Varcare confini, costruire muri
Scritto da Eleonora Viganò in data Agosto 8, 2019
I muri separano, dividono, contengono. La logica del muro è spietata e semplice: da un lato i buoni, noi e dall’altro lato i cattivi, loro. La logica del muro è la stessa sottesa in passato alla Grande Muraglia, pur nella sua attuale magnificenza e bellezza. Ora, a Jinshanling – la parte che ho scelto di visitare – c’è silenzio, ci sono le montagne, i saliscendi, gli incontri sporadici di pochissimi turisti, ma un tempo, me la immagino forse sbagliando, c’erano frecce, soldati, persone allontanate e indesiderate, c’erano inespugnabili e ostili forti – punti di accesso e allo stesso tempo punti impenetrabili e respingenti – c’erano torri e morti, come dice Kapuscinski – c’era questa metafora dell’incomunicabilità. Eleonora Viganò su Radio Bullets
Foto: Eleonora Viganò / Colonna Sonora: Franco Battiato – Centro di gravità permanente
Cina
Pechino è infinita: è una matrioska di templi, giardini, monumenti. È un caotico succedersi di chiasso, silenzio, confusione, negozi, motorini e caldo. È la grande muraglia, la Città Proibita, Il Tempio del Cielo e piazza Tienanmen. È qualche incontro di emigrati e turisti. È immensità, soprattutto e la consapevolezza che si è minuscoli. È diversità: che può unire o dividere.
Letture di viaggio
Stamattina apro il libro iniziato da poco. Sono in treno: non sulla transmongolica né su tratte così emblematiche. Sono una pendolare classica che si sposta da una città a un’altra per andare in ufficio. Apro una delle mie letture: cerco sempre libri di viaggio che siano saggi o romanzi. Moby Dick, per esempio, è un libro di viaggio. Oggi sto leggendo uno tra i miei autori preferiti in materia: Kapuscinski e in particolare Viaggio con Erodoto. Alla sera mi sto dedicando – in secondo piano, anche grazie a pareri discordanti e alla sensazione che la scrittura sia un po’ piatta – a Shantaram di Gregory David Roberts.
Entrambi sono iniziati con l’India, in modi completamente diversi, e in India ho viaggiato sola – o quasi – per la prima volta, restando un mese in Tamil Nadu. Quando stamattina ho aperto il libro di Kapuscinski, tuttavia, non parlava affatto di India, ma di Cina e curiosamente parlava proprio della muraglia cinese, una tra le visite più intense durante quei quattro giorni, purtroppo pochissimi, trascorsi a Pechino.
Mappe mentali
A Pechino ho visitato il Tempio del Cielo, La città proibita, il Lama Temple e ovviamente la Grande muraglia cinese. Ho girovagato anche un po’ a caso, senza mete precise, cogliendo scorci, immagini, sensazioni. Sono entrata in un negozio, ho mangiato in un ristorante musulmano, ho conosciuto una coppia di amici: lei londinese, aveva iniziato a viaggiare ben otto anni prima e per un paio di anni era rimasta a Shangai come insegnante d’asilo. In quel momento era una turista, proprio come me, in attesa di rientrare a Londra insieme al suo amico indiano. Entrambi musulmani, sono stati loro a invitarmi a cena, in quel ristorante. L’immensità di Pechino l’ho respirata in ognuna di queste azioni. In ogni singolo momento ho registrato una sorta di smarrimento in me, tanto che il ricordo della geografia di quella città è completamente sbiadito. Riesco a ricostruire – a fatica, per una questione di tempo – la mappa mentale di Ulan Bator, di Mosca, di San Pietroburgo. Muovendomi in autonomia, le strade, le metropolitane, gli autobus tendono a fissarsi maggiormente tra i ricordi prima di andarsene del tutto, lasciando una vaga consapevolezza di esserci comunque arrivati da soli e di aver visitato ciò che si desiderava.
L’infinita Pechino
Pechino è diversa: quattro giorni al termine di un mese di cambiamenti lenti, progressivi ma costanti e ripetuti, un’immensità che non mostra la sua fine: nelle distanze tra i punti di interesse, nella metropolitana, in ciò che si decide di visitare. Andare alla città proibita, al Tempio del cielo, al Palazzo d’estate o anche solo in un parco, significa trascorrere un’intera giornata nel luogo prescelto. Matrioske infinte di giardini, templi, strade, monumenti che quando sembra di aver finito eccone spuntare un altro, qualcosa di nuovo da vedere, da annusare, da percorrere. Sale, muri. Se ci si reca al Tempio del cielo, la sala della Preghiera per i Buoni Raccolti compone – insieme all’altare circolare e al Tempio del Dio dell’Universo – la maggior attrazione di tutto il parco. Qui si trova il muro dell’eco, dove sembra che parlando a bassa voce da un lato del muro si possa sentire all’altro capo ciò che viene detto. I turisti, soprattutto cinesi, fanno numerosi tentativi. Ricordo bimbe vestite con abiti vaporosi, rosa soprattutto, ricordo turisti ammassati in piazza Tienanmen ad attendere qualcosa e io a non capire cosa. Ricordo di aver incontrato nuovamente, in tutta quell’immensità, il ragazzo polacco e di averlo perso quando ci siamo dati appuntamento al mattino dopo per andare sulla muraglia. Ricordo il Lama Temple: all’ingresso del tempio si ricevono gli incensi votivi, da accendere tre alla volta. Qui ci sono una serie di Hutong molto caratteristici – seppure turistici – ed è interessante da girare a piedi.
La muraglia cinese – The Great Wall
E poi c’è lei, la Muraglia. Non è una: sono otto le zone in cui è suddivisa e dalle quali iniziare a percorrerla a piedi: ciascuna con caratteristiche diverse di conservazione, paesaggio, distanza da Pechino, difficoltà e lunghezza di percorrenza, bellezza e presenza massiccia o meno di turisti. La maggior parte infatti si reca a Badaling, a soli 50 km dalla città. Io ho controllato in rete varie possibilità, leggendo più volte e ripetutamente dove fossero dislocate, quanto tempo fosse necessario per arrivarci e soprattutto come. Ho cercato su alcuni blog, non avevo la guida. Alla fine, la mia scelta è caduta su Jinshanling, a circa 130 km da Pechino, era un buon compromesso tra fascino, distanza, accessibilità. Arrivarci, in realtà, non è stato così semplice proprio per alcune differenze rispetto alle indicazioni trovate in rete. Io ho preso il bus 980, suggerito ovunque, ma poi a Miyun ho dovuto prendere un minibus (o un taxi) spendendo circa 27 euro. Meglio – sempre che dopo anni sia ancora così – andare alla Wangjing West Station con la metro 13 o 15, prendere l’uscita C e l’autobus in direzione Luanping. Mi hanno detto che funziona! L’ultimo bus dall’ingresso principale per rientrare a Pechino è alle 15: per fortuna ho incontrato, proprio camminando lungo una muraglia quasi deserta, la coppia londinese, che mi ha informato su tutto.
La parte visitata da me è stata costruita nel XIV secolo ed è stata restaurata durante la dinastia Ming nel 1567-1570: è una delle zone meglio conservate. È lunga 5 km, alta 7 metri e larga 5. Ha 31 Torri di guardia: ogni torre, a distanza di 500 metri, serviva per scagliare frecce al nemico. Ogni forte era un punto di accesso ma anche una zona impenetrabile e sorvegliata. Si potrebbe andare fino alla zona successiva, Simatai, a piedi in circa 4 ore.
Kapuscinski: muri per dividere
Nonostante la sua magnificenza e bellezza attuale, come oggi la muraglia ci appare, è fondamentale ricordare che è un muro: di difesa, di contenzione, di divisione: noi e loro, l’altro. “Il muro – dice Kapuscinski – diventa così scudo e trappola, riparo e gabbia. Il lato peggiore del muro è quello di sviluppare in alcune persone un atteggiamento da difensore del muro, di creare una mentalità per la quale il mondo è attraversato da un muro che lo divide di dentro e fuori: fuori ci sono i cattivi e gli inferiori, dentro i buoni e i superiori”.
Anche la grande muraglia, ovviamente, è un continuo vedere, assorbire, un continuo cercare e camminare e proseguire senza quasi fine. Ricordo bene la sensazione, sempre simile a smarrimento, infinitezza. Quella consapevolezza di essere minuscoli e che nulla sia determinante, in fondo: nemmeno quale muraglia scegliamo di visitare, per quanto a lungo ci camminiamo e cosa davvero vediamo o facciamo. Ho lasciato correre: ho camminato un po’, ho scattato foto, ho raccolto con gli occhi – come fossero reti da pesca – quanto più possibile: le salite, le discese, i gradoni, i pochi incontri che valgono un saluto tra sconosciuti, come se fossimo – e lo siamo di fatto – in montagna. il verde rigoglioso nonostante fosse agosto, la visuale d’insieme nei punti più alti: a nord i territori della “Mongolia Interna”, sul lato a sud della muraglia: la Cina. Senza obiettivi, senza mete da raggiungere e senza la brama di voler vedere tutto o troppo.
Il mio viaggio era finito: sarebbe finito al Lama Temple agitando incensi. Anzi ancora dopo, litigando con un addetto alla metropolitana, che cercava di spiegarmi qualcosa che io non capivo, mentre lui non capiva la mia domanda. Era solo un ragazzo gentile che voleva aiutarmi, che mi ha messo ansia, contro il quale ho alzato la voce proprio mentre andavo all’aeroporto. Mi fa male ancora oggi, quella discussione.
Una metafora del muro, a dirla con Kapuscinski.
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