Ricchezza e disuguaglianze economiche

Scritto da in data Gennaio 18, 2021

La concentrazione delle ricchezze porta a un aumento delle disuguaglianze economiche: come viene giustificato questo fenomeno storico?

Per un’esperienza più coinvolgente, invece di leggere ascoltate il podcast 

La lista dei più ricchi del mondo

All’inizio di ogni anno compaiono sui mass media le liste delle persone più ricche del mondo. Ogni rivista o sito internet pubblica la propria e le cifre non sempre concordano. Leggendo quella riportata dalla rivista americana Forbes, nel 2020 l’uomo più ricco del pianeta è risultato Elon Musk, geniale imprenditore di origine sudafricana che opera negli Stati Uniti, fondatore e proprietario della fabbrica automobilistica Tesla, con un patrimonio di 182,9 miliardi di dollari.

Al secondo posto si piazza Jeff Preston Bezos, imprenditore americano di 56 anni, fondatore e proprietario di Amazon, la più grande piattaforma per il commercio online a livello mondiale, oltre che proprietario del prestigioso quotidiano The Washington Post e di mille altre cose. Il suo patrimonio ammonterebbe a poco meno di 182,8 miliardi di dollari che, tradotto in euro, al cambio attuale fanno poco meno di 152 miliardi di euro, una cifra enorme.

Nelle liste dei super “paperoni” si trova anche la ex moglie di Jeff Bezos, la signora Scott MacKenzie, con un patrimonio di 62 miliardi di dollari, frutto in gran parte del sostanzioso divorzio dal proprietario di Amazon. Tra le tante curiosità risulterebbe che, mentre nel 2020 il signor Bezos avrebbe donato in beneficienza 100 milioni di dollari, la sua ex moglie ben 4 miliardi di dollari, quindi, stando a queste notizie, il signor Bezos pur essendo molto più ricco della ex moglie avrebbe il braccino molto più corto! A parte questi dettagli, oggi vogliamo partire dal dato sopra riportato per sviluppare alcuni ragionamenti sul tema della ricchezza, le disuguaglianze e la crescita economica.

Ricchezza, disuguaglianze e crescita economica

Ripartiamo dal dato sul patrimonio, l’equivalente di 152 miliardi di euro. Proviamo a fare un piccolo esercizio, o meglio chiudiamo gli occhi e immaginiamo, per pochi minuti, di avere noi a disposizione un patrimonio di quella consistenza. Beh, io mi darei subito alla spesa compulsiva conducendo una vita estremamente dispendiosa e non facendomi mancare nulla.

Un multimiliardario potrebbe permettersi ogni giorno di mangiare a pranzo e a cena in uno dei più lussuosi ristoranti stellati del pianeta spendendo senza problemi centinaia di euro per ogni pasto. Supponiamo che spenda, solo per mangiare, 1.000 euro al giorno: sarebbero circa 365.000 euro all’anno.

Ogni anno potrebbe comprare una nuova villa o un nuovo appartamento di lusso del valore di circa 10 milioni di euro. Poi bisogna arredare la nuova casa acquistata e quindi mettiamo a budget altri 10 milioni di euro. Potrà spendere, supponiamo, 10.000 euro al giorno per abbigliamento e accessori. Inoltre ci sono le vacanze e anche lì ci si può concedere di tutto e di più: dato che ci piace la bella vita metteremo a budget altri 10 milioni all’anno. Bene!

Come dimenticare la grande passione per i motori. Supponiamo che ogni mese si spenda 1 milione di euro in auto, moto e veicoli vari: sono altri 12 milioni di euro annui. Ci sono poi tutti i gadget informatici, televisori, computer, e tutte le nuove diavolerie elettroniche: mettiamo un altro milione di euro. E le feste sontuose, i regali agli amici, magari anche un po’ di beneficienza che non guasta mai e ci mette a posto con la coscienza: mettiamo altri 10 milioni.

Ma c’è da pensare anche al personale. La gestione delle proprietà immobiliari, del patrimonio, delle spese, della sicurezza, comporta un esercito di camerieri, autisti, guardie del corpo, contabili, amministratori, consulenti, maggiordomi, giardinieri e via di seguito. Tutto questo personale, qualche centinaio di persone, costa: mettiamo altri 20 milioni di euro.

Sommiamo il tutto: fanno circa 67 milioni. Arrotondiamo a 100 milioni di euro l’anno perché poi ci sono sempre gli imprevisti e altre spesucce non programmate, magari una volta l’acquisto di un nuovo yacht, un’altra volta quello di un nuovo aereo e via di seguito.

Facendo una vita veramente dispendiosa, non badando a spese e non facendosi mancare nulla, potendo spendere 100 milioni significa che ogni giorno dell’anno, nessuno escluso, dovremmo scialacquare circa 274.000 euro: una cifra che per spenderla bisogna mettersi veramente d’impegno.

Il conto del salumiere

Ora, risvegliamoci dal nostro sogno e facciamo un po’ il conto del salumiere. Una persona come il signor Bezos, che ha un patrimonio di 152 miliardi di euro, conducendo una vita tutta dedicata al consumo e allo sperpero di denaro per dilapidare il suo patrimonio impiegherebbe 1.520 anni.

Se domani mattina negli Stati Uniti andassero al potere i comunisti e approvassero una legge che stabilisce che la parte di patrimonio eccedente i 100 miliardi debba essere tutta espropriata, il signor Bezos impiegherebbe 1.000 anni per estinguere il suo patrimonio. Se la legge fosse ancora più restrittiva e si stabilisse che la parte da espropriare è quella che eccede i 50 miliardi di euro, al signor Bezos ne servirebbero soltanto 500.

Ora ammettiamo pure che questi nostri calcoli siano mossi da sentimenti poco nobili, da quella che qualcuno ha chiamato l’invidia sociale; ammettiamo pure che non è cosa educata mettersi a fare i conti nelle tasche degli altri: è di tutta evidenza che da un punto di vista economico non ha alcun senso lasciare nelle mani di singoli individui quantità di ricchezza così elevate. Non servono a lui e non servono nemmeno alla società in cui vive. Se quei soldi fossero ridistribuiti tra le fasce di popolazione più povere, quei soldi verrebbero spesi e si trasformerebbero in consumi accrescendo la domanda e sviluppando l’economia di un paese. Consentire l’accumulazione di patrimoni così ingenti e, di conseguenza, di disuguaglianze economiche molto forti − tra ristrettissime élite di arcimiliardari e milioni di persone che invece faticano a mettere assieme il pranzo con la cena, per usare un linguaggio economico − rappresenta un’inefficiente allocazione delle risorse. Non c’è alcuna ragione economica che giustifichi un tale stato di cose. Esso trova una sua giustificazione soltanto a livello politico-culturale e ideologico.

Quel 10% di popolazione ricca che possiede il 50% delle risorse, avendo molti soldi avrà anche capacità di influenzare la politica; alcuni degli appartenenti a quel decile saranno magari proprietari di gruppi editoriali e mezzi d’informazione: giornali, periodici, reti televisive e radiofoniche, portali internet; alcuni saranno sponsor e finanziatori di prestigiose università private dove si formano i quadri e i dirigenti delle loro aziende e dove verranno chiamati a insegnare professori che sostengono e propagandano le loro idee e le loro visioni del mondo.

Ma quali sono gli argomenti principali che vengono portati a sostegno del fatto che queste disuguaglianze, prive di alcuna ragione economica, siano invece un fatto positivo?

Una delle più classiche e più gettonate negli ultimi decenni è quella del merito. Se qualcuno ha accumulato ricchezze faraoniche è perché è intelligentissimo, ha avuto idee straordinarie, ha un talento fuori del comune. In diversi casi questa tesi un suo fondamento ce l’ha. Il signor Jeff Bezos, di cui parlavamo prima, ha accumulato un patrimonio strabiliante ma è indubbio che sia stato uno dei più innovativi imprenditori americani degli ultimi decenni, con grande capacità di visione e un talento fuori dal comune. Ma lo stesso si potrebbe dire per personaggi come Elon Musk, il proprietario di Tesla, per Bill Gates, proprietario di Microsoft, per Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook, per il compianto Steve Jobs, fondatore di Apple.

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I paperoni italiani

Se guardiamo vicino a noi e prendiamo i dati sui “paperoni” italiani, si scopre che la famiglia Ferrero è una delle più ricche famiglie italiane. Ai Ferrero, avendo inventato delizie come la Nutella e tutte le altre incredibili leccornie che allietano le nostre colazioni e le nostre merende, non possiamo che riconoscere meriti imperituri.

Ma non sempre è così, non tutte le fortune sono create grazie al merito. Siamo proprio sicuri che le cose stiano in questo modo? Non è che, per esempio, i giganti del web sono diventati ricchissimi anche perché riescono a non pagare le tasse nei paesi nei quali producono i loro redditi, grazie alla complicità della politica? E nel caso degli oligarchi russi, dei petro-miliardari arabi, di alcuni dittatorelli africani ricchissimi, quali sarebbero i loro straordinari meriti? Oltre al fatto che, come abbiamo già visto in podcast precedenti, sulla cosiddetta meritocrazia si possono fare diverse obiezioni.

Comunque, qui non si discute il principio che chi ha meriti maggiori possa guadagnare di più, quel che stiamo discutendo è un’altra cosa: per quale ragione una persona già immensamente ricca deve poter continuare ad accumulare ricchezze che poi non riuscirebbe nemmeno a spendere, e il più delle volte restano parcheggiate in investimenti finanziari oppure depositate in qualche paradiso fiscale? Non sarebbe più logico utilizzarle per finalità di pubblica utilità: la ricerca scientifica, il potenziamento delle strutture scolastiche, la costruzione di alloggi popolari nelle grandi aree urbane, la salvaguardia del nostro patrimonio culturale, la salvaguardia dell’ambiente o altro?

A questo punto si introduce un’altra delle giustificazioni che vengono date alla disuguaglianza: la tutela dei diritti di proprietà. Le società capitalistiche, ma anche molte società precapitalistiche, si basano su un principio giuridico fondamentale: il diritto alla proprietà. Cosa viene prima: il diritto alla proprietà oppure il diritto di tutti i cittadini ad avere garantito, per esempio, un livello di vita decente e un minimo di diritti e di tutele? Generalmente nelle società capitalistiche prevale il principio della sacralità della proprietà privata, considerata presupposto fondamentale per il buon funzionamento del sistema economico come pure per la tenuta sociale.

Le rivoluzioni borghesi

Alla fine del Settecento avvengono due grandi rivoluzioni borghesi che pongono anche i presupposti culturali, ideali e ideologici delle moderne società capitaliste, a cominciare dal principio che tutti gli uomini sono uguali e godono degli stessi diritti.

La Dichiarazione d’Indipendenza americana, adottata a Filadelfia il 4 luglio del 1776, afferma testualmente: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità».

Poi, come spesso accade, un conto sono le dichiarazioni o le intenzioni e altra cosa è la realtà storica. L’autore di quella dichiarazione è Thomas Jefferson, padre fondatore della nazione americana, che divenne anche il 3° Presidente degli Stati Uniti: era proprietario in Virginia di piantagioni di cotone e di circa 200 schiavi. Ovviamente l’esistenza di costoro non viene menzionata nella Dichiarazione d’Indipendenza, come non viene menzionato il fatto che di quei diritti inalienabili, loro, non ne godranno, almeno fino alla Guerra di Secessione, un secolo dopo. E anche una volta abolita giuridicamente la schiavitù, ci vorrà un altro secolo di lotte prima che la segregazione razziale venga abolita in tutti gli Stati Uniti. Ancora oggi, come hanno evidenziato diversi episodi di cronaca nell’ultimo anno, in quel paese ci sono seri problemi di discriminazione razziale.

Qualche anno dopo, con la Rivoluzione francese si afferma il principio della sacralità della proprietà privata quando il popolo francese si rivolta contro i privilegi del clero, della nobiltà e della monarchia. Il 3% dei francesi che appartenevano a queste classi sociali possedeva il 50% delle proprietà e godeva di ormai intollerabili privilegi, a cominciare dalla esenzione dal pagamento della gran parte delle tasse.

La Rivoluzione francese sancisce il principio che tutti i cittadini, senza alcuna distinzione, possono godere del diritto di proprietà. Questo diritto ha il merito di essere applicato senza alcun riferimento alle origini sociali e familiari dei soggetti e sotto l’equa protezione dello Stato. Rispetto all’ancien règime, basato su disparità di status piuttosto rigide tra clero, nobiltà e Terzo Stato, la nuova Repubblica borghese privilegia la parità dei diritti. I privilegi di clero e nobiltà vengono aboliti o ne viene ridotto il campo d’applicazione. Chiunque ha diritto di godere in sicurezza della sua proprietà, al riparo dall’arbitrio del re, del signore o del vescovo, e ha diritto a un sistema fiscale e legale che tratta tutti alla stessa maniera nell’ambito dello Stato di diritto. Ognuno è incoraggiato a far fruttare al meglio la sua proprietà e l’uso intelligente delle capacità di ciascuno dovrebbe condurre alla prosperità collettiva e all’armonia sociale. È il trionfo storico della nuova classe borghese che, grazie anche alla rivoluzione industriale che dall’Inghilterra si sta diffondendo nel resto del mondo, porterà alla nascita delle società moderne.

L’ideologia della sacralità della proprietà privata verrà messa in discussione soltanto all’inizio del Novecento dai comunisti. Nel tentativo di costruire una nuova società senza classi e sfruttamento, dove tutti i cittadini sono uguali, si applica il principio che la proprietà dei mezzi di produzione − ovverosia le aziende, le fabbriche, le terre − viene trasferita allo Stato.

Tramontati i regimi comunisti dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta, con la nuova ideologia neoliberista è tornato in auge il principio della sacralità della proprietà privata. Per i neoliberisti se si stabilisce che lo Stato può intervenire a colpire la proprietà privata, e quindi anche i patrimoni privati, si innesca un meccanismo molto pericoloso. Lo abbiamo visto con i regimi comunisti di ispirazione sovietica dove magari le intenzioni erano ottime ma i risultati storici, a voler essere buoni, lasciavano quantomeno a desiderare! Ma anche in una moderna società democratica, se si mettesse in discussione il principio di proprietà, cosa potrebbe succedere? Qualcuno, in nome della necessità di una maggiore giustizia sociale, potrebbe finire per distruggere l’economia di un paese. Pensiamo alle recenti vicende del Venezuela. Prima Chavez e poi il successore Maduro, volevano maggiore giustizia sociale: le intenzioni erano buone, forse anche ottime, ma i metodi discutibili e i risultati, in ogni caso, pessimi.

L’apparato delle giustificazioni culturali, ideologiche e politiche alle disuguaglianze è molto vasto. Continueremo a parlarne nella prossima puntata.

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