, il grande teorico sovietico, avrebbe definito un romanzo polifonico, in cui più istanze di verità convivono senza che una predomini, ed è proprio l’effetto che, poi, fa sul lettore questa coesistenza di diverse verità – che lo porta poi a riflettere e interrogarsi – che è una delle missioni anche civilizzatrici – mi verrebbe da dire – della forma romanzo».
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