Le giocoliere dell’Afghanistan

Scritto da in data Gennaio 28, 2022

KABUL − Basta guardarle mentre lanciano le palle in aria, le fanno girare e le riprendono al volo, per vedere quanto sono felici. Rabia, Manija, Nazanin, Yassanin e Shabbana, tra i quindici e vent’anni, ardono di passione. Giovani, abili e con gli occhi che si illuminano non appena si chiede loro di vedere come si fa. Si lanciano nella neve, con leggere scarpe da ginnastica e le caviglie nude e si buttano nella loro impresa.
Il sorriso cancella il velo, l’oppressione di essere donna in un paese che le condanna alla segregazione, per un momento le fa tornare le ragazzine felici che erano prima, anche se l’Afghanistan non era sicuro e neanche perfetto. Ma ora è l’inferno per chiunque abbia qualcosa in più, come un sogno.

Rabia è una giocoliera professionista, è stata 3 volte campionessa nazionale in Afghanistan che, tra uomini e donne, conta 170 giocolieri. Ha fatto anche parte della nazionale di calcio femminile. Ma una palla evidentemente non le basta. Ha cominciato quando era talmente piccola da non riuscire a tenerle in mano, ma il suo allenatore, Hamid, ha capito subito che in lei giaceva un potenziale.
La fortuna di Rabia e delle sue sorelle risiede anche in una famiglia che non le ha mai ostacolate, per quanto il padre sia analfabeta ha capito e sentito che non c’era niente di male nell’esibirsi negli spettacoli e nelle scuole per portare un po’ di gioia in quel paese martoriato. Rabia è stata anche in Italia, a San Gimignano, per partecipare a un festival e il suo sogno è continuare a fare quello che ha sempre voluto fare.

Ma in Afghanistan i sogni sono un lusso che le donne non possono più permettersi. Niente scuola oltre ai 12 anni, se non in scuole private che bisogna avere i soldi per frequentare, e in ogni caso segregate dai compagni. Nessun lavoro se non tra donne e per donne, come le maestre o le ostetriche. Nessun ruolo decisionale se non a casa, se sono fortunate, dove gli uomini padroni fuori delle strade lo sono anche dei matrimoni.
Il destino di queste cinque ragazze che hanno conosciuto una passione come quella di migliaia di altre migliaia è stato schiacciato dall’arrivo dei talebani e dalle regole imposte in nome di Dio che vietano, a detta loro, di esibirsi per la loro sicurezza. “Sicurezza”, una parola che diventa vuota sulle bocche dei talebani, ogni giorno più temuti da chiunque dissenta.

Hamid fa parte di uno dei due circhi che ci sono in Afghanistan, dove si esibivano acrobati, si cantava, c’erano i clown e si faceva teatro. Ora è un lavoro e una passione che spetta solo agli uomini. «Queste ragazze, come tutti i talenti che sono usciti da questo paese, meritano una possibilità che qui non avranno, forse, mai più», ci dice Hamid che è pronto a prenderle con la sua famiglia e andare ovunque pur di tenere accesa quella fiamma e quel dono che hanno dentro. Hanno provato con il Giappone ma è andata male per questione di visti. Pensano all’Italia, ma non sanno come, anche se avrebbero organizzazioni che le aiuterebbero. Tutte vorrebbero andare via tranne una che vuole continuare a resistere.
Chissà se da noi c’è qualcuno che può lanciare una palla in aria e cambiare la sorte di queste quattro sorelle. Chissà se c’è, all’indomani della Giornata della Memoria, dove si parla di mai più discriminazioni e segregazione, qualcuno che possa fare una magia. Chissà.

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