Indy per cui…

Scritto da in data Gennaio 26, 2020

Il 29 gennaio il Tribunale amministrativo di Lipsia decide sulla legittimità della chiusura del sito linksunten.indymedia.org , voluta nel 2017 dall’allora ministro degli Interni de Maizière. Ma il tema riguarda tutti i media indipendenti. 

di Paola Mirenda

Intorno alle due di pomeriggio un furgoncino si ferma davanti al Tribunale amministrativo di Lipsia, in Sassonia, Land dell’Est tedesco. Ne scendono due addette che distribuiscono ai poliziotti lì davanti lattine di quello che sembra un drink energetico. È il 25 gennaio 2020, nel pomeriggio ci sarà una manifestazione. La polizia sassone ci tiene ai suoi agenti, ha già mandato il pranzo, ora qualcosa da bere. Alcune zone della città sono più o meno blindate dalla sera prima, con centinaia di agenti di pattuglia. Simsonplatz, dove si trova il Tribunale amministrativo, è una di queste. L’altra è Connewitz, dove è prevista la manifestazione di André Poggenburg, nazi-esponente di Alternative für Deutschland, e una conseguente contromanifestazione. E Connewitz è anche il luogo di destinazione del corteo che muoverà da Simsonplatz. Al centro di tutto, la sorte di uno dei più importanti siti di informazione indipendente degli ultimi vent’anni, il primo a prevedere una piattaforma di pubblicazione aperta, ben prima di Twitter, ben prima di facebook. Ai quali, per fortuna, non somiglia nemmeno un po’.

Il 29 gennaio prossimo il Tribunale amministrativo di Lipsia dovrà provare a rispondere a una domanda semplice ma piuttosto impegnativa: quali sono i confini della libertà di stampa in Germania? Lo farà decidendo sulla legittimità dell’ordinanza con la quale, nell’agosto del 2017, l’allora ministro dell’Interno Thomas de Maizière aveva imposto la chiusura del sito linksunten.indymedia.org, aperto nel 2009 come derivazione di Indymedia Germania, a sua volta nodo europeo dell’Independent Media Center nato a Seattle nel 1999. Per ordinare la chiusura il ministro si era avvalso della legge sulle associazioni: a suo parere le persone che gestivano il sito erano responsabili delle violenze di piazza durante il G20 di Amburgo (luglio 2017) e il sito era lo strumento attraverso il quale coordinare tali violenze. Il processo nei loro confronti non si è ancora concluso, ma la chiusura di linksunten non ha dovuto aspettare i tempi del tribunale. Da due anni e mezzo è inaccessibile, anche se molta della documentazione presente è confluita su de.indymedia.org ed è oggi consultabile tramite archivio.

Nonostante oggi il problema più serio della Germania non sia né l’economia né l’estrema sinistra ma il risorgere di un neonazismo violento e protervo, i politici della Cdu/Csu – come lo era de Maizière e come lo è il suo successore Seehofer – puntano a equiparare destra e sinistra, spesso minimizzando i reati ascrivibili alla destra e enfatizzando quelli provenienti da sinistra. È avvenuto di recente proprio a Lipsia, nella notte di capodanno, quando la polizia giustificò il proprio intervento “muscoloso” a Connewitz, quartiere storicamente di sinistra, parlando via Twitter di aggressioni da parte di black block e di un agente gravemente ferito e operato di urgenza. Quelle informazioni furono prese e rilanciate dai politici – Spd compresa – per chiedere interventi radicali a Lipsia contro i movimenti di sinistra, parlando di “terrorismo” rosso, di pericolo per la democrazia, di quartiere senza controllo.  Solo la diffusione di video e foto ha consentito di riportare la vicenda nei suoi limiti naturali. Nessuna aggressione, nessun poliziotto gravemente ferito, infine il capo della polizia sotto accusa per l’incompetente gestione della situazione. Ma nonostante questo le persone arrestate quella notte sono state incarcerate, l’accusa resta “tentato omicidio” e alla fine la polizia si è limitata a licenziare il proprio portavoce per quel tweet falso. E anche a Capodanno c’è stato chi ha accusato il sito di Indymedia Germania di essersi fatto megafono delle violenze, dimostrando da un lato di non capire affatto come funzioni indymedia, dall’altro di non capire come abbia funzionato la piazza quella notte.

Indymedia è da sempre un sito a pubblicazione aperta, senza quindi filtri di controllo né necessità di registrazione. Si basa sul rispetto delle persone, sull’autoregolamentazione per quel che riguarda i contenuti, sulla libertà di restare anonimi. Paradossalmente, è persino apprezzato dalle forze dell’ordine. Riporta Lvz, giornale locale di Lipsia, che all’epoca della chiusura Jan Reinecke, capo del Bdk, il dipartimento di polizia criminale, si era lamentato perché non avrebbero più potuto avere gratis notizie sulle iniziative di sinistra. “Toccherà aumentare il budget per gli infiltrati”, disse in una intervista. Ma linksunten non si limitava a segnalare appuntamenti e manifestazioni, e nemmeno solo discussioni interne. Linksunten era stato creato anche per funzionare come centro di raccolta per documenti e informazioni sull’estrema destra. Sul sito, proprio un paio di mesi prima della chiusura, erano finiti dei leak piuttosto interessanti: riguardavano una chat di membri di AfD, tra cui proprio André Poggenburg, e le discussioni relative al futuro del partito. Nella chat c’era più di un argomento che sarebbe stato compito dell’Ufficio per la protezione della Costituzione, i servizi segreti interni. A maggio 2017, per esempio, un tale Steven scrive :“quando arriveremo alla vittoria, dobbiamo gasare tutti quelli che non sono della nostra opinione”. Si parla di prendere il controllo dei media, si irridono gli immigrati, si promuovono campagne di sostegno economico a esponenti di destra accusati di aggressione – come Sven Lieblich – , si discute di quali rapporti avere con l’Identitäre Bewegung, il movimento identitario.

Non sono temi che interessino de Maizière. A lui interessa quello che è successo al G20 di Amburgo, vuole una risposta forte dopo le contestazioni, la trova con linksunten. Perquisizioni, fermi, chiusura del sito. Protesta Reporter ohne Grenze (Rsf, sezione tedesca), che dice che tale decisione è estremanente discutibile . “Um gegen strafbare Inhalte auf linksunten.indymedia vorzugehen, hätte es weniger einschneidende Mittel gegeben”, dice il suo direttore Christian Mihr. “Ci sarebbero stati metodi meno drastici per contrastare contenuti passibili di reato”, spiega, aggiungendo che questo è un pessimo segnale a livello internazionale. Protestano i partiti di sinistra, protestano i media-attivisti di indymedia. De Maizière ha deliberatamente evitato di chiudere linksunten sulla base del Telemedia Act , il regolamento della stampa, che avrebbe previsto la visione di ognuno degli oltre diecimila articoli presenti; ha scelto la strada più comoda, quella sulla violazione delle leggi sull’associazionismo, che interdicono l’uso della violenza. La domanda ora è: poteva farlo?

“Se il Tribunale amministrativo federale ritiene che il divieto sia legittimo”, spiega a Taz l’avvocata Kristin Pietrzyk, “possono essere colpiti anche altri siti. Gli operatori delle piattaforme di pubblicazione aperta dovranno chiedersi: quanto dobbiamo moderare per non essere messi al bando? Cosa è autorizzato a fare un blog, cosa può fare un giornale online non mainstream, cosa può fare un forum? Questo spalanca le porte alla censura. Se vedi la libertà di stampa come un pilastro della nostra democrazia, da wird ganz schön dran gesägt”. Quel pilastro lo stanno tagliando, e non poco.

 

Note a margine: la manifestazione di sabato 25 a Lipsia è stata caratterizzata da momenti forti di tensione. La polemica su chi li abbia innescati è in corso.

Molto interessante invece è stata la situazione a Connewitz nel pomeriggio. André Poggenburg, che non è nuovo nel suo tentativo di indire manifestazioni a Connewitz, aveva deciso di convocare l’ennesima sotto lo slogan “Chiudiamo indymedia”. L’intento era duplice: entrare nel quartiere e costringere i manifestanti a dividersi tra Connewitz e Simsonplatz. È intervenuto Die Partei (partito satirico di matrice antifascista. Se non lo conoscete vi perdete un sacco di divertimento locale!) che ha convocato la contromanifestazione, garantendo una presenza nel quartiere. Il risultato è stato di dieci (i seguaci di Poggenburg) a duecento (gli aderenti all’iniziativa di Die Partei).

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