I ragazzi hanno grandi sogni

Scritto da in data Giugno 19, 2020

Afghanistan, anni Novanta. Kabul è il luogo in cui la vita di Alì cambia in poche manciate di secondi. Da qui all’Europa è il viaggio – durato cinque anni – che il bambino affronterà tra mille pericoli e perdite. Valentina Barile lo incontra per Radio Bullets.

Come sono i cieli dall’Afghanistan all’Europa?

Alì Ehsani si racconta attraverso due diari, Stanotte guardiamo le stelle (2016) e I ragazzi hanno grandi sogni (2018), editi da Feltrinelli e scritti insieme a Francesco Casolo.

«… è ovvio che il cielo è lo stesso, però il clima cambia. A ogni paese che arrivavo… praticamente, mi ricordo che stavo in Iran e c’era più smog, più inquinamento. Faceva più caldo. Mi sentivo come fossi in una gabbia, anche se non conoscevo la libertà, che cos’era la libertà, però mi sentivo sempre in gabbia. Quando sono arrivato in Turchia – appena sono entrato alla frontiera della Turchia era di notte, a piedi – sentivo un’aria un po’ più fresca, più verde».

Nelle prime pagine di Stanotte guardiamo le stelle, c’è subito una definizione della propria esistenza che tiene viva la speranza fino alla fine della narrazione: «No, io non sono disperato, ce la posso ancora fare. Non mi arrendo». La speranza che brucia non solo nel cuore di Alì, ma in tutti quegli umani che devono andare via da casa per una questione di sopravvivenza.

Chissà quanto sia difficile, come narratore della propria storia, mettersi a nudo per raccontare le emozioni più profonde… «Sinceramente, per me è stato difficilissimo raccontare la mia storia. Prima di tutto, non volevo ricordare quegli episodi drammatici, soprattutto la morte dei miei genitori, la morte di mio fratello, poi, la cosa che è stata più difficile era questo pensiero: se io racconto la mia storia, alcune persone quando vedono che io non ho nessuno, che sono un orfano che ha vissuto una vita difficile, magari cominciano a prendermi in giro, o magari mi guardano con occhi diversi. Poi, quando ho cominciato a raccontare la mia storia, quando sono stato nelle scuole, in tutta Italia, ho visto anche gli atteggiamenti dei ragazzi, che hanno condiviso la mia storia, che mi abbracciavano. Lì ho capito che valeva la pena di raccontare la mia storia».

Perché i ragazzi hanno grandi sogni?

«Io credo che ogni giovane, ogni ragazzo, ogni ragazza, qualsiasi persona o essere umano abbia dei sogni. Il mio sogno era… sempre mi ricordo che quando ero piccolo, in Afghanistan, tornando da scuola, raccoglievo le pallottole e le portavo a casa. Le mettevo tutte in fila e dicevo: voi studiate, siete i miei alunni… e infatti, per realizzare i sogni non bisogna mai smettere di sognare perché io ho capito che, a volte, le persone non riescono a realizzare i propri sogni perché smettono di sognare. Io non ho mai smesso di sognare, non ho mai smesso di arrendermi e oggi sono felice di avere ciò che desideravo, soprattutto di andare all’università, finire i miei studi… ho realizzato i sogni che avevo».

Alì va via da Kabul a otto anni, si accorgerà che i suoi genitori sono morti nell’esplosione della sua casa, un giorno al ritorno da scuola. Insieme a suo fratello scappa via, in direzione dell’Europa. Attraverserà il mare, guarderà i cieli dalle scocche di un camion e le terre dai cassoni coperti dei mezzi che trasportano illegalmente le persone da una frontiera all’altra. È solo un bambino!

La perdita del fratello nel mare della Grecia, l’arrivo a Roma. Gli studi, l’università, i diversi mestieri per vivere, la laurea in Giurisprudenza. L’insegnamento.

Ne I ragazzi hanno grandi sogni paragona il suo “carretto” a motore, che gli serve per trasportare le pizze in una Roma caotica, al carretto con cui il padre si recava in città per vendere qualsiasi cosa da cui ricavare il fabbisogno giornaliero per la sua famiglia a Kabul, durante la guerra.

La pioggia e il vento in faccia, la solitudine, il pensiero del padre che gli dà forza.

Il cambiamento

«Noi adesso mangiamo, almeno siamo fortunati… abbiamo il cibo, un posto caldo, però quelli che dormono per strada? Loro sono più svantaggiati di noi… comunque da un lato avevo sempre paura di essere contagiato e trasmettere il virus a qualcun altro, però dentro di me ho pensato: no, non bisogna mai avere paura della solidarietà. Perché io ho vissuto quella sofferenza, io ho dormito, quando avevo tredici anni, a Roma, nella stazione di Ostiense. So che significa la sofferenza. Ogni giorno cucinavo e portavo a loro… quando guardavo nei loro occhi, mi dicevano anche grazie. Quella loro felicità mi dava soddisfazione perché anche io ero come loro. Soprattutto questa pandemia, secondo me, ha fatto capire alla nostra umanità di avvicinarsi, di aiutarsi perché spesso le società di questo mondo, prima del coronavirus, pensavano solo alla guerra, all’odio, pensavano solo a investire soldi nelle armi… insieme, possiamo creare tante cose, condividere. Perché io spesso penso che sopravvivere fisicamente è facile, ma sopravvivere moralmente è difficile».

Durante i giorni della quarantena, Alì deciderà di cucinare per chi vive le stesse condizioni di vita che ha dovuto affrontare lui, nella sua adolescenza, all’arrivo in Italia. Nonostante la paura del contagio, sceglierà la solidarietà.

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