I bambini del Caucaso
Scritto da Julia Kalashnyk in data Agosto 8, 2019
In Inguscezia una bambina di sette anni finisce in ospedale in fin di vita con segni di botte, bruciature e morsi, torturata con incredibile crudeltà dalla zia paterna. In Cecenia la matrigna infila degli aghi nei corpi dei suoi due figliastri e impedisce loro a lamentarsi. No, non siamo nel medioevo, ma nel Caucaso russo dei giorni nostri, dove ancora regnano antiche regole pre-islamiche. A cura di Julia Kalashyk in collegamento da Kiev
FOTO: www.obzor.io
Inguscezia
A luglio di quest’anno la società russa è stata travolta da un’ondata di indignazione: una ragazzina di sette anni proveniente dall’Inguscezia, la repubblica più piccola della Federazione Russa, è stata portata all’ospedale con segni di bruciature, botte e morsi. A torturarla con incredibile crudeltà è stata la zia paterna che ora rischia fino a dieci anni di carcere.
Il trattamento disumano che ha subito Aisha, così si chiama la bambina, ha sollevato la discussione sulla violenza domestica che subiscono i minori nella Russia Caucasica.
Subito dopo il quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta ha realizzato un reportage sulle violenze sui bambini nel Caucaso settentrionale.
Nella pubblicazione colpisce la storia di un residente del villaggio ceceno. L’uomo di 31 anni decide di risposarsi dopo il divorzio. Lui ha bisogno di una donna e i suoi quattro bambini piccoli di una mamma.
La scelta cade su una giovane ragazza del proprio villaggio, molto affettuosa e premurosa con i figli di lui. Makka, così si chiama lei, non lascia i bambini per un attimo, lì tiene quasi sempre in braccio.
L’atteggiamento riesce a rassicurare anche i parenti, visto che il loro ruolo è quello fondamentale nella scelta di una sposa.
Alcuni mesi dopo il matrimonio, due dei quattro figli dell’uomo – un bimbo di cinque anni e una bimba di quattro – finiscono in ospedale con strani sintomi che ricordano quelli della sepsi.
I medici fanno una radiografia e scoprono che i corpi di bambini sono pieni di aghi. La matrigna li infilava nei corpi di piccoli, uccidendoli lentamente. Proibiva di lamentarsi col padre e i bambini tolleravano.
La storia descritta non è un’eccezione bensì una regola. Di storie così nel Caucaso russo si potrebbe sentire tante. E quasi sempre hanno una peculiarità: una matrigna oppure i parenti del padre a inferocirsi contro i piccoli.
Probabilmente c’è da domandarsi dove si trovano le madri quando loro figli subiscono le barbarie del genere.
ADAT
Ancora oggi, centinaia di donne caucasiche dopo il divorzio o la morte del coniuge non possono né vedere né tantomeno crescere i propri figli. Questo a loro viene imposto da Adat, antiche regole consuetudinarie pre-islamiche.
Nelle popolazioni montanare che abitano una parte del Caucaso hanno una forza paragonabile a quella della legge. L’Islam, una volta diffuso tra quei popoli e luoghi, non è stato in grado di sradicare la cultura tradizionale degli abitanti delle montagne del Caucaso settentrionale. Le sue radici si sono rivelate così profonde che l’Islam si è dovuto adattare alla vita sociale e spirituale dei caucasici, l’Adat compreso, che finora funge da regolatore della vita quotidiana da quelle parti.
Sui destini dei figli di genitori divorziati l’Adat è irremovibile: loro devono crescere nella famiglia del padre, parenti compresi, e la madre non esiste più.
Le decisioni giudiziarie, anche se sono a favore delle donne, non vengono né applicate né eseguite mai. La Corte suprema della Federazione russa e persino quella europea non possono fare nulla – la locale società è regolata dalle regole shariatiche e dalle leggi di Adat, invece quelle dello Stato non vengono rispettate quasi mai.
Nessuno si azzarderebbe a portare via il bambino con forza: le vendette di sangue nel Caucaso non sono le parole vuote. Tutto questo accade perché nella società caucasica è inconcepibile che un bambino venga cresciuto da un’uomo estraneo al proprio sangue.
Nella maggior parte delle famiglie caucasiche, una figlia viene istruita solo per poter crescere meglio i figli e non certamente per costruirsi una carriera professionale. Il suo ruolo nella società viene ancora legato alla casa e alla famiglia, finchè, ovviamente, quest’ultima esiste. Dopo il divorzio perde ogni diritto di crescere i propri figli.
Nemmeno coloro a chi toccherà farlo al posto suo, possono scegliere se accettare o meno presenza di bambini altrui nella propria vita, uno dei motivi, forse, che starebbe alle radici dell’atrocità di queste donne.
Forse il caso di piccola Aisha, che è stata portata via da sua madre e data alla zia paterna, sarà il detonatore che cambierà la situazione o, almeno, ci ricorderà un’altra volta della realtà che la Russia per tante ragioni politiche preferisce ignorare.
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