Il vecchio, il mare e la scatoletta di tonno

Scritto da in data Dicembre 9, 2018

Hemingway prende parola alle Nazioni Unite: “Un tonno si aggira per l’Europa”. È il 2 maggio del 2016, e il mondo delle scatolette di tonno non sarebbe stato più lo stesso. Poi è arrivato Bello FiGo SWAG. Ma questa è tutta un’altra storia. A cura dei Cardiopoetica su Radio Bullets

Dopo il primo maggio, il lavoratore guardò la scatoletta di tonno, e vide che era cosa buona e giusta. Sì, perché il due maggio è stata istituita dall’ONU la giornata mondiale del tonno, il cui mercato vale 42miliardi di dollari, coinvolgendo oltre 80 Stati.

Tra l’altro, se siete italiani, accade che il 94% di voi mangia tonno. E che c’è un buon 50% di possibilità che negli ultimi sette giorni abbiate mangiato almeno una volta il tonno in scatola. E, se siete già in questa metà, potreste essere in realtà dei seriali mangiatori di tonno, addirittura arrivando tra le tre e le cinque volte negli ultimi sette giorni.

Nessuna campagna ambientalista ha retto, né allarmi mondiali sulla diminuzione delle risorse ittiche, né eventuali problemi di contaminazione. Invece, negli Stati Uniti, il tonno in scatola sta passando di moda, soprattutto tra i più giovani. Anzi, precisamente dal 1989, ma facciamo ordine.

Nel 1970 l’agenzia americana sulla sicurezza alimentare, la FDA, ha ritirato 1 milione di scatolette e lo stesso anno un professore di chimica dell’Università di New York ha rivelato elevati livelli di mercurio nelle scatolette. In seguito, si sono verificate aggressive campagne ambientaliste contro il consumo del tonno in scatola, contribuendo a un suo lento declino, ma mai come negli ultimi tempi.

Tanto che i maggiori giornali statunitensi si sono interessati del caso. In particolare, sembrerebbe soprattutto una questione da millennials. Secondo il Wall Street Journal, una delle cause del declino del tonno è che i millennials non comprano più gli apriscatole, ma convince poco, dato che buona parte delle scatolette di tonno ha ormai la linguetta. Una seconda analisi dello stesso giornale dice che invece si tratta più di pigrizia, perché “a molti non va nemmeno di aprire la lattina e svuotarla o andare a prendere piatti e posate per mangiare il tonno”.

La vede invece diversamente il Washington Post, e la porta più a un livello filosofico, ovvero parla di una coscienza ambientale più forte tra le nuove generazioni rispetto a quelle del baby boom. Eppure, anche questa ipotesi sembra poco plausibile. Infatti, il sushi cresce costantemente negli Stati Uniti e sta diventando uno dei mercati più dinamici, soprattutto tra i millennials.

Allora di chi è la colpa? Sarebbe tutta una questione di glamour. Il quotidiano Usa suggerisce che la scatoletta di tonno soffrirebbe di un confezionamento poco curato, associato alla “sfiga” e che sembrerebbe respingere una generazione più interessata a documentare sui social la preparazione di un piatto che a consumarlo. Inoltre, c’è una sostituzione a livello lessicale del termine “canned” con “tinned”, preferito sia da cuochi che dagli influencer. Ma, a conti fatti, vogliono dire la stessa cosa. Cioè essere in una scatoletta.

Invece, chi badava alle parole era sicuramente Hemingway, esperto pescatore di tonno e di marlin, tanto che riuscì addirittura a risolvere con una tecnica ingegnosa uno dei problemi più annosi della caccia al tonno, ovvero l’attacco degli squali, che spesso comportava ingenti danni.

“Pesce ti voglio bene e ti rispetto molto. Ma ti avrò ammazzato prima che finisca questa giornata.” E così finisce con le parole di Hemingway questa puntata.

 

 

 

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