Ilide Carmignani racconta Luis Sepúlveda
Scritto da Valentina Barile in data Settembre 10, 2021
La vita intensa di un uomo, Luis Sepúlveda, raccontata dalla sua traduttrice italiana, Ilide Carmignani, conosciuta soprattutto per le sue traduzioni di Roberto Bolaño, Gabriel García Márquez e molti altri grandi scrittori spagnoli e sudamericani. Valentina Barile su Radio Bullets con l’autrice e il suo libro “Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba” pubblicato da Salani editore.
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Il cileno errante
«Mio padre si chiamava Luis, faceva il cuoco e amava il tango e i cavalli. Mia madre si chiamava Irma, faceva l’infermiera e le piaceva la pallacanestro. Il 3 ottobre 1949 partimmo tutti e tre da Santiago, diretti a nord, a bordo di una vecchia Pontiac nera; lui aveva ventotto anni, lei venticinque, e io, dentro di lei, ero solo impaziente di nascere». – da “Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba” (Salani editore).
Ilide Carmignani: «Lucho era diverso da tutti gli altri, è stato così fin dall’inizio, quando nel ’92 o nel ’93 – non mi ricordo – ha chiesto di conoscermi, spaventandomi a morte perché io ho pensato a un esame a cui voleva sottopormi uno scrittore che stava diventando una specie di pop star. Nessuno scrittore chiedeva mai di conoscere il proprio traduttore. E quando sono entrata nella hall dell’albergo a Milano non c’era nessuno della casa editrice; poi ho sentito “plin, plin”, si è aperto l’ascensore, è uscito questo omone con la barba nera, gli occhi neri, i capelli neri, un’aria serissima – faceva quasi un po’ paura – e mi ha guardato, mi son dovuta presentare. E allora di colpo mi son sentita quasi alzare da terra, mi ha stretto in uno dei suoi abbracci da orso, poi mi ha ringraziato per avergli prestato la mia voce per arrivare ai lettori italiani e mi ha fatto una bellissima dedica: “alla mia compagna di strada (mi compañera de camino); compagna – lo sapete – vuol dire “cum panis”, quelli con cui dividi il pane. Ed è stato proprio così, cioè tante volte mi sono seduta con lui a tavola, mi sono seduta a tavola a casa mia qua sulle colline tra Lucca e il mare, mi sono seduta a tavola a casa sua nelle Asturie, mi sono seduta a tavola in giro, è passato un quarto di secolo in cui mi sono spesso detta: “Ma quando scriverà la sua autobiografia, ha avuto una vita pazzesca, incandescente”, ma lui preferiva raccontare le vite degli altri, dare voce a chi non ha voce, e alla fine è successo quel che è successo».
Le sette vite di Lucho
«Alla Patagonia mi legano anche le mie radici: il padre di mia madre veniva da laggiù, più precisamente dall’Araucanía, che ha resistito invitta prima all’impero inca e poi ai conquistatori spagnoli. La Wallmapu, come la chiama il popolo mapuche che l’abita da sempre, va dalla costa del Pacifico a quella dell’Atlantico, copre cioè un pezzo di Cile e un pezzo di Argentina, perché certi confini sono solo un’invenzione dei politici, righe tracciate su una mappa a tavolino. L’Araucanía è terra di mare e di montagne, di fiumi e di foreste d’araucarie, di condor e di puma». – da “Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba” (Salani editore).
Ilide Carmignani: «Lucho, come lo chiamavano in famiglia, come lo chiamavano gli amici, ha vissuto sette vite come i gatti, forse anche di più. A vent’anni ha detto a tutti che andava a studiare all’estero ed è andato a fare il guerrigliero in Bolivia con i reduci di Che Guevara, poi ha fatto il leader studentesco a Santiago durante quello che potremmo definire il ’68 cileno, ha fatto l’attivista nella campagna elettorale di Allende, durante i mille giorni del governo di Allende è diventato la sua guardia del corpo – il Gruppo di Amici Personali – e poi è finito, dopo il Golpe, prigioniero politico nelle carceri di Pinochet, esule: Amnesty International gli ha fatto commutare trent’anni di carcere in esilio. Ha fatto un lungo giro in America Latina, alfabetizzatore nei villaggi andini dell’Ecuador, è andato a combattere in Nicaragua, è stato compagno degli shuar, questa etnia seminomade nella foresta amazzonica in una missione UNESCO, poi è venuto in Europa ed è diventato un attivista ecologico sui gommoni di Green Peace per difendere le balene, e poi ha fatto l’inviato di guerra in Angola, in Mozambico. E a quarant’anni è andato due settimane in vacanza in un’isola della ex-Jugoslavia e ha scritto “Il vecchio” ed è diventato uno scrittore famoso».
Il viaggio…
Cosa si prova a raccontare la vita di un uomo del quale si è sempre stata la sua voce, quando era in vita. Il lavoro del traduttore comporta grandi fatiche e responsabilità nella restituzione di senso, di ciò che l’autore vuole far sapere ai suoi lettori. Ma c’è di più. Ilide Carmignani: «Quando nell’aprile dell’anno scorso Lucho è venuto a mancare, dopo un momento d’incredulità – forse perché in quel tempo sospeso non si è potuto salutare nessuno – ho pensato che bisognava in qualche modo rimediare, no? Così che le sette vite d Lucho venissero raccontate; ho riordinato tanti piccoli ricordi sparsi fra libri, articoli, presentazioni, chiacchierate a tavola, e in questo quarto di secolo di collaborazione come traduttrice ero diventata un po’ il suo archivio vivente. Ne ho parlato con Carmen, le ho detto: “Mi piacerebbe scrivere l’autobiografia di Lucho per ragazzi dagli otto agli ottantotto anni”, come l’avrebbe scritta lui, con il suo senso dell’umorismo e della solidarietà, la sua vitalità, i suoi grandi sogni. E lei mi ha incoraggiato e aiutato, mi ha detto: “È un gesto di giustizia poetica, lui non ha fatto in tempo a farlo, glielo fai fare tu”… e mi ha dato foto di famiglia, una sua bellissima poesia e un ritratto di Lucho molto affettuoso per aprire e chiudere il libro. Dopo trent’anni, ventisei libri tradotti, scriverlo non è stato difficile, conoscevo bene la sua voce. Ho continuato a mettere i piedi nelle sue orme come facevo quando traducevo, e anche stavolta mi sono – come dire – nascosta nello spazio bianco fra le righe dove mi sento più a mio agio. È lui che racconta in prima persona, al suo fianco, per fargli da spalla, mi è venuto naturale mettere il gatto enciclopedico della gabbianella, Diderot, l’amico di Zorba, e poi alla fine mi sono accorta che quel gatto bibliotecario un po’ mi assomiglia: anch’io sempre fra i libri, fra i dizionari».
«Una vecchia metafora sostiene che tradurre è come mettere i piedi nelle orme dell’altro, ed è grande lo sforzo per misurare esattamente il passo, perché sia di quella certa lunghezza, ora così pesante ora così leggero sulla sua terra latinoamericana. A volte manca il terreno sotto ai piedi: quella prateria è fatta di erbe che non hanno un nome in italiano e quell’estate accecante splende durante il nostro inverno. A volte lo smarrimento è più sottile: perché lo scrittore ha preso quel passo, perché si è avviato proprio su quel sentiero fra tutte le strade che poteva battere nella sua lingua, nella sua letteratura?». – da “Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba” (Salani editore).
Ilide Carmignani conclude su Radio Bullets: «Cerco sempre di conoscere i luoghi che fanno da sfondo ai libri che traduco. C’è una poesia di Nicola Gardini che dice: tradurre un bacio è avere nella bocca non una, ma due lingue contemporaneamente. Ecco, invece andare nei luoghi, annusare quei fiori, mangiare quei cibi è come far combaciare le parole e le cose. Le parole sul dizionario sono carta e annusando e mangiando gli dai corpo, carne. Conosco abbastanza bene tutta la Spagna, anche le Asturie, nel Nord, dove viveva Lucho. Un po’ meno l’America Latina perché è lontana e viaggiare purtroppo richiede tempo e soldi, e i traduttori lavorano tanto e guadagnano poco. Però sono stata in Cile, in Argentina, a Cuba, in Messico, fra le altre cose ho fatto un lungo giro nel distretto federale, nelle strade di Bolaño e dei suoi detective selvaggi. Così come sono stata a Venezia e sulle orme della baronessa von Zumpe, l’ho attraversata fino a Cannaregio. Confesso che non sono ancora andata in Patagonia. La mia Patagonia è quella di Lucho, l’ho vista solo attraverso i suoi occhi e le sue parole, è bellissima, così bella che ho quasi paura di conoscere quella vera».
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