Prossima fermata: Afghanistan

Scritto da in data Maggio 28, 2021

2021: l’Afghanistan volta pagina. O forse la strappa. O forse gliela strappiamo noi. Ma sicuramente il domani che si profila non sarà lo stesso di ieri. A poche settimane dal ritiro delle truppe straniere, entro fine luglio dicono gli americani, il paese degli aquiloni è sull’orlo del baratro.
 
Ho passato gli ultimi 20 anni a raccontare questo paese. Da subito dopo l’11 settembre 2001, quando andai a Peshawar in Pakistan in attesa che scoppiasse la guerra. Fino a oggi. Ho raccontato tutto quello che mi è stato possibile. I militari, i talebani, i politici, i diplomatici, la ricostruzione, la distruzione, gli attentati e i combattimenti, ma soprattutto ho raccontato i civili. La loro lotta per la sopravvivenza, le loro sofferenze, la loro voglia di vivere e la loro innata intelligenza. Sono entrata nelle anime delle persone come non ho mai fatto in nessun altro paese, forse perché, come dice un amico, ho scoperto nell’Afghanistan la mia terra gemella, forse perché ho visto dietro gli occhi di ogni afghano che ho incontrato, uomo, donna o bambino che fosse, una storia che meritava di essere raccontata.
 
Sono entrata nelle moschee, nelle grotte minate di Tora Bora, ho attraversato fiumi sui pickup, fatto voli tattici in elicottero. Sono andata tra i talebani e tra gli americani, tra gli italiani e i soldati afghani. Sono andata tra la gente, nei mercati, nelle case, negli ospedali e negli orfanotrofi. Ho visto corpi fatti a pezzi, sogni infranti, e lacrime che inumidivano la terra. Bambini con gambe amputate per le mine, donne che si sono date fuoco perché non sapevano come fuggire da un matrimonio violento. Ho intervistato generali e presidenti, drogati e trafficanti, vittime e carnefici.
 
Non so spiegarvi concretamente perché ho amato quel posto maledetto dagli uomini nel primo momento che vi ho posato il piede scendendo da un aereo delle Nazioni Unite. Ci sono cose che si sentono e basta. So quello che ho imparato però, che la forza appartiene alle donne che sfidano il male e non a chi imbraccia un fucile. Ho imparato quanto sia importante la cultura per combattere il terrorismo e non le armi o gli accordi che non vengono mantenuti. Ho imparato che si può tentare di distruggere un paese, ma lo spirito di un popolo sano, orgoglioso, intelligente anche se spesso non istruito, è indistruttibile. Ho imparato che l’ospitalità è gioia, che la musica è preziosa quando ti impediscono di ascoltarla o crearla, che l’arte nasce anche da sotto le macerie e le macerie stesse possono diventarlo.
 
Ho intenzione di ritornare tra pochi giorni. Perché è giusto far sentire le voci delle donne che rischiano di essere cancellate dal ritiro degli stranieri e il ritorno in politica dei talebani. Perché è giusto che possano ancora per una volta, forse l’ultima, mostrare i loro volti, ripercorrere i loro sogni, prima che possano essere strappati insieme a loro e alle loro aspirazioni.
 
Chi mi conosce sa quanto io creda nel potere del giornalismo, nella necessità di essere in un posto per raccontarlo. Ho fatto decine di viaggi in Afghanistan e ho raccontato centinaia di storie. Eppure questa forse è la più importante di tutte perché è oggi che si decide la sorte di un genere e di un posto dopo decenni di guerre infinite.
 
Scoppierà una guerra civile o il governo afghano riuscirà a farcela? Le donne torneranno prigioniere delle loro case o riusciranno a trovare il loro spazio? La gente fuggirà o si troverà intrappolata nel vortice della violenza. Che ne sarà della società civile? Sono domande alle quali abbiamo il dovere di rispondere perché anche noi in quel paese abbiamo investito soldi e sangue, con soldati, ong, giornalisti. Con amici e colleghi che con la loro morte sono entrati a far parte della polvere dell’Afghanistan.
 
Non è un momento facile tra Covid e attentati, ma potrebbe non essercene un altro migliore di questo per far capire e non far dimenticare questo paese che ci ha insegnato quanto sia importante lottare per i propri diritti e quanto sia facile perderli.
Trascorrere un paio di settimane costerà tra viaggio, albergo sicuro, e fixer (traduttore e producer) circa 2.500 euro.
 
Vi chiedo di sostenere questo reportage, nel quale farò podcast, dirette, dove vi porterò a vedere cosa sta accadendo e come potrebbe cambiare. Tutto quello che vedrò, lo vedrete anche voi e quello che sentirò arriverà direttamente dentro le vostre case. Perché il giornalismo è questo, essere sul posto, grattare la superficie, stare dalla parte dei più vulnerabili e raccontarlo a tutti.
 
Grazie a tutti quelli che sceglieranno di dare un contributo.
Per poter sostenerne PROSSIMA FERMATA AFGHANISTAN andate su www.radiobullets.com/sostienici
E grazie.

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