Riso nero, dalla terra alle pagine

Scritto da in data Settembre 11, 2020

Dal romanzo di Sherwood Anderson, Dark Laughter – pubblicato in Italia nel 2016 da Cliquot edizioni in una nuova traduzione di Marina Pirulli, dal titolo Riso nero –, a Celeste Logiacco – segretario generale Cgil Piana di Gioia Tauro –  e il suo attivismo per la lotta al caporalato.

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Perché Riso nero?

Anderson è scrittore di short story, i cosiddetti racconti brevi. Nel 1924, dall’Ohio si trasferisce a New Orleans, la città delle meraviglie. Qui, tra l’altro, con la moglie terrà un salotto letterario a cui parteciperanno William Faulkner, Carl Sandburg, Edmund Wilson e altri scrittori noti della letteratura statunitense del momento. L’anno successivo al suo trasferimento, scrive Dark Laughter, che come tutti i suoi scritti fa da specchio alla deriva dell’umanità negli anni successivi alla industrializzazione. New Orleans, disputata tra francesi, spagnoli, e alla fine venduta agli Stati Uniti nei primi anni dell’Ottocento, è tra le città culturalmente più floride. E nonostante vi sia una tratta degli schiavi africani in atto, che arrivano in gran numero per essere impiegati nelle piantagioni di zucchero e di cotone, in città vi è una delle più attive e libere comunità nere del Paese.

Dalle gole degli uomini neri vestiti di stracci, mentre trottavano su e giù per il pontile, note strane e ossessive. Parole impigliate, sballottate, trattenute in gola. Amanti delle parole, dei suoni: i neri sembravano tenere in serbo le note in un posto caldo, forse sotto le lingue rosse. Le loro labbra carnose erano pareti dietro le quali si nascondeva la musica. Amore inconscio verso cose inanimate che i bianchi avevano perso: i cieli, il fiume, una nave in movimento; misticismo nero, mai espresso se non in forma di canzone o movimento di corpi. I corpi dei lavoratori neri si appartenevano l’un l’altro come il cielo apparteneva al fiume (da Riso nero, Cliquot edizioni, 2016).

Dai campi di cotone di New Orleans agli aranceti di Gioia Tauro, Celeste Logiacco ai microfoni di Radio Bullets: «Nel contesto in cui vivo, unire il mondo del lavoro e organizzare i disorganizzati vuol dire rendere visibili gli invisibili. Per questo, la nostra azione quotidiana di presidio del territorio si avvale del cosiddetto sindacato di strada, fortemente voluto dalla Flai e dalla Cgil per entrare sempre più a contatto con le lavoratrici e i lavoratori. In particolare, con quelli che si muovono ai margini del sistema economico e sociale affinché possano conoscere i propri diritti, le tutele di cui possono beneficiare, e godere appunto di più servizi. Di fatto, usciamo dalle sedi tradizionali del sindacato e andiamo negli insediamenti informali, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di aggregazione di uomini e donne che ogni mattina vanno in cerca di una occupazione, e che spesso non hanno il tempo materiale o i mezzi per poter venire presso le nostre camere del lavoro. Nel corso degli anni, numerose sono state le attività e le iniziative messe in campo, tra queste, quella dello sportello itinerante (uno sportello, punto di ascolto e tutela su servizi, occupazione e famiglia) con una particolare attenzione alle donne migranti, più vulnerabili rispetto agli uomini e sempre più numerose nella piana. L’obiettivo ovviamente è quello di promuovere le politiche di genere e la realizzazione del principio di parità e non discriminazione. Chiaramente ho deciso di stare dalla parte di chi è costretto a scappare, di chi è costretto, appunto, a mettere sé stesso e i propri familiari in pericolo, nella speranza di sopravvivere alla ricerca di un futuro migliore. Sono fermamente convinta che dare accoglienza a chi fugge dalla povertà e dalle guerre sia la condizione necessaria per contrastare le crescenti disuguaglianze economiche e sociali che drammaticamente caratterizzano i nostri giorni».

Dalla terra alle pagine…

Il porto di New Orleans e il porto di Gioia Tauro. L’uno, terra di salvezza dall’Oceano Atlantico, l’altro, terra di speranza nel Mar Mediterraneo. Scampo, liberazione, rifugio, attesa, desiderio, miraggio: sinonimi di salvezza e di speranza. Che velano un inganno appena si tocca terra con i piedi. In entrambi i casi, non si pensa mai di diventare schiavi, perché chi c’è già, alimenta i sogni di chi ancora deve partire, scappare, rifugiarsi… e lo fa a ogni costo. Chi, invece, non ha legami con chi è già nella terra promessa, quindi non può sapere la nuova vita cosa gli offrirà, è avvolto dai desideri, dall’incoscienza che abbaglia la verità dell’approdo. Celeste Logiacco racconta cosa fa nella piana di Gioia Tauro: «Come più volte ho ribadito, definitivamente vanno messe in atto tutte le azioni necessarie per favorire la fuoriuscita dall’attuale condizione di degrado e precarietà che caratterizza l’intero territorio della piana. Perché è chiaro che un’accoglienza dignitosa è il primo passo per arginare gravi abusi, quali, appunto, lo sfruttamento lavorativo. Negare, invece, un’accoglienza degna di un Paese civile a questi lavoratori vuol dire necessariamente consegnarli ai caporali e agli sfruttatori. Sono spesso invisibili, ma basta girare tra le principali campagne di raccolta del nostro Paese, negli insediamenti formali e informali da Nord a Sud per vedere e toccare con mano le loro condizioni di vita e di lavoro. La stragrande maggioranza è molto giovane, basta parlarci per capire che hanno mille storie da raccontare, storie fatte di sofferenze e perdite di persone care. Uomini e donne disposti a tutto pur di cambiare il proprio destino. Disposti, come sappiamo, anche a perdere la vita nella rischiosa traversata, affidarsi a perfetti sconosciuti che in cambio di migliaia di euro promettono loro un tetto e un lavoro una volta arrivati in Europa».

Senegal, Kelle – Celeste Logiacco e i bambini del villaggio

Celeste Logiacco – segretario generale Cgil Piana di Gioia Tauro

Dalle pagine alla terra…

La cultura della violenza, dei soprusi, della tratta degli esseri umani. Del colonialismo globale che si ramifica da secoli in tutte le direzioni della Terra, privilegiando le rotte dell’emisfero australe. E poi, l’elogio dell’uomo bianco, della sua presunta superiorità, della sua folle convinzione di appartenere alla specie forte. Non sono luoghi comuni, o cliché. Non sono temi d’intrattenimento ideologico. Ma realtà. Oggi. E ancora. Perché? Come? E cosa si può fare per frenare e far sparire le scie di una ignoranza ormai obsoleta, che pesa sull’intelligenza del pianeta. Celeste Logiacco su Radio Bullets: «Quanto accaduto a Colleferro, la morte di Willy, il ventunenne ucciso a calci e pugni dal branco, è gravissimo e inaccettabile, e non può assolutamente lasciarci indifferenti. Hanno scritto che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, io credo proprio di no. Quelli sbagliati sono i suoi assassini e la loro furia omicida. È chiaro che, di fronte all’attuale e dilagante deriva etico-morale, razzista, xenofoba e, spesso, neofascista, non dobbiamo stancarci di operare per costruire una memoria collettiva salda e civile contro il razzismo e la cultura della violenza. Una memoria collettiva per la costruzione di politiche di pace che parli di diritti umani, giustizia sociale e accoglienza. Tutto questo è necessario per contrastare l’indifferenza che da sempre si cela dietro le pagine più nere dell’umanità. Per evitare che episodi come quelli già accaduti, accadano ancora, sono convinta che la memoria vada coltivata e tramandata ai giovani perché col tempo i ricordi sbiadiscono insieme alle immagini. Con loro, anche l’orrore di quanto accaduto. E allora, bisogna tenere vigili le coscienze. Non dimenticare che l’unico argine possibile è l’impegno, la presenza, la consapevolezza. Non è più tollerabile che parte della politica soffi sul fuoco del razzismo, alimentando odio e conflitti sociali per crescere nei consensi. Abbiamo davvero bisogno della buona politica, quella che ha realmente a cuore questo Paese e, chiaramente, il suo futuro».

 

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