La nascita della Ferrero: storia di una multinazionale italiana

Scritto da in data Gennaio 30, 2024

La Ferrero, un colosso del settore dolciario, è una delle più importanti multinazionali italiane, ripercorriamo la sua storia.

Ascolta il podcast

La Ferrero un’azienda multinazionale

Honorè de Balzac, uno dei più grandi scrittori francesi dell’Ottocento, fa dire a uno dei protagonisti di un suo romanzo che si intitolava Papa Goriot che: «Dietro ogni grande fortuna si annida un crimine».

Ora se andiamo a fare i conti in tasca alla famiglia Ferrero, una delle più grandi dinastie imprenditoriali del nostro paese, potrebbe venire il dubbio che il crimine commesso sia piuttosto grande. In effetti i Ferrero – sì avete capito bene, quelli della Nutella, dei Kinder e dell’infinita serie di golosità che nel corso degli anni hanno aggiunto al loro catalogo – sono una delle famiglie più ricche d’Italia.

Anzi, secondo la rivista americana Forbes, nel 2023, Giovanni Ferrero è risultato essere l’italiano più ricco con un patrimonio di 39,1 miliardi di dollari. Contrariamente a quel che pensava Balzac, nel caso di Giovanni Ferrero e della sua famiglia l’unico crimine di cui possono essere accusati è quello di indurci in tentazione ogni volta che i nostri occhi si posano su uno qualunque dei loro prodotti.

La storia di questa famiglia di imprenditori è in realtà una bella storia, un esempio positivo di quel capitalismo familiare che, con grande inventiva, tenacia, buon senso, impegno e fatica, è riuscito a rimettere in piedi un paese come l’Italia, uscito sconfitto e distrutto dalla Seconda guerra mondiale e a farlo diventare, nonostante tutto, uno dei paesi più prosperi e progrediti del pianeta.

Oggi il Gruppo Ferrero è un’azienda multinazionale, con stabilimenti produttivi e reti commerciali in tutto il mondo, dà lavoro a più di 41.000 persone e, secondo l’ultimo bilancio disponibile, produce un fatturato annuo di circa 14 miliardi di euro.

I suoi prodotti dolciari sono distribuiti in 170 paesi del mondo, in pratica in tutto il pianeta.

Le Langhe all’inizio del Novecento

La storia di questa azienda inizia tra le due guerre mondiali in Piemonte, nella zona delle Langhe, oggigiorno uno dei territori più rinomati del Cuneese, ma che all’epoca era un’area depressa.

Tra le fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento molti langaroli abbandoneranno le loro terre per raggiungere le Americhe in cerca di maggior fortuna.

Mentre dall’Unità d’Italia agli anni Sessanta del Novecento la popolazione del Piemonte aumenta del 60% nel Cuneese si riduce del 10%.

Nei primi decenni del Novecento le Langhe sono un territorio povero, fatto di colline ricoperte con un po’ di vigneti e molti boschi di castagni e noccioli. Langa in dialetto piemontese significa “cresta” e il paesaggio è contraddistinto dalle creste delle colline che si susseguono fino all’orizzonte.

Si vive di agricoltura, ma di un’agricoltura non meccanizzata, si ara con i buoi e si fa molta fatica a forza di vanga e zappa. Si mangia molta polenta e molte castagne.

Chi non ce la fa o chi coltiva qualche ambizione se ne va verso Torino o verso Milano ma molti prendono la via delle Americhe.

In questo territorio crescono due fratelli Pietro e Giovanni Ferrero, figli di agricoltori che vengono mandati dalla madre a lavorare come garzoni per imparare il mestiere di panettiere. Pietro, il fratello più grande, nel 1923 apre nella cittadina di Dogliani il Caffè Pasticceria Ferrero.

Un anno dopo si sposa con Pierina Cillario, una ragazza del paese di cui si era invaghito e che va subito a lavorare con lui. Lei si occupa delle vendite, il marito della produzione.

Il 26 aprile del 1925 nasce il loro figlio Michele. Nel 1926 i coniugi Ferrero spostano la loro attività nella vicina città di Alba, un centro più grande e nel quale è di stanza il 38° Reggimento di Fanteria Ravenna.

Gli ufficiali di quel reparto militare diventeranno tra i migliori clienti della pasticceria Ferrero.

Ma Pietro e la moglie sono persone ambiziose e nel 1933 decidono di trasferirsi a Torino. Una grande città offre maggiori opportunità e così aprono una pasticceria vicino alla stazione ferroviaria di Porta Nuova.

Contano sulla folla dei viaggiatori ma poi Torino è una grande città industriale con la Fiat, la più grande azienda metalmeccanica del paese. A Torino, bene o male, girano i soldi, quale posto migliore per impiantare una nuova attività?

L’idea era buona ma il periodo storico non è dei migliori. Le conseguenze della grande crisi del 1929 che dall’America ha investito tutta l’Europa si fanno sentire, poi il regime fascista si imbarca prima nella guerra d’Etiopia e poi in quella di Spagna.

I tempi sono difficili e gli affari non decollano tanto è vero che Pietro, invogliato dalla propaganda del regime che presenta l’Etiopia, il nuovo territorio conquistato, come una sorta di Eldorado, decide di trasferirsi in Africa alla ricerca di nuove opportunità d’affari, lasciando la moglie e il figlio Michele in Italia.

Ma anche l’Africa si rivelerà una delusione oltre al fatto che la moglie Pierina non ha alcuna intenzione di trasferirvisi, per cui nel 1939 Pietro torna a casa e decide di aprire una nuova pasticceria in una zona più elegante della città, vicino al Parco del Valentino.

Ma come spesso accade nelle umane vicende, se la fortuna è cieca la sfiga ci vede molto bene. Nel settembre del 1939 scoppia la Seconda guerra mondiale e nella primavera del 1940 Mussolini decide di trascinare l’Italia nel conflitto a fianco della Germania nazista.

Torino, grande città industriale viene colpita da pesanti bombardamenti alleati. Due anni dopo, nel 1942, Pietro e la moglie sono costretti a lasciare la città per sfollare nel paese d’origine ad Alba.

Nasce ad Alba la Liquoreria Pasticceria Confetteria Ferrero

Ad Alba i due coniugi debbono trovare il modo di campare e insistono a fare quel che sapevano fare: i pasticceri. Nel centro della città nasce la Liquoreria Pasticceria Confetteria Ferrero. Il marito Pietro si occupa del laboratorio e quindi della produzione, la moglie Pierina si occupa della vendita.

Il momento storico non è dei più felici. L’intera Europa è in guerra, alcune materie prime essenziali per un pasticcere, come il cacao, faticano a trovarsi.

Le sanzioni contro l’Italia fascista prima e lo scoppio della Seconda guerra mondiale poi hanno reso complicato l’approvvigionamento di cacao che proviene in prevalenza dalle Americhe.

Ma anche lo zucchero scarseggia e poi, con la guerra, la gente non ha molti soldi da spendere in cose certamente buonissime, ma superflue, come possono essere i dolci.

Sono periodi difficili, dopo l’8 settembre del 1943, nelle Langhe si diffonde la guerra di liberazione. Il 10 ottobre del 1944 i partigiani liberano la città di Alba e la terranno sino al 2 novembre quando le truppe nazifasciste riconquisteranno la città.

Quell’episodio storico ispirerà un libro di uno scrittore originario di Alba, Beppe Fenoglio, che si intitola: I ventitrè giorni della città di Alba, una raccolta di racconti ispirati alla guerra partigiana alla quale lui stesso aveva partecipato.

Nonostante le difficoltà i coniugi Ferrero non si scoraggiano e con la tenacia tipica dei piemontesi si industriano per inventare nuovi prodotti. Si rendono conto che nelle Langhe abbondano le nocciole, un prodotto povero, poco utilizzato e provano ad impiegarlo nella produzione di dolci.

Il dopoguerra e l’invenzione della Pasta Gianduja

Nell’aprile del 1945 la guerra finisce ma il paese è in ginocchio: fame, miseria, disoccupazione, le infrastrutture distrutte. Anche nelle Langhe la situazione è difficile, molti riprendono la via dell’emigrazione.

Alla gente manca il pane figurarsi i beni di lusso come il cioccolato. Chiunque altro si sarebbe scoraggiato o avrebbe mollato la presa ma Pietro Ferrero appartiene ad un’altra specie di uomini, quelli che non si arrendono mai e che nelle difficoltà vedono opportunità che altri non riescono nemmeno ad immaginare.

Dal momento che un chilo di cioccolato costa ormai ben tremila lire, una cifra esagerata, il suo chiodo fisso diventa quello di creare dolci a prezzi popolari, dolci che incontrino il gusto dei consumatori ma che abbiano anche un prezzo accessibile.

Ai coniugi Ferrero si uniscono Giovanni, il fratello di Pietro che si occupa dell’organizzazione commerciale, e il figlio Michele diplomatosi da poco ragioniere. Nelle Langhe, che non sono ancora diventate famose né per i loro vini e nemmeno per i tartufi, all’epoca si producevano molte nocciole.

Le nocciole erano nutrienti, abbondanti e costavano poco. Pietro comincia a sperimentare mischiando le nocciole tritate con lo zucchero e il cioccolato.

Si chiude giornate intere nel suo laboratorio e infatti i parenti e gli amici per prenderlo in giro lo chiamano “lo scienziato” e in effetti sembra uno di quegli inventori un po’ picchiatelli che a forza di fare esperimenti prima o poi inventano qualcosa di geniale.

La nuova invenzione, frutto di innumerevoli esperimenti, arriva nel 1946 e si chiama Pasta Gianduja, una specie di crema a base di nocciole, burro di cocco, zucchero, melassa e cacao in polvere. Ricorda nel sapore i gianduiotti che i pasticceri torinesi avevano inventato all’inizio dell’Ottocento quando, in epoca napoleonica, il blocco ai traffici commerciali con l’lnghilterra aveva fatto sparire in tutta l’Europa continentale i prodotti coloniali, compreso il cacao.

I pasticceri di Torino avevano sostituito il cacao con le nocciole tostate e Pietro Ferrero, in sostanza, riprende quell’idea e la adatta per produrre la sua Pasta Gianduja, chiamata anche Giandujot.

Il prodotto ha due vantaggi fondamentali: è molto buono e costa poco, gli ingredienti giusti per un immediato successo commerciale.

Qualcuno un po’ spregiativamente lo definisce il “cioccolato dei poveri” ma per i bambini dell’epoca, come anche per gli adulti reduci da anni di rinunce e di fame, quella crema da accompagnare con il pane è una vera goduria e, a differenza della cioccolata vera che non si possono permettere, la Pasta Gianduja è alla portata di tutti, un chilo costa soltanto 600 lire contro i 3.000 del cioccolato.

Chiunque può fare in salto in una panetteria o in una latteria e per poche lire comprarsi una bella fetta di pane con una fettina di Pasta Gianduja, uno spuntino, goloso, nutriente e a buon prezzo.

La guerra è finita da neanche un anno, di soldi ne girano ancora pochi ma la Pasta Gianduja diventa subito un clamoroso successo. La gente ha voglia di tornare a vivere, divertirsi, mangiare cose buone, dopo gli orrori e le sofferenze della guerra.

Il successo è immediato e i coniugi Ferrero debbono subito organizzarsi per far fronte alla richiesta del pubblico e costruiscono una prima fabbrica su un terreno in via Vivaro sempre ad Alba. Il 14 maggio del 1946 nasce ufficialmente l’industria Ferrero, ormai si sta facendo il salto dalla dimensione artigianale a quella industriale.

Un’invenzione semplice e geniale è l’inizio di una storia imprenditoriale di grande successo. Gli ordini fioccano subito, favoriti anche dalle grandi capacità di venditore del fratello Giovanni che con la sua Fiat 1100 gira tutto il Piemonte per piazzare il nuovo prodotto. Già entro la fine del primo anno, il 1946, vengono venduti più di 1.000 quintali di Pasta Gianduja.

La produzione aumenta a ritmi febbrili, si costruisce un nuovo stabilimento di produzione, si assumono operai.

Un anno dopo, nel 1947, la Ferrero dà ormai lavoro a un centinaio di persone, si comprano nuovi macchinari, l’azienda cresce. Nel 1947, sempre ad Alba nasce un’azienda tessile la Miroglio destinata anch’essa a diventare una grande realtà imprenditoriale.

I contadini delle Langhe non sono più costretti ad emigrare, anche nelle loro colline si creano opportunità di lavoro mai viste prima e comincia a diffondersi il benessere.

Il successo commerciale e la crescita dell’azienda

L’azienda è gestita dalla famiglia, Pietro si occupa della produzione affiancato dal figlio Michele, la moglie si occupa dell’amministrazione e il fratello Giovanni delle vendite.

Quest’ultimo sarà l’artefice del successo commerciale, creando in brevissimo tempo una formidabile rete di vendita con una serie di furgoni di colore nocciola e cacao che distribuiscono il prodotto in tutto il territorio. Nel 1950 i furgoncini Ferrero sono già 150, nel 1968 diventeranno quattromila.

E copriranno l’intero territorio nazionale.

Una delle caratteristiche vincenti della distribuzione dei prodotti Ferrero è il rapporto diretto con i dettaglianti saltando i grossisti, un’idea di Giovanni. Il rapporto diretto con i dettaglianti, quindi i rivenditori finali, è qualcosa di più complicato e dispendioso da organizzare ma consente un riscontro costante ed immediato sull’andamento delle vendite, sull’accoglienza di un nuovo prodotto, su eventuali critiche come anche sugli aggiustamenti da fare per andare incontro ai gusti dei clienti.

Gli agenti Ferrero visitano direttamente i punti vendita, parlano con i negozianti e dal momento che il loro guadagno è una percentuale sul venduto hanno un forte incentivo a vendere i prodotti.

Il grande successo conquistato in pochi anni rischia di finire in tragedia nel settembre del 1948 quando tutta la città di Alba e quindi anche lo stabilimento della Ferrero, vengono seppelliti da una marea di fango, un’alluvione disastrosa che mette in ginocchio l’azienda, distrugge quintali di prodotti, materie prime e macchinari.

Ma i Ferrero non si scoraggiano, aiutati dai loro dipendenti in poche settimane ripuliscono tutto, rimettono in sesto alcuni macchinari e riprendono la produzione.

I Ferrero, già in quei primi anni di attività, dimostrano una concezione illuminata della figura dell’imprenditore. Si resero conto che con la crescita della produzione e del numero dei dipendenti, molti di questi provenivano dai paesi intorno ad Alba e all’epoca non c’erano mezzi di trasporto come oggi. Gran parte di loro provenivano da famiglie di contadini e nel tempo libero aiutavano la loro famiglia nella coltivazione dei campi.

Decisero quindi di istituire degli autobus aziendali che facevano il giro dei paesi nei dintorni di Alba per portare in fabbrica gli operai e riportarli a casa a fine turno.

Era un modo per evitare lo sradicamento dai loro paesi e dalle loro famiglie ed evitare che ci fosse un improvviso inurbamento ad Alba di lavoratori che avrebbero dovuto spendere una parte rilevante del loro stipendio per affittare una stanza.

Questa idea evitava l’ulteriore spopolamento delle colline delle Langhe che già avevano visto partire nei decenni precedenti molte persone per prendere la via dell’emigrazione.

La concezione della fabbrica come una “famiglia allargata”

L’idea che hanno i Ferrero della loro fabbrica è di una sorta di “famiglia allargata” dove quello che una volta si chiamava il “padrone”, più che un padrone doveva essere un amico e occuparsi non soltanto di fare profitti come deve fare qualunque imprenditore, ma si deve occupare anche del benessere dei suoi dipendenti e collaboratori.

Come dirà Michele Ferrero «dall’operaio al dirigente tutti devono sentire l’azienda come propria e così contribuiranno insieme alla sua crescita».

Ma l’anno successivo la mala sorte presenterà il suo conto: il 2 marzo del 1949 Pietro viene a mancare stroncato da un infarto all’età di soltanto cinquantun anni. È morto il fondatore ma l’azienda non si ferma.

Il figlio di Pietro, Michele, che ha soltanto 24 anni sarà chiamato ad assumersi sempre nuove responsabilità, ma della sua storia parleremo nella prossima puntata.

Potrebbe interessarti anche:

Inflazione e speculazione

E se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta il mondo recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici

 

 

 

 

 


[There are no radio stations in the database]