Malala, la ragazza che voleva andare a scuola
Scritto da Valentina Barile in data Novembre 20, 2020
«Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo». La frase, diventata virale in ogni angolo del pianeta, è di Malala Yousafzai. Con Adriana Carranca, reporter e narratrice brasiliana, approfondiamo la storia di Malala partendo dal suo libro “Malala. La ragazza che voleva andare a scuola”, illustrato da Bruna Assis Brasil e tradotto in Italia per De Agostini da Marianna Scaramucci.
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(Collaborazioni al podcast: Gabriela Faval, Francesco Iacovelli. Al doppiaggio, Barbara Schiavulli).
Less is more…
«La casa era molto semplice, non c’era cucina e il bagno era solo un buco nel pavimento. Ma tutte queste cose non servono quando si viene accolti con affetto», è così che Adriana Carranca comincia le prime descrizioni del suo arrivo nella Valle dello Swat nel suo libro. Ed è così che racconta per noi, su Radio Bullets, le sue sensazioni: «Il popolo Pashtun, quello a cui appartengono Malala e la maggior parte di coloro che vivono alla frontiera tra l’Afghanistan e il Pakistan, è un popolo molto caloroso. Loro ce l’hanno per tradizione ricevere visitatori, curarli e dare loro protezione. Fanno di tutto per dare loro un accogliente benvenuto nella loro casa, nella loro terra. Questo è stato fondamentale perché io potessi immergermi in quell’universo che è l’infanzia di Malala. È di mia abitudine dire che faccio un giornalismo esperienziale, soprattutto quando ho bisogno di conoscere un’altra cultura, una realtà differente da quella tradizionale. Trovo sia molto importante catapultarsi in una cultura, comprenderne i valori e poter osservare il mondo da un punto di vista, per poi, analizzare le altre culture».
Su Radio Bullets aprono le ali le storie inedite, soprattutto quelle di microcosmi e di umani che li abitano. Andiamo alla ricerca delle forme di vita che si sviluppano nelle terre remote, per strade polverose e montagne che segnano i confini naturali con le proprie pendici, e i cambiamenti. Adriana Carranca: «Credo che la storia di Malala, al di là del valore che dà all’istruzione, alla convivenza religiosa, alla tolleranza, all’uguaglianza di genere, sia anche un esempio molto forte e positivo di come cambiare il mondo. A volte, crediamo che per cambiare il mondo ci sia bisogno di poteri soprannaturali, tuttavia, partendo dallo spazio familiare di Malala, quel microcosmo ha cominciato a cambiare quando ancora nessuno se ne accorgeva, e cioè quando il padre di Malala decise che la figlia aveva lo stesso diritto allo studio dei suoi figli maschi. In quel momento, il mondo cominciò a cambiare, e in seguito cambiò la realtà a scuola, cambiò il quartiere, la città e così via. Quindi, io credo che questa sia una dimostrazione potente di ciò che siamo capaci di fare, insieme, dalle decisioni personali che prendiamo tutti i giorni».
Perché sulle tracce di Malala?
Adriana Carranca, oggi, collabora con diverse testate, tra le altre, The New York Times, The Atlantic, e tiene un editoriale su CBN, radio brasiliana, il giovedì e il sabato, chiamato #PeloMundo (Per il Mondo). Ai nostri microfoni spiega come si è ritrovata sulle tracce di Malala: «Io lavoravo per O Estado de S. Paulo, in Brasile, nella rubrica internazionale, occupandomi principalmente di conflitti. Ero già stata in Afghanistan e in Pakistan per raccontare la guerra e la morte di Osama Bin Laden. Quando si è verificato l’attentato a Malala, l’editore mi ha chiesto di scriverne un articolo. Avevo già sentito parlare di lei e conoscevo persone che la conoscevano e vivevano con lei. Feci l’articolo, lo pubblicammo nell’edizione speciale della domenica e l’editore della Companhia das Letras − la mia editrice in Brasile − mi telefonò proponendomi di scrivere un libro sull’impatto che aveva la guerra sulle donne. All’inizio, doveva essere un libro per adulti, poi, durante la scrittura, mi resi conto che, per come è la storia di Malala e per la sua lotta di bambina prima che i riflettori si accendessero sulla Valle dello Swat e prima che fosse conosciuta, questa storia sarebbe stata più adatta e ispiratrice per i bambini. Volevo, in un certo senso, che Malala parlasse alle bambine e ai bambini in Brasile, in Italia, in Portogallo, in Germania, in Turchia e in altri paesi in cui si sta, oggi, diffondendo questo libro».
Malala è le bambine e i bambini del mondo
«Dì alle bambine di tutto il mondo di diventare Malala, di lottare per l’istruzione fino a quando tutte potranno andare a scuola», dirà l’amica di Malala a Carranca prima di andare via. Forse, questa è una delle ragioni per cui chi fa giornalismo, chi viaggia per raccogliere storie e portarle alla luce, si spinge oltre l’orizzonte. Forse la preghiera di Kainat rappresenta uno dei motivi per cui esiste questo libro. Adriana Carranca conclude su Radio Bullets: «Sono convinta che ci sia bisogno di parlare alle bambine e ai bambini. I bambini di oggi sono connessi con il mondo intero, ricevono informazioni dal mondo e convivono di più con la diversità, sia quando viaggiano o sono in contatto con gli immigrati e i rifugiati nel proprio paese, sia mediante le informazioni che ricevono attraverso i social, Internet e altri media. E bisogna aiutarli a capire questo mondo e le sue differenze a cui sono esposti, oggi, nutrendoli di valori universali quali la tolleranza, i diritti umani, la convivenza pacifica che abbiamo in comune con tutte le culture in quanto esseri umani civili. La storia di Malala credo abbia tutti questi elementi, principalmente il tema dell’istruzione. Malala è una bambina nata e cresciuta nelle montagne remote del Pakistan, dove esiste un idioma (l’urdu) che si parla solo lì. È una regione geograficamente isolata a cui fu impedito lo sviluppo a causa dei conflitti e del terrorismo che poi ha fatto seguito. Tuttavia, quando è stata data la possibilità a Malala di parlare, lei sapeva già cosa dire: ha dialogato ed è stata ascoltata dai leader del mondo perché lei aveva acquisito conoscenza, la stessa che avevano i suoi interlocutori di diversi paesi, che l’avevano ottenuto come lei attraverso i libri. Dunque, per me, l’istruzione è un grande − forse il principale − strumento di uguaglianza tra i bambini, tra tutti i nostri bambini nel mondo».
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