La politica di piazza

Scritto da in data Febbraio 2, 2019

 

CARACAS – Il Venezuela scende in piazza e si spacca, da una parte la grande manifestazione pro elezioni, pro Guaidò e contro Maduro, dall’altra uno sguarnito numero di sostenitori pro Maduro.
Le strade di Caracas e di decine di città del Paese si riempiono di gente, di slogan, di bandiere, sotto un sole cocente. Margarita Lopez Maya è una storica venezuelana, professoressa, prolifica scrittrice ed esperta di politica di strada, che non si è persa nessuna manifestazione.

“Penso che Maduro in questo momento sia molto debole politicamente ma è molto testardo, ancora ha i militari dalla sua parte, i gradi alti dei militari”.

Ma di fatto ha bisogno di soldi?

“A lui non interessa molto della gente o del paese, e in questo momento sono molto preoccupati. Sono consigliati dai cubani e loro stessi hanno una mentalità cubana e questo fa sì che il processo sia complicato anche perché non credo sia fattibile un intervento straniero. In questo momento gli Stati Uniti stanno minacciando, stanno intimidendo, ma questo Paese è pieno di armi, i confini sono grandi con la Colombia, il Brasile e la costa se qualcuno dovesse entrare dovrebbero pensare ad un diverso livello di conflitto.

Maduro potrebbe attivare i militari contro l’opposizione contro i manifestanti?

Certo che potrebbe per stare al potere, ma non sono sicura che i militari siano ancora pronti a questo

E i Colectivos?

Rispetto ai militari i Colectivos sono una forza minore e non sono sicura siano così subordinati a Maduro, c’è un po’ di tutto là dentro, è una situazione molto complicata. Maduro ha ancora i Colectivos e i paramilitari, una milizia possiamo dire, sono addestrati ed armati. I militari sono molto corrotti, credo che la paura più grande che possano avere è l’intervento militare. Ma credo che le cose cambieranno quando la pressione sarà così forte che a quel punto non potranno che negoziare. Ma non siamo ancora a questo punto.

Quanto potrebbe volerci?

Naturalmente stiamo parlando per ipotesi, penso che gli Stati Uniti non vogliano che questa situazione duri ancora a lungo. Direi un mese, due mesi al massimo. Non penso che la situazione del paese possa andare ancora molto oltre.

Cosa potrebbe accadere dopo?

Quello che le forze di opposizioni stanno cercando di fare è di percorrere una via di transizione democratica, lavorano su questo a partire dall’Assemblea Nazionale, (il Parlamento). E’ molto complicato, si sono preparati, l’anno scorso è stato un anno di basso profilo, ma molte cose sono accadute. Hanno una strategia economica probabilmente per un periodo di medio termine, non è chiaro la via d’uscita politica, so che stanno lavorando con le Ong che si occupano di elezioni, per capire quando si possono fare le elezioni e in quali condizioni. Mio marito è il direttore dell’Osservatorio Elettorale Venezuelano, sono stati chiamati dall’Assemblea Nazionale e hanno avuto incontri su come gestire il processo elettorale. Volevano consigli tecnici, in quanto tempo poteva essere fatta una cosa fatta bene, questo significa sei o otto mesi, perché devi cambiare il consiglio elettorale e se lo devi fare in accordo alla Costituzione, bisogna trovare le persone da proporre, bisogna sceglierle, controllare i loro curriculum, questo può significare quattro, sei settimane, poi ci vuole un’agenda per la popolazione, per la campagna, il tempo per il quale alcuni candidati possano essere rigettati perché non ritenuti idonei. Se in questi sei, otto mesi, Maduro sarà ancora al potere, lui sarà in controllo delle istituzioni e la cosa non funzionerebbe.

Potrebbe ricandidarsi Maduro alle elezioni?

Sarebbe il migliore scenario perché perderebbe, dice scoppiando in una fragorosa risata, non credo il chavismo vorrebbe mai che si ricandidasse. Ormai con lui restano solo i militari, la gente del barrio, il 23 gennaio scorso è scesi in piazza a migliaia. Forse per questo stanno facendo questa terribile repressione nei Barrio perché non vogliono che la comunità internazionale veda che non ha più sostegno. All’inizio di gennaio secondo le proiezioni Maduro aveva perso l’82 per cento dei consensi ora credo sia anche di più.

E oggi?

Si scende in piazza di nuovo.

La protesta di mercoledì era quasi gioiosa, mi aspettavo ci fosse più rabbia

No, no, la gente è contenta, stanno già celebrando qualcosa che non è ancora successo. Ai venezuelani piace la politica di strada, piace manifestare. Vedi, qui abbiamo la stampa controllata, la tv, i media eppure alla gente viene detto il giorno prima per il giorno dopo e le persone rispondono in massa. Internet è stato importante ma ne ha accesso solo il 55 per cento della popolazione, eppure le informazioni arrivano con il passaparola. Il 23 gennaio ci sono state marce in 60 città e cittadine. Qui si scende in piazza in modo gioioso e quando la situazione precipita, se c’è violenza la gente se ne torna a casa, così come è successo nel 2017. All’inizio le prime proteste sono state pacifiche poi quando è cominciato il confronto, perché ci sono gruppi di facinorosi nell’opposizione, che hanno perseguito una strategia violenza, se attaccassero o si difendessero presto non è stato più chiaro. Una reazione ciclica alla violenza della polizia. A quel punto la gente non partecipa più.

Non potrebbe provare Maduro a intervenire con la forza proprio per mandare la gente a casa?

Certo potrebbe, è un pericolo, ma credo che il 2017 abbia lasciato una lezione che se reagisci alla violenza perdi, ci sono stati più di 140 morti. Dopo la fine di quelle proteste c’è stato un gran lavoro sociale per far capire che la violenza non è una soluzione. Oggi poi c’è una chiara leadership rispetto al 2017 e questa leadership invoca la non violenza e protegge la gente. Hanno deciso di non andare nelle zone come Miraflores (il palazzo presidenziale), che avrebbe potuto essere visto come una provocazione, così come non affrontare la polizia. Indicano dove marciare, vogliono far vedere che è l’intero paese a chiedere che Maduro lasci. C’è un’intera letteratura su quello che produce un effetto nella politica di piazza, e sicuramente lo è la protesta non violenta. E’ il modo più efficacie in qualsiasi situazione. Se si aggiunge la violenza, si perde. Penso che la gente abbia imparato. Ho anche l’impressione che il governo tema anche di invocare la repressione perché Maduro potrebbe anche non ricevere la risposta che si aspetta dalle forze dell’ordine. Se ciò accadesse sarebbe una sorta di rivoluzione portoghese, quando la gente è uscita per strada e niente è accaduto. Quello che Maduro fa, sono repressioni durante la notte, non lasciano nemmeno uscire i Colectivos, il 23 gennaio non si sono proprio visti, si pensa che sia stato ordinario perché era presente la stampa internazionale. Probabilmente le milizie potrebbero apparire solo in caso di intervento militare.

Potrebbero fare qualcosa contro Guaidò, sono andati sotto casa sua?

Non credo, questo è un sistema un po’ cubano di intimidazione. La gente ora vede che la comunità internazionale è con loro.

E’ importante?

E’ molto importante. Così come per la nuova leadership, giovane. Sono due fattori determinanti.

Come mai alcuni paesi, come l’Italia fanno resistenza?

Dimmelo tu. Devono esserci degli interessi a sostenere Maduro, devono fare affari con lui. Forse pensano che Maduro non sia a destra abbastanza? Ma a vedere come si comporta lo si definirei più a destra che a sinistra. E’ un fascista, quello che sta facendo rientra pienamente nel mondo di fare fascista. Maduro oggi può essere sostenuto solo da una sinistra autoritaria, non da una liberale. Come ad esempio Erdogan in Turchia, Putin, Cina, non sono socialisti sono autoritari con un selvaggio capitalismo interno, vedi Cina. Quello che hanno in comune Maduro e i suoi alleati è l’autoritarismo, non il socialismo. Stanno cercando di creare un modello da esportare. Maduro e i suoi sono avidi, testardi, corrotti, dicono di essere pronti a morire, ma non credo sia così, penso che resisteranno fino a che non saranno disperati. Solo se qualcuno lo uccidesse potrebbe evitare quello che è probabile che accada, un periodo dove faranno qualsiasi cosa, violenza compresa per tenere il potere che hanno. A quel punto verrà completamente abbandonato. Quando penseranno che the game is over, negozieranno per le fortune che si sono messi da parte e andranno in Messico o da chiunque se li prenderà. Il Messico è perfetto per loro c’è la mafia, il narcotraffico, ed è un bel paese dove si può vivere nel lusso. E poi parlano solo spagnolo, dove altro potrebbero andare? A Cuba cosa potrebbero fare? Non c’è nulla. Potrebbe venire in Italia, lo potreste mettere su un’isola. (Dice ridendo).

Scherzi a parte, Maduro è in una fase di diniego, è come una persona a cui viene diagnosticata una brutta malattia e non lo accetta. Il prossimo passo è l’accettazione ma non è ancora lì. I militari però sembrano ansiosi. L’intervento militare esterno potrebbe avvenire in modo soft, come è avvenuto ad Haiti con la consegna di aiuti, aiuti che devono essere portati in sicurezza, e in quel caso i militari venezuelani potrebbero accettarli.

 

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