Il lockdown diventerà un evento?
Scritto da Massimo Sollazzini in data Maggio 31, 2020
Con frequenza quotidiana, secondo alcuni anche eccessiva, conosciamo giornalmente quante vittime miete il coronavirus in tutto il mondo. Benché non del tutto omogenea da paese a paese, e quindi arrotondata per difetto, la mortalità della pandemia è un dato pressoché oggettivo, e confrontabile a distanza di tempo: nel complesso quasi 400mila vittime, su circa 6 milioni di contagiati, tra gennaio e maggio di quest’anno.
Se sappiamo più o meno cosa è successo, non sappiamo cosa avrebbe potuto non succedere: non esistono ad ora studi circostanziati su cosa sarebbe accaduto senza alcun lockdown, ovvero senza adottare nel mondo alcuna misura di contenimento.
Dati sugli effetti collaterali
Qualche dato in più è invece, già disponibile sugli effetti collaterali. Ad esempio, su quanto sia stata rallentata la prevenzione di altre malattie e quindi di altri decessi. Per mesi l’attività ordinaria di ospedali e cliniche è stata più o meno azzerata. Limitandoci all’Italia, il sistema sanitario nazionale per rimettersi in pari dovrebbe smaltire in autunno 4 milioni di screening oncologici, stando alla stima del Centro studi Nomisma. E tralasciamo qui la prevenzione sugli altri tipi di patologie, sia fisiche che mentali: un accumulo esponenziale.
Conseguenze anche positive
Gli effetti indiretti del lockdown non sono solo negativi. Generalmente è diminuito l’inquinamento atmosferico. In particolare, le cosiddette polveri sottili e il diossido di azoto, ridotti anche della metà, in alcune aree urbane, ad esempio in India o a Parigi. Paradossalmente, il calo di diossido di azoto ha “liberato” nuovo ozono superficiale, un inquinante secondario che si materializza vicino alla superficie terrestre. Un effetto collaterale di secondo livello non esattamente positivo, dunque; nel complesso però l’atmosfera ne ha beneficiato, e le immagini della catena hymalaiana liberata dalle nubi di smog ne sono un sintomo dal forte impatto emotivo.
Ma ad esser “liberati”, seppure temporaneamente, sono stati anche i centri abitati. Soprattutto quelli a più alta densità di popolazione. Giornalmente “stressate” da un brulichio di persone, macchine e – appunto – emissioni, soprattutto le grandi città sono tornate per alcune settimane a “respirare”, rivelando una faccia inedita per i più. Ora che in alcune parti del mondo come l’Italia la morsa delle restrizioni si è allentata, chiunque viva in uno di questi centri abitati conserva le proprie cartoline dal deserto di casa, scattate con lo smartphone piuttosto che con i propri occhi. Paesaggi per lo più angoscianti, perché apparentemente privi di presenza umana; anche affascinanti, in qualche caso almeno. Immagini emblematiche in questo senso sono quelle scattate a Venezia: nel cuore dell’emergenza, i canali della città sull’acqua risplendevano sgombri di imbarcazioni (dalle navi da crociera ai vaporetti) quanto placidi e argentei. Chi ha avuto modo di percorrerli o costeggiarli in piena solitudine assicura di aver assistito ad uno spettacolo unico. Un po’ lo stesso che, con le dovute proporzioni, offriva qualsiasi via di metropoli o città abitualmente “aggredita” da traffico e folle di viventi.
La fase 2
In questi giorni di fase 2 ci auguriamo tutti di poter recuperare ciò che di buono avevamo prima dell’emergenza, dal lavoro alle relazioni sociali, e ognuno aggiunge altro di suo. In molti dei cittadini a lungo “restatiacasa” c’è anche la speranza che qualcosa possa cambiare in meglio, facendo in qualche modo tesoro di sensazioni e riflessioni che il blocco ci ha fatto provare. Il rapporto con i centri abitati è, probabilmente, una delle cose migliorabili. E se è impossibile pensare a città costantemente sgombre dal traffico di mezzi e persone, ritrovare di quando in quando l’occasione per metterle “a nudo” potrebbe forse aiutarci a rispettarle anche nei giorni normali.
Per un po’ di anni varie città del mondo hanno sperimentato le domeniche senz’auto. Un’evoluzione della specie potrebbero essere le “domeniche senza”: tutto fermo a parte i mezzi pubblici e i servizi essenziali (ospedali, farmacie, edicole, somministrazione di cibo, alberghi), come abbiamo “subito” durante la fase 1. Metti una domenica del genere a Venezia, Firenze o Roma. Magari la prossima primavera, annunciata per tempo: non diventerebbe un “evento-non evento”?
Non si rivelerebbe anche elemento di attrazione turistica? Visitatori attratti dall’occasione unica di osservare città “sgombre” come in lockdown, ma senza il patema della pandemia (speriamo), disposti ad arrivare uno o due giorni prima, e quindi a restituire all’economia locale ciò che quella domenica di chiusura finirebbe per privare. Al tempo stesso, sarebbe una nuova (periodica?) occasione per far apprezzare agli abitanti il valore di ciò che vivono. Che c’era un tempo in cui il driver dominante non era solo quello di tenere aperto sempre e vendere tutto il vendibile, incuranti di ogni effetto collaterale. Un tempo in cui i borghi erano soprattutto luoghi di socializzazione e crescita personale, più che di consumo.
E che giorno dopo giorno di questo Terzo millennio, con l’incessante flusso antropizzato, rischiamo di cancellare.
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