Iran: chi è la polizia della moralità?

Scritto da in data Dicembre 6, 2022

In questi giorni abbiamo sentito molto parlare delle proteste in Iran e della polizia della moralità che imperversa tra le strade dicendo alle donne come devono vestirsi e come devono comportarsi nei luoghi pubblici.

A metà settembre, la “polizia morale” iraniana ha arrestato Jina Mahsa Amini, 22 anni, a  Teheran  per aver indossato il velo in modo inappropriato. L’hanno portata in una stazione di polizia, dove è entrata in coma. Tre giorni dopo, il 16 settembre, è morta in ospedale. La morte di Amini ha scatenato una rabbia diffusa,  portando a manifestazioni antigovernative che quasi tre mesi dopo continuano a coinvolgere decine di città in tutto il paese.

Sabato è girata la voce che questo ramo della polizia che dipende dal ministero degli Interni, potesse essere stata smantellata, di fatto non è andata così, anche se nessuno tra i manifestanti avrebbe creduto che potesse fare la differenza.

Ma chi è e cosa fa la “polizia della moralità”?

“Gasht-e-Ershad”, che si traduce come “pattuglie della guida”, ed è ampiamente conosciuta come la “polizia della moralità”, è un’unità delle forze di polizia iraniane istituita sotto l’ex presidente della linea dura Mahmoud Ahmadinejad.
Indossare l’hijab è diventato obbligatorio in Iran nel 1983, ma non è stato fino al 2006 che l’unità ha iniziato a pattugliare le strade con il compito di far rispettare le leggi sul codice di abbigliamento islamico in pubblico.
Secondo la legge iraniana, tutte le donne oltre la pubertà devono indossare un copricapo e abiti larghi in pubblico, l’età esatta non è chiaramente definita. A scuola, le ragazze di solito devono indossare l’hijab dall’età di sette anni, ma non significa che debbano indossarlo in altri luoghi pubblici.

Nell’ultimo decennio, la polizia morale e la legge sull’hijab sono diventate simboli brucianti del controllo della Repubblica islamica sulla vita delle donne. Gli agenti della moralità sono stati inviati nelle città di tutto il paese, dove pattugliano le strade con furgoni bianchi e verdi.

Tra i loro doveri: scoraggiare forme audaci di intrattenimento o abbigliamento, penalizzare i conducenti che consentono alle donne di viaggiare in veicoli con i capelli scoperti, fare irruzione e chiudere attività commerciali e concerti in cui si ritiene che le persone si comportino in modo non islamico.

La forza ha inflitto sanzioni arbitrarie che vanno da avvisi verbali a multe, arresti e percosse. Le donne iraniane hanno sfidato la legge sull’hijab sin dal suo inizio, spesso indossando cappotti e sciarpe alla moda che mettevano in mostra parte dei loro capelli. La sfida delle donne ha trasformato la legge sull’hijab e la polizia morale in un continuo punto di attrito. L’applicazione dei codici morali si è leggermente allentata dopo l’elezione nel 2013 di Hassan Rouhani a presidente.

Non ci sono linee guida o dettagli chiari su quali tipi di abbigliamento si qualifichino come inappropriati, lasciando molto spazio all’interpretazione e scatenando accuse secondo cui gli esecutori della “moralità” detengono arbitrariamente soprattutto donne e soprattutto giovani.

Le squadre di polizia morale sono composte da uomini che indossavano uniformi verdi e donne in chador neri, indumenti che coprono la testa e la parte superiore del corpo. Chi viene fermato dalla “polizia della moralità” riceve un avviso o, in alcuni casi, viene portato in un “centro di istruzione e consulenza” o in una stazione di polizia, dove è tenuto a frequentare una conferenza obbligatoria sull’hijab e sui valori islamici. Poi devono chiamare qualcuno che porti loro “vestiti appropriati” per essere rilasciati.

Non solo velo ma anche come ci si veste

Oltre a reprimere le violazioni dell’hijab, il governo promuove anche la sua versione del codice di abbigliamento islamico nelle scuole, nei media nazionali e negli eventi pubblici.

Con l’elezione nel giugno scorso del presidente Ebrahim Raisi, un religioso particolarmente intransigente, la polizia morale è riemersa come appuntamento fisso nelle piazze e nei centri commerciali, arrestando le donne ritenute “mal velate” e trasportandole in furgoni alle stazioni di polizia. Le presunte trasgressive sono state costrette a firmare dichiarazioni in cui giurano di non disobbedire mai più al codice di abbigliamento e devono frequentare un corso di rieducazione.

Gli attivisti  hanno combattuto contro l’uso obbligatorio dell’hijab per decenni , e molti di loro si trovano in prigione.

“Dall’inizio delle proteste, la polizia morale è per lo più scomparsa dalle strade, suscitando domande sul loro status”, si legge sul New York Times, ma è improbabile che anche un eventuale scioglimento della polizia morale plachi i manifestanti, le cui richieste sono andate ben oltre la semplice abolizione del velo obbligatorio, e che hanno continuato a confrontarsi con le forze di sicurezza in tutto il paese per quasi tre mesi.

Ascolta/leggi anche:

Afghanistan: uomini che odiano le donne

E se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta il mondo recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici


[There are no radio stations in the database]