Il debito dell’Ecuador

Scritto da in data Ottobre 19, 2019

Dodici giorni di proteste e manifestazione in tutto l’Ecuador, il presidente che sposta il centro del governo da Quito a Guayaquil, manifestanti che urlano “el paro no para”, Moreno che non vuole retrocedere sul decreto 883, una nazione in stato di emergenza, otto morti, migliaia di feriti. Tutto causato dalle misure necessarie per ripagare il prestito del Fondo Monetario Internazionale. Ora la pace sembra sia tornata nel paese, le misure di austerity ritirate, ma la domanda rimane: come ripagheranno gli ecuadoriani il debito dell’FMI?
A cura di Stefania Cingia per Radio Bullets

Foto di copertina di Loris Umberto Murolo

“Hola bebe…cómo estas?”

“Bien gracias, yendo a la marcha”

“Qué marcha? Adónde? Por qué?”

“Por el paro nacional. Ahora te muestro”

Era il 7 ottobre e così chattavo con Jairo, un amico dell’Ecuador. Poco dopo sul mio telefono compaiono fotografie di persone in marcia per le vie di Guaranda, una cittadina della provincia di Bolivar, le stesse strade che percorrevo per comprare il pane quando vivevo in Ecuador. E poi un video di persone che cantavano “El pueblo unido jamás será vencido!” con il pugno sinistro alzato. Ah, mi querido Ecuador! Cosa sta succedendo?

Sento Dorian, un altro amico ecuadoriano che in poche parole mi spiega che la popolazione sta scioperando contro le misure del governo che prevedono l’eliminazione del sussidio per l’acquisto di benzina e il taglio dei funzionari pubblici. Per cosa queste misure? Per coprire il prestito del Fondo Monetario Internazionale.

Andiamo con ordine. Il presidente dell’Ecuador ha stretto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per avere un prestito, come fanno altri paesi del resto. Il che non è il male assoluto, visto che avere fondi da investire nel proprio paese può aiutarlo a crescere economicamente e socialmente. Il punto è capire come indebitarsi e soprattutto fino a che punto.

Nel 2000 l’Ecuador aveva raggiunto il massimo del debito totale, formato dal debito interno e il debito verso l’esterno: il debito superava gli 800 miliardi di dollari, che rappresentavano l’85% del prodotto interno lordo. Quell’anno fu particolarmente caliente per l’Ecuador, che visse la peggiore crisi economica di tutti i tempi. Ci furono scontri e manifestazioni. A seguito della crisi avvenne la cosiddetta “dollarizzazione” del paese e l’allora presidente Jamil Mahuad fu costretto a dimettersi. Da quel momento il debito calò vertiginosamente, arrivando in soli 9 anni a rappresentare il 16% del PIL. Ma dal 2009 la tendenza cominciò a invertirsi: il governo di Rafael Correa iniziò ad aumentare il debito e da allora non si è più fermato. Il punto, come dicevamo prima, non è il debito in sé, ma se i prestiti servono a generare ricchezza nel paese. Sembra che negli ultimi anni del governo Correa, il debito crescesse, ma non il PIL del paese: secondo il Fondo Monetario Internazionale, gli stipendi aumentavano, ma non in linea con l’aumento della produttività e questo ha guastato la competitività del paese. Nel 2014 inoltre ci fu la caduta del prezzo del petrolio che ha portato meno guadagno e quindi più difficoltà nel pagare i debiti contratti.

Ed è proprio il debito uno degli attori chiave della rottura politica tra Rafael Correa e il suo successore, e prima vice presidente, Lenin Moreno, attualmente presidente dell’Ecuador. Da alleati a oppositori: una volta al potere, Moreno accusò Correa di aver aumentato il debito pubblico con manovre populiste, di aver truccato i conti e di avere portato l’Ecuador al punto attuale della crisi economica. Da parte sua, Correa negò queste recriminazioni e tacciò Moreno di essere un traditore.

Cosa fece il governo di Moreno? Provò a rifinanziare il debito chiedendo credito, tra le altre, anche al Fondo Monetario Internazionale, un organismo creato nel 1944 dopo la Grande Oppressione degli anni Trenta per evitare altre crisi simili. Oggi l’FMI dà credito ai paesi in situazioni problematiche, però in cambio chiede delle riforme.

Il Fondo ha concesso all’Ecuador il prestito di 4,2 miliardi di dollari per garantire il pagamento del debito e in cambio il paese ha dovuto garantire un piano economico, il famoso “paquetazo”. Secondo l’FMI, il piano servirà ad aumentare la crescita economica, stimolare la produttività e a creare posti di lavoro. Ma funziona?

Per molti analisti, questo tipo di soluzioni non hanno molto successo in America Latina: invece di portare benefici, porterebbero recessioni, disoccupazione e disuguaglianza. Inoltre, le misure richieste difficilmente sono popolari e spesso portano all’instabilità politica.

Altri esperti segnalano casi positivi, come l’aiuto al Costa Rica nel 1980 o al Brasile nel 2002, che permise al paese latino di evitare il default con un prestito di 30 mila milioni, anche se le misure richieste dal fondo furono meno restrittive.

Moreno ha ottenuto dall’FMI un credito per 4,2 miliardi di dollari in cambio della riduzione del deficit fiscale. Il presidente ha annunciato un piano di austerità che include diverse misure, quali un contributo particolare alle aziende con guadagni più alti di 10 milioni di dollari all’anno, un aggiustamento nel settore pubblico con una riduzione salariale fino al 20% per i contratti temporanei, una riduzione delle vacanze da 30 a 15 giorni e un aiuto dai lavoratori dello stato che dovranno donare un giorno al mese del proprio salario. Ma la misura che ha causato più problemi è senza dubbio quella dell’eliminazione dei sussidi per il carburante, presenti da quattro decadi.

L’FMI ha applaudito le misure, un po’ meno il popolo ecuadoriano che è sceso in piazza guidato dagli operatori del settore dei trasporti e dai sindacati, dagli indigeni e dagli studenti. Gli scioperi e le manifestazioni sono stati molto duri e il presidente Moreno ha imposto lo stato di emergenza, che comporta la creazione di zone di sicurezza, lo spiegamento dell’esercito e della polizia e la censura dei mezzi di informazione, se necessario.

Il prezzo del combustibile è stato il detonatore degli scontri in Ecuador e ha avuto un effetto a cascata su vari settori dell’economia. Ma perché proprio il combustibile? Il combustibile è parte fondamentale di tutta la catena produttiva, dalle coltivazioni al trasporto, alla produzione di certi materiali, e se aumenta il prezzo del combustibile aumenta tutto: il prezzo della benzina extra, la più usata, è passato da 1,85 dollari a 2,30, e da 1,08 dollari a 2,27 dollari al gallone il diesel. Un aumento del 120%.

Il prezzo dei trasporti è salito da 5 a 10 centesimi come il prezzo dei prodotti al mercato, per via del maggior costo di trasporto e la difficile reperibilità di alcuni prodotti dovuta ai blocchi stradali durante le manifestazioni. E l’aumento va a influire in modo particolare sulle fasce poveri della popolazione, che vivono con un dollaro al giorno come i campesinos e gli indigeni. Loro sono stati in prima linea durante le manifestazioni, ma dietro a supporto c’era tutta la popolazione ecuadoriana.

Dal 3 al 14 ottobre le forze di sicurezza hanno ucciso 8 manifestanti, ne hanno feriti 1340 e hanno effettuato 1192 arresti. Sono stati segnalati numerosi casi di tortura, uso eccessivo della forza e impiego indiscriminato di gas lacrimogeni. Un pugno di ferro in cui sembrava che nessuno potesse o dovesse retrocedere. Moreno ha accusato l’ex presidente Correa di voler destabilizzare il paese, insieme all’opposizione e a Nicolas Maduro, presidente del Venezuela. I leader della manifestazione assicurano che il movimento di protesta è apolitico e apartitico.

Con un colpo di scena, la notte del 13 ottobre Moreno ha ritirato le misure di austerità a seguito di un incontro tra le rappresentanze pubbliche e quelle indigene, decise a chiedere la revoca del decreto 883, la dimissione dei ministri di Difesa e Interni, la libertà di tutti i detenuti e la libertà di protesta come sancito dalla Costituzione. Dopo un’ora e mezza di trattative, in diretta nazionale è stata annunciata la revoca delle misure e l’istituzione di  una commissione per la stesura di un nuovo decreto  che vedrà la partecipazione congiunta del Governo e delle organizzazioni indigene per concordare gli obiettivi di politica economica, e la presenza, in qualità di mediatori, dell’ONU e della Conferenza Episcopale Ecuadoriana.

Tanti hanno applaudito al ritiro del decreto e da una parte si può sicuramente dire che è una vittoria del popolo ecuadoriano: la determinazione nel portare avanti i propri diritti ha pochi eguali nel mondo e la solidarietà che ha percorso la popolazione è ammirevole. Ma le manifestazioni hanno scoperto anche la violenza della repressione, con le forze dell’ordine che hanno perso il controllo e hanno causato morte e disperazione. Amnesty International chiede fortemente che vengano indagati i responsabili delle violazioni dei diritti umani, gli abusi di potere e di forza che si sono consumati in questi giorni. E onestamente mi aleggia una domanda forte in testa: se questo prima tornata di riforme è stata come ripagherà il popolo ecuadoriano il prestito del Fondo Monetario Internazionale?

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Opinioni dei Lettori
  1. Radio Bullets   On   Ottobre 22, 2019 at 9:20 am

    il carburante è stata la goccia. Di sicuro ci sono dinamiche più complesse.
    Grazie per il commento.
    Barbara Schiavulli

I commenti sono chiusi.


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