Lastesis: donne e lotta sociale
Scritto da Valentina Barile in data Giugno 10, 2020
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Cile, Sudamerica. Proteste contro il governo Piñera. Il neoliberismo è tra i venti tossici del pianeta. Fame: il popolo è in strada. La pandemia del nuovo coronavirus riporterà in casa le proteste. È in questo scenario che a Santiago nasce il collettivo femminista Lastesis. Valentina Barile le incontra per Radio Bullets.
Il Cile in strada
È il 20 novembre 2019, il Cile è in rivolta contro il governo Piñera. Il popolo cileno occuperà le strade di Santiago, muovendosi come un fiume, lento e denso. In alto, la bandiera cilena e la bandiera dei popoli andini a riaffermare la propria identità. Vengono distrutte le statue dei conquistadores che imperano da più di cinquecento anni. Musicisti, intellettuali, studenti, operai, tutti manifestano contro le misure neoliberiste di un governo che ha ereditato il pensiero fascista dal passato. In un Cile che ha cercato a tutti i costi di liberarsene, che ha pagato con il sangue, la prigionia. Nel Cile dei desaparecidos, del colonialismo moderno, in uno stato in cui ancora esiste il patriarcato, le nuove generazioni lottano ininterrottamente per la democrazia. La sognano, la vogliono.
Due donne vengono ritrovate morte in circostanze sospette, un’artista e una fotografa. Della prima, El Mimo, si parla di suicidio per cause indipendenti dalla manifestazione. La seconda, Albertina Martinez Burgos – la cui morte è denunciata da Ni una menos Chile – sarà ritrovata senza vita in un appartamento, senza la sua macchina fotografica e il materiale raccolto per denunciare la violenza sulle giornaliste da parte della polizia durante gli scioperi.
Quando nasce Lastesis?
In questo scenario di soprusi e di dolore, in un momento che fa ricordare il passato, che rimanda agli echi della rivoluzione cilena e all’uccisione di Salvador Allende, quattro donne vogliono «passare dalla teoria alla pratica».
Paula Cometa Stange, Lea Cáceres Díaz, Daffne Valdés Vargas, Sibila Sotomayor Van Rysseghem scendono in Plaza de Armas di Santiago, dove daranno vita per la prima volta alla performance che da lì in poi si è diffusa nel mondo. Sono bendate da una striscia di stoffa nera, hanno al collo un fazzoletto verde per riaffermare la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto. Sono distanziate in riga, e dietro hanno un mare sconfinato di donne di ogni età.
La performance è adattata sulle parole del testo di Rita Segato, scrittrice e antropologa femminista argentina, nota per i suoi studi sulla questione di genere nelle comunità dei popoli originari sudamericani, nelle comunità latinoamericane, e per le indagini sulla violenza di genere, il razzismo e il colonialismo.
Le parole chiave del testo sono il patriarcato, il maschilismo, lo Stato oppressore, l’uomo che sotto diverse vesti – anche e soprattutto istituzionali – può essere l’assassino.
Incontro con Lastesis
Un mercoledì qualunque di quarantena, la rete che azzera i chilometri e i fusi orari, porta il collettivo di Valparaíso (la città portuale di Pablo Neruda) sulle frequenze di Radio Bullets.
Sguardo risoluto, postura dritta da cabina di comando prima della navigazione, comincia l’intervista.
«Las tesis sono le tesi della scuola femminista a cui abbiamo voluto dare importanza, facendo la performance abbiamo voluto dimostrare di passare dalla teoria alla pratica. Las tesis è questo, scritto tutto un nome: Lastesis».
Classe 1988, delle quattro, ognuna con la sua caratteristica e il suo profilo. Tutte artiste, chi attrice di teatro, performer, educatrice, chi creatrice e disegnatrice di vestiti. Chi portavoce – durante l’intervista – del volto socioeconomico del Paese.
«Le misure neoliberiste messe in atto dal governo Piñera hanno affamato il Cile, la violenza è aumentata. Il patriarcato continua a essere una forma di potere e lo Stato è il primo responsabile. Per questa ragione, abbiamo deciso di fare qualcosa di concreto. Abbiamo preso il testo scritto da Rita Segato, lo abbiamo adattato alla nostra performance, e non ci aspettavamo affatto che facesse il giro del mondo; che dal Cile all’Europa, e dall’Europa all’Asia e all’Africa, la voce delle donne potesse essere solo una».
Nel testo sono presenti chiari riferimenti di accusa alle istituzioni.
«L’uomo violento può essere chiunque, ha diverse vesti, proprio come dice il testo della canzone. Chi promuove il patriarcato, però, è lo Stato. L’ultima parte della canzone è una ironia all’inno dei Carabinieri del Cile, anche loro colpevoli, insieme alla Polizia, per aver commesso violenza sulle donne durante la manifestazione, soprattutto quelle che documentavano ciò che accadeva in quei giorni».
Il testo si è diffuso ed è stato adattato, tra le altre, in lingua mapuche e in lingua quechua (lingue dei nativi), in portoghese, in greco, in euskera (basco), in catalano, in tedesco, in francese. E poi, ancora, in inglese, turco, arabo, e nella lingua dei segni.
Le donne del mondo l’hanno interpretata in ben quaranta paesi, dal Kenya all’Austria, dal Kirghizistan alla Spagna, dal Guatemala al Regno Unito, dal Perù al Giappone, dall’Italia all’India. In molte città del Messico, della Spagna e del Cile.
Un violador en tu camino, Lastesis
El patriarcado es un juez
que nos juzga por nacer,
y nuestro castigo
es la violencia que no ves.
El patriarcado es un juez
que nos juzga por nacer,
y nuestro castigo
es la violencia que ya ves.
Es femicidio.
Impunidad para mi asesino.
Es la desaparición.
Es la violación.
Y la culpa no era mía, ni dónde estaba ni cómo vestía.
Y la culpa no era mía, ni dónde estaba ni cómo vestía.
Y la culpa no era mía, ni dónde estaba ni cómo vestía.
Y la culpa no era mía, ni dónde estaba ni cómo vestía.
El violador eras tú.
El violador eres tú.
Son los pacos,
los jueces,
el estado,
el Presidente.
El Estado opresor es un macho violador.
El Estado opresor es un macho violador.
El violador eras tú.
El violador eres tú.
Duerme tranquila, niña inocente,
sin preocuparte del bandolero,
que por tu sueño dulce y sonriente
vela tu amante carabinero.
El violador eres tú.
El violador eres tú.
El violador eres tú.
El violador eres tú.
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