Nel controverso ministero del Vizio e della Virtù

Scritto da in data Gennaio 18, 2023

KABUL − Mura di cemento altissime, uomini armati in uniforme a ogni angolo, controllo della macchina, delle persone, uomini e donne divisi, non che ci siano molte donne che entrano in uno dei più famigerati luoghi del potere dei talebani. Al controllo delle donne, tre donne − signore con le dita infilate nel kabuli palau, il tipico riso del posto − si alzano in piedi per ripulirsi sui tuoi vestiti e infilare le mani unte nella borsa, mentre cercano di capire quali strani marchingegni una giornalista, peraltro femmina, si porta dietro. «Questa è l’amuchina per il covid», «questa è la power bank per caricare i cellulari», «questa è una stilografica», cerco di mormorare mentre guardano dall’alto in basso una stilo come se la vedessero per la prima volta. In un inglese inesistente ci scambiamo i nomi e loro ridono, come se fosse la cosa più divertente del mondo, quando ripeto i loro un po’ malamente. Superati i controlli e continuando verso l’ufficio dove avremmo dovuto essere attesi alle dieci in punto, sento ancora alle spalle le risate delle tre comari avvolte nei loro veli usurati rosso scuro.

Superiamo una serpentina di muretti, sacchi di sabbia, altri uomini armati che giocherellano con il kalashnikov e non sembrano accorgersi che la temperatura non supera i -10 gradi, e ci dicono di aspettare davanti a una grande entrata che, tra i vari ministeri, conduce al nostro. Il ministero di Dawat wa Ershad Amr bil-Maruf wa Nahi al-Munkar o “Invito e guida alla promozione della virtù e alla prevenzione del vizio” − spesso indicato con l’abbreviazione “Vice and Virtue” o “Amr bil-Maruf”. Ripristinato il 12 settembre 2021, lo stesso giorno in cui i talebani hanno abolito il ministero degli Affari femminili.

Un corpo, quello del vizio e della virtù, che fa tremare la gente anche al solo sentirlo nominare. E quando venne restaurato, poche settimane dopo la presa di potere dei talebani, sorsero molti dubbi che nonostante i numerosi cambiamenti nella società afghana dagli anni Novanta, i talebani intendessero tornare alle spietate politiche sociali del loro primo periodo al governo, quando vietarono alle donne di uscire di casa senza un parente stretto e senza indossare il burqa, erano vietate attività come suonare la musica e guardare la tv, vennero imposte dure punizioni per coloro che violavano le loro regole come le frustate o le esecuzioni in pubblico. A un anno a questa parte si può dire che i dubbi ormai sono sciolti, la radicale interpretazione della legge islamica, dopo venti anni non è cambiata. Solo l’Occidente con la coscienza sporca, aveva potuto crederci. Le donne oggi non vanno a scuola, non possono lavorare, gli uomini devono portare la barba, vestirsi tradizionalmente. Le donne non possono andare nei parchi a passeggiare, e la musica è stata di nuovo vietata.

Mentre aspettiamo di incontrare Muhammad Sadiq Akeq, portavoce del ministero, veniamo parcheggiati dal suo vice, un ragazzo che dopo un’altra ora di attesa si sente quasi in dovere di raccontarci qualcosa per farci passare il tempo. Pashtun, alto, giovane, classe ’92, stranamente ancora sposato con un turbante di dodici metri di stoffa che ogni giorno si arrotola in testa. I turbanti neri li portano i giovani, mentre gli anziani li preferiscono bianchi. A differenza dello zoccolo duro dei talebani, e probabilmente dei più radicali, si è unito ai talebani poco dopo l’arrivo degli americani e della Nato, ma invece di imbracciare un fucile, ha continuato a studiare fino a laurearsi in India. Premette subito che legge solo per addormentarsi, ovviamente libri religiosi, mentre sui film, grazie ai quali ha imparato l’inglese, c’è una crepa nel monolite del perfetto talebano quando ci racconta che guarda i film di guerra americani, soprattutto quelli sull’Afghanistan e l’Iraq.

Per chi tieni? Domando un po’ sorpresa, e lui risponde «naturalmente per noi, ma così so come si comporta e pensa il nemico, e poi imparo l’inglese». Non fa una piega. Racconta della famiglia, della sorella che avrebbe voluto fare la dottoressa, ma sta a casa come tutte le ragazze perbene. Quando gli chiedo la musica preferita strabuzza gli occhi, «haram», è proibita. E taglia corto sull’argomento continuando a parlare dei film che gli piacciono. E quelli d’amore? Il viso si trasforma in una smorfia di disgusto, come se fossero solo una perdita di tempo.
Un altro argomento dove ci si può confrontare è il cibo, mi dice tutti i ristoranti migliori, dove trovare questo o quello ma − mette le mani avanti − forse non sono abbastanza puliti, sono posti locali, dove vanno gli afghani. Intanto l’attesa si fa estenuante. Dopo quattro ore il capo si tuffa nella stanza quando ormai conosco tutti quelli che sono entrati e usciti, e mi chiede scusa perché è molto indaffarato.

Anche Aqek ha un turbante nero, e si siede non troppo lontano spiegando come è fatto il ministero, che in pratica si divide in tre sezioni: definire i vizi e le virtù, lavorare con le forze dell’ordine affinché non commettano niente di sbagliato, tipo taglieggiare la gente o picchiare troppo forte una donna che ha il velo che le è sceso, e la terza si occupa delle lamentele, delle persone in contenzioso con altre persone, controversie che spesso finiscono alla corte, o persone che si lamentano della polizia o di chi è adibito ai controlli, come la polizia morale presente in soli altri due paesi (Iran e Arabia Saudita), e infine persone che si lamentano del comportamento di chi lavora per quel ministero.

Chi è una persona virtuosa? Un musulmano che soddisfa tutti i requisiti islamici. Loro si occupano di prevenire gli errori e, nel caso sia necessario, di punirli. Chi non prega per esempio, chi mette musica, chi non soddisfa la zakat − l’elemosina, uno dei pilastri dell’Islam −, l’uso di droghe.

Vado al sodo, perché chi manifesta più terrore nei loro confronti sono le donne, in quale punto del Corano, o della legge islamica, è scritto che le donne non possano andare a scuola, perché 57 nazioni islamiche mandano le loro ragazze a scuola etc. Aqek alza una mano per correggermi, «la scuola non è vietata, è solo sospesa, in attesa che ci siano le condizioni adeguate perché possano andarvi anche le ragazze». Ma è trascorso un anno e mezzo, e solo due settimane fa le università sono state chiuse, potrebbero passare anche dieci anni, incalzo, e se non riuscite a mettervi d’accordo? «I talebani sono uniti all’interno − mi anticipa − nessuno vuole che le ragazze non vadano a scuola, bisogna solo essere preparati».

Come mai sono stati chiusi i centri antiviolenza? C’è un alto tasso di violenza all’interno delle famiglie afghane, e tra le prime cose che i talebani hanno fatto è stato chiudere i posti dove andavano a cercare un rifugio. «La donna deve applicare il Corano così come un uomo. Ma non ci deve essere violenza tra uomo e donna. E se una donna subisce violenza, può venire qui a denunciare liberamente». Forse prima andrebbe protetta. «Le case sicure che c’erano prima non erano posti buoni, le donne spesso scappavano senza i figli, li abbandonavano e questo non è un bene, quei posti, abbiamo saputo, in molte occasioni favorivano l’adulterio».
Avete la percezione che molte persone hanno paura di voi? Che non si guadagna la fiducia costringendo le persone a fare cose che magari non vogliono? «Non capisco, chi non ci vuole? Noi siamo qui solo per far applicare il volere di Dio, non vedo come qualcuno potrebbe essere contrario». A volte, però, quando si vuole vivere in un contesto internazionale, quando si gode dell’aiuto di altri, si devono anche fare dei compromessi, venirsi incontro. «Noi rispondiamo solo agli ordini di Allah. Ogni paese ha la propria religione, e nessuno può interferire. Non è certo un crimine tagliare la mano di una persona che ha rubato, se questo può prevenire un altro crimine». Ieri quattro mani sono state tagliate a ladri o presunti tali in pubblico nello stadio di Kandahar, mentre nove persone sono state frustate per presunto “adulterio e sodomia”. Non provo neanche a dirgli che ogni statistica sulla pena di morte prova che le esecuzioni non sono mai state in alcun paese un deterrente, e preso atto che non c’è una grande flessibilità di discussione quando Dio è il soggetto principale di ogni decisione, cerco di capire chi è questa persona.

Mi racconta che fin da piccolo è stato un combattente, e fino al giorno della presa di Kabul ha combattuto salendo la scala gerarchica diventando vicecomandante nelle province di Logar, Paktia e alcune dove hanno combattuto molto contro gli americani e la Nato. «Non è stato facile, sono stati tempi spaventosi, avevamo paura dei droni». Avevate paura? «Gli esseri umani hanno paura, ma non ci siamo fatti fermare, avevamo una missione, salvare questo paese dagli invasori e instaurare l’Emirato Islamico, e oggi non è molto diverso, anche se vengo in ufficio, e forse lavoro anche di più togliendo tempo alla famiglia, continuo a fare quello che facevo prima, lavoro per questo paese».
E l’adrenalina del combattimento? «Non ne sento la mancanza, non avremmo voluto combattere, siamo stati costretti, siamo stati invasi, eravamo obbligati a difendere l’Afghanistan. Ricordo il giorno in cui gli americani bombardarono la scuola del mio villaggio. Se invadessero l’Italia che fareste? Non la difendereste?».

Quindi chiunque invada un altro paese va combattuto? Considerando i fatti recenti, con la Russia che ha attaccato l’Ucraina, da che parte state? «No comment», dice un irremovibile Aqek. Argomento spinoso, la Russia, che insieme a Cina, Iran e Qatar ha l’ambasciata aperta, al contrario di tutte le nazioni che c’erano prima che hanno ritirato le loro rappresentanze. Anche l’Europa, invece, mantiene un ufficio di rappresentanza aperto. La Cina in particolare sigla affari e punta il suo interesse sulle miniere, mentre la Russia ha sempre storicamente voluto avere una scarpa in questo paese. Aqek ha finito, o forse si è stufato. Un’ultima domanda: qual è la punizione per chi fa aspettare quattro ore una giornalista? L’ospitalità pashtun (etnia dei talebani), non è forse un pilastro della società afghana? Aqek non riesce a trattenere una risata: «Hai ragione, ti faccio le mie scuse e se non le accetti, mi sottometterò a un’adeguata punizione».

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