La crisi sta arrivando: chi pagherà il conto?
Scritto da Pasquale Angius in data Settembre 6, 2022
Inflazione, siccità, guerra, bolletta energetica alle stelle: la tempesta perfetta si sta abbattendo sulla nostra economia.
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La crisi sta arrivando
Le prime avvisaglie della crisi economica si fanno sentire già al rientro dalle vacanze estive. Sulla nostra economia sta per abbattersi la classica tempesta perfetta: mentre ancora non siamo usciti dall’emergenza Coronavirus, si sono aggiunti un’inflazione che si avvicina ormai alle due cifre, la guerra in Ucraina, la siccità, che ha colpito non solo l’Italia ma mezzo mondo, e la crescita abnorme dei prezzi dei prodotti energetici. Intere filiere produttive stanno entrando in crisi, soprattutto quelle energivore, dalla produzione di piastrelle a quella di carta, dalle aziende siderurgiche a quelle metalmeccaniche, dalle vetrerie alle aziende chimiche a quelle agricole fino ai produttori di acque minerali, che non riescono a reperire l’anidride carbonica per fare l’acqua frizzante perché anche la produzione di anidride carbonica è un’attività ad alto consumo di energia e i prezzi sono diventati insostenibili. I produttori preferiscono non rifornire i clienti e pagare eventuali penali sulle mancate forniture, piuttosto che produrre in perdita. Le associazioni di categoria continuano a lanciare allarmi ma la politica, sia a livello nazionale che europeo, si perde in chiacchiere, in proposte tanto inefficaci quanto irrealizzabili se non, in alcuni casi, addirittura ridicole.
Mentre aziende e consumatori non sanno come affrontare lo tsunami che sta per colpirli, la politica elargisce con generosità dichiarazioni rassicuranti ma dà l’impressione di non aver compreso le dimensioni del problema. In Italia abbiamo un ministro della Transizione ecologica che continua a sostenere con ineffabile imperturbabilità che va tutto bene ed è tutto sotto controllo, non ci sarà bisogno di razionamenti per il gas, ma nel frattempo molte aziende chiudono, altre cercano di lavorare di notte quando i costi dell’energia sono più bassi, altre riducono gli orari di lavoro e ricorrono alla cassa integrazione.
Il ritardo dell’Europa
In Europa la baronessa Von der Leyen, negli ultimi mesi, messa da parte la consueta leggiadria che la contraddistingue, ha calzato con baldanza i panni della “feldmarescialla” spendendosi in bellicose dichiarazioni anti-russe, minacciando il Cremlino di sfracelli mentre il problema reale e fondamentale della dipendenza strutturale dei paesi europei dalle materie prime energetiche russe è questione che è stata gestita con colpevole superficialità.
Come sempre, di fronte a una nuova crisi — che sia di tipo finanziario come quella del 2008, di tipo sanitario come quella del Covid-19, di tipo geopolitico come l’aggressione russa all’Ucraina — l’Unione Europea si perde in chiacchiere, in piccole beghe di cortile, in grandi dichiarazioni di principio. Invece di essere un soggetto politico forte ed autorevole capace di reagire con prontezza alle difficoltà sembra sempre più una grande e scombinata Armata Brancaleone.
Ma quali sono le ragioni della situazione che stiamo vivendo? Come sempre le ragioni sono molte, ma soffermiamoci sulle più rilevanti che sono due: la guerra in Ucraina e la speculazione.
Noam Chomsky, grande studioso e intellettuale statunitense, elaborò anni fa il cosiddetto “principio della rana bollita”. Per spiegarlo riportiamo il testo originale:
«Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco viene acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce, semplicemente, morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a cinquanta gradi, avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone».
Con questa sorta di apologo Chomsky voleva descrivere la tendenza che hanno gli esseri umani ad accettare passivamente qualunque cosa, anche il dolore, l’ingiustizia, il degrado morale. Gli individui finiscono per adattarsi allo status quo perché la paura dell’ignoto e del futuro li spinge all’assuefazione e all’adattamento, si preferisce mantenere le cose come stanno, piuttosto che agire per cambiare una realtà che non è soddisfacente.
Questa regola, questa sorta di grande principio d’inerzia collettivo, è conosciuto e maneggiato dai politici per imporre scelte che altrimenti non verrebbero accettate. Le rane da bollire siamo noi cittadini ai quali vengono spesso rifilate verità parziali e distorte, l’obiettivo è quello di anestetizzare le masse e confonderle affinché diventino inoffensive, per cui l’acqua va riscaldata un po’ alla volta in modo che prima di accorgerci che sta bollendo, siamo già bolliti.
Trascinati in guerra senza rendercene conto
È un po’ quello che è successo con la guerra in Ucraina, un conflitto tra nazionalismo russo e nazionalismo ucraino, come ce ne sono stati altri nello spazio ex sovietico o, più in generale, ex comunista. Pensiamo alle guerre balcaniche negli anni Novanta seguite alla dissoluzione della Jugoslavia, o pensiamo alla guerra in Cecenia o a quella con la Georgia per il controllo della regione dell’Abchasia. A voler essere un po’ cinici potremmo definirle beghe di confine, il riemergere di antichi e mai sopiti scontri etnico-nazionalistici, di rilevanza locale o al massimo regionale. La guerra in Ucraina è diventata invece in pochi mesi un drammatico conflitto geopolitico tra la Russia e l’Occidente con il rischio, tutt’altro che remoto o superato, di uno scontro diretto tra la Nato e la Federazione Russa. Perché? Anche qui, a voler essere un po’ cinici, per una semplice ragione: Putin ha sbagliato mossa, i russi hanno fatto un gran casino. Pensavano loro, e lo pensavano anche molti in Occidente, che in pochi giorni avrebbero conquistato tutto il paese, ripetendo su scala più ampia il copione che gli era riuscito nel 2014 con la Crimea. Se le cose fossero andate in quel modo l’Occidente avrebbe protestato, messo un po’ di sanzioni ma alla fine la vicenda ucraina sarebbe sparita dalle prime pagine dei giornali nell’arco di un paio di mesi.
Come sappiamo le cose sono andate diversamente, l’Ucraina inaspettatamente ha resistito anche a costo di enormi sacrifici, l’esercito russo ha dimostrato di essere un pallido ricordo della ben più potente ed efficiente Armata Rossa sovietica. L’esercito russo, che fino a febbraio 2022 veniva accreditato come il secondo più potente esercito del pianeta, oggi non fa più paura a nessuno, come quando a poker messe giù le carte si capisce subito chi stava bluffando. La potenza russa era un grande e tragico bluff.
Di fronte a questa evidenza si sarebbe potuto intervenire subito per fermare il conflitto con una energica iniziativa di mediazione dell’Occidente o dell’Unione Europea. Invece cosa è accaduto?
Gli Stati Uniti hanno colto al balzo l’occasione per indebolire Putin, cercando di impantanare la Russia in un conflitto lungo e feroce, con l’intenzione di logorare quel paese riducendone, per un lungo periodo, la potenza economica e militare, impedendo così che possa proiettare all’esterno le sue mire neo-imperialiste per parecchi anni a venire. Giusto o sbagliato che sia, ognuno giudichi come gli pare, questo è il calcolo cinico fatto dagli americani.
I paesi europei, dopo qualche flebile vagito di iniziativa politica, hanno preferito accucciarsi sulla linea del presidente americano Biden. Ma a pagare i costi di questa strategia sono innanzitutto gli ucraini, che muoiono quotidianamente mentre il loro paese viene distrutto, e in secondo luogo gli europei, che fanno la voce grossa ma le cui economie dipendono in maniera strutturale dalle forniture russe di materie prime, soprattutto energetiche. L’Unione Europea ha accettato la linea delle sanzioni sempre più estreme che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto strozzare l’economia russa non rendendosi conto che, in realtà, se il 40% del gas che consumiamo proviene dalla Russia il rischio è che a strozzarsi siano i paesi europei. Noi, o meglio i nostri governi, hanno insaponato la corda che consente ora ai russi di strozzarci riducendo le forniture e facendo salire i prezzi.
Ma tutte queste belle cose, non sono state raccontate all’opinione pubblica, cioè a noi cittadini, le famose rane da bollire prima che si rendano conto di cosa gli sta succedendo? Per mesi ci hanno raccontato le solite trite e ritrite idiozie sulla lotta epica tra democrazia e tirannide, gli ucraini buoni e i russi cattivi e noi, che siamo buoni per definizione, possiamo stare solo dalla parte degli ucraini.
Chiunque nei mesi passati abbia anche soltanto accennato a muovere critiche alle posizioni di chi ci stava trascinando in una guerra, sia pure per procura, contro la Russia, veniva subito bollato come “putiniano”.
Nessuno si è preso la briga di spiegare all’opinione pubblica che quando si fanno le guerre ci sono i morti e i feriti sulla linea del fronte ma nelle retrovie, e noi siamo ormai retrovia, ci sono: crisi economica, povertà, disoccupazione, inflazione, disperazione, esattamente quello che sta avvenendo. Ma le rane ormai sono bollite e quindi l’obiettivo è stato raggiunto. Noi glielo abbiamo consentito e adesso di cosa ci lamentiamo?
In questi ultimi mesi “quadrate legioni” di politicanti e di giornalisti d’ordinanza hanno continuato a raccontarci che non esisteva nessuna strategia alternativa, erano i russi che non volevano trattare. Noi, che siamo un po’ duri di comprendonio, continuiamo a credere che se l’Europa avesse mantenuto una sua autonomia di giudizio e una capacità d’iniziativa politica, invece di farsi dettare la linea da Biden e da Zelenski, forse una soluzione negoziata si sarebbe potuta trovare. Se si mette Putin con le spalle al muro di fronte all’alternativa “vincere o morire”, è evidente che il conflitto durerà ancora a lungo.
Sostenere che con i russi non si possa trattare è una fesseria priva di senso, e lo ha dimostrato il presidente turco Erdogan. Il suo paese, pur sostenendo militarmente l’Ucraina — i droni turchi Bayraktar hanno fatto strage di mezzi corazzati russi — ha trattato con Mosca per arrivare al famoso accordo del grano per sbloccare le esportazioni sia ucraine che russe di cereali. Trattare con i russi, quindi, si può e si può anche arrivare a sottoscrivere degli accordi, certo bisogna concedere qualcosa, nel caso specifico sono state attenuate le sanzioni sull’export di cereali dalla Russia attraverso il Mar Nero.
Il disaccoppiamento tra forniture energetiche russe ed economie europee
Purtroppo nell’Unione Europea la faciloneria di molti sedicenti esperti ha prevalso sul realismo dei pochi realmente esperti, i quali cercavano di mettere sull’avviso che il cosiddetto disaccoppiamento tra forniture energetiche russe ed economie occidentali sarebbe stato un processo lungo, in termini di anni, faticoso e costoso e che quindi occorreva maggiore prudenza. Abbiamo invece assistito per mesi a prese di posizione sempre più estreme, e anche il “migliore” degli italiani, quel professor Mario Draghi che tutto il mondo c’invidia, chiese retoricamente, in una conferenza stampa agli italiani, se volevano la pace o i condizionatori. Il messaggio era: se vogliamo raggiungere la pace in tempi brevi dobbiamo strozzare l’economia russa con le sanzioni anche sull’energia. Poi non attese la risposta degli italiani, perché probabilmente della loro opinione non gliene fregava nulla. A qualche mese di distanza quella previsione si è rivelata drammaticamente errata — anche i “migliori” evidentemente sbagliano — e ora ci ritroviamo con la guerra che continua, più feroce che mai, mentre i condizionatori non ce li possiamo più permettere perché costano troppo e forse il prossimo inverno faremo fatica anche ad accendere i termosifoni.
Qualcuno sostiene che le sanzioni stanno creando grossi problemi alle economie europee, ma fanno ancora più male all’economia russa. Certamente è vero, l’interdipendenza è reciproca e non a senso unico, ma per le aziende, che si trovano di fronte alla drammatica decisione di ridurre la produzione o di chiudere definitivamente, sapere che i loro omologhi russi sono messi peggio è una ben magra consolazione.
Qualcun altro ricorda che la causa prima di questa situazione è l’aggressione russa, che non ha e non può avere alcuna giustificazione. Certamente è vero, ma siamo alla fiera dell’ovvio, e chi governa un paese non può limitarsi a dire che Putin è brutto, cattivo e prepotente. Chi governa si deve preoccupare anche che le famiglie italiane riescano ad arrivare a fine mese, che le aziende non siano messe nella condizione di licenziare, che gli italiani non si ritrovino a pagare non soltanto gli errori di Putin ma anche quelli causati dall’insipienza di chi li governa.
La strategia americana di prolungare il conflitto
La strategia americana di puntare non a spegnere l’incendio nel più breve tempo possibile, ma a prolungare il conflitto per indebolire un potenziale avversario, tra l’altro, non è detto che funzioni. Se sul campo di battaglia si dovesse mettere male per gli ucraini, a quel punto, dopo aver giocato tutte le carte sulla vittoria dell’Ucraina e sulla sconfitta della Russia, cosa facciamo? Facciamo intervenire la Nato? Passiamo dalla guerra fredda a quella calda? E se in Cina si affermasse una nuova leadership più aggressiva che, mentre l’Occidente è concentrato sull’Ucraina, decide di muovere guerra a Taiwan, come la mettiamo? Le incognite e i rischi sono tanti e imprevedibili.
Di fatto i governi europei qualcosa hanno sbagliato se in pochi mesi siamo passati da una crescita economica robusta alle soglie di una recessione epocale.
Il cosiddetto “governo dei migliori” negli ultimi sei mesi in Italia ha stanziato quasi cinquanta miliardi per far fronte al caro bollette, ma le aziende e i consumatori non se ne sono praticamente accorti. Abbiamo speso cinquanta miliardi che abbiamo regalato ai russi di Gazprom, che stanno realizzando profitti mirabolanti, con i quali finanziano la guerra di Putin; li abbiamo regalati agli speculatori che, trafficando con i futures e altri prodotti derivati, alla borsa di Amsterdam stanno guadagnando palate di soldi; li abbiamo regalati alle grandi società energetiche che stanno facendo enormi profitti ma, quando vengono chiamate dal governo a contribuire pagando una tassa sugli extra profitti, fanno ricorso al TAR.
In questi ultimi giorni l’ideona, che è stata fatta propria anche dalla baronessa Von der Leyen, è quella di introdurre un price cap, un tetto al prezzo del gas. Qualche economista ha definito questa proposta come il tentativo degli ostaggi di dettare le condizioni ai propri carcerieri, oltre al fatto che ci sono innumerevoli ostacoli tecnici all’implementazione di questa misura.
Ma c’è anche un altro corno del problema, che si chiama speculazione. Tra coloro che stanno realizzando profitti enormi dai prezzi spropositati del gas non ci sono soltanto i russi, ma anche alcuni nostri alleati. La Norvegia e l’Olanda sono due grandi produttori di gas che in questi mesi hanno speculato come tutti gli altri produttori, riducendo le quantità estratte ed esportate per favorire i rialzi dei prezzi. Loro sostengono che non è vero, che hanno problemi di manutenzione ai loro impianti di estrazione, esattamente la stessa scusa che accampa la russa Gazprom!
Ma della speculazione ci occuperemo più approfonditamente nella prossima puntata.
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