Zaire 1974 – Questione di vita o di morte
Scritto da Giuliano Terenzi in data Giugno 21, 2020
Questa storia è ambientata in un posto che oggi, almeno formalmente, non esiste più ed ha come protagonista una nazione che, almeno formalmente, non esiste più.
Invece di leggere prova ad ascoltare: la musica e la narrazione renderanno l’esperienza più coinvolgente!
Rivoluzione ai Mondiali
Dal 1970 la FIFA ha deciso che una squadra africana si qualificherà di diritto ai campionati del mondo. Il motivo è una protesta che risale al ’66 anno in cui le nazionali africane si rifiutano di giocare le partite di qualificazione. La protesta si rivela efficacie, anche perché i vertici della FIFA sono cambiati, il presidente ora è il brasiliano Havelange – dovreste ricordarvelo se avete ascoltato la storia di Carrascosa – che ha una visione più globale ed inclusiva dei campionati del mondo. Sta di fatto che il Marocco allenato da Vidinic ben figura a Messico 1970 e quattro anni dopo a qualificarsi è lo Zaire ed è un evento storico perché si tratta della prima nazionale dell’africa nera a partecipare ad un campionato mondiale di calcio. Lo Zaire, almeno con questo nome, esiste da poco più di tre anni, da quando Mobutu Sese Seko, già capo di stato maggiore dell’esercito, ha assunto il titolo ufficiale di Maresciallo-Presidente con poteri assoluti e, oltre al cambio di nome, da Repubblica libera del Congo a Zaire, ha imposto a tutta la popolazione di assumere un nome tribale e di vestirsi, tassativamente, con abiti tradizionali. Quella del “guerriero onnipotente che, per la sua infinita e inflessibile volontà di vittoria, andrà di conquista in conquista lasciando il fuoco sulla sua scia” (questo è lo pseudonimo tribale che Mobutu si è auto-affibbiato) è una dittatura a tutti gli effetti; è salito al potere nel 1960, in piena guerra fredda, grazie a un colpo di stato, sostenuto dal Belgio e dalla CIA, contro il governo di Patrice Lumumba, uno dei protagonisti nella lotta per l’indipendenza del paese, insediatosi al potere democraticamente dopo anni di dominazione belga.
Torniamo al calcio e alla qualificazione della nazionale dello Zaire che riesce a primeggiare sulle altre nazionali africane proprio grazie agli investimenti di Mobutu il quale, con il denaro di stato, rileva i contratti dei giocatori dello Zaire che giocavano fuori dalla nazione, quasi tutti nel campionato belga, e li fa tesserare nelle squadre locali più quotate come il Mazembe e il Vita Club. La strategia del dittatore paga immediatamente i dividendi visto che lo Zaire, per la prima volta, vince la Coppa d’Africa e stacca il pass per il mondiale del ’74 che si giocherà nella Germania dell’Ovest. Anche a livello di club le soddisfazioni non mancano tant’è che tra il ’67 ed il ’73, l’equivalente della nostra Coppa dei Campioni viene vinta per ben tre volte da squadre locali.
Da leoni a leopardi
Tra i cambiamenti voluti dal dittatore Mobutu ce n’è uno che coinvolge direttamente la nazionale di calcio: se fino ad allora l’epiteto che li ha accompagnati è stato “i leoni” adesso, vista la passione, per non dire ossessione, del dittatore per i felini dal manto maculato, i giocatori dello Zaire si chiameranno “i leopardi”.
Quando i leopardi ottengono la qualificazione ai Mondiali vengono invitati nel palazzo di Mobutu che li tratta come degli eroi e loro si sentono come tali; Il dittatore li conquista donando, ad ognuno di loro, una macchina e una casa. Tutti i calciatori provano un grande senso di appartenenza e di riconoscenza verso il loro capo che, per loro stessa ammissione, identificano come un padre. Oltretutto gli è stata promessa una ricompensa eccezionale una volta tornati dal mondiale: circa 45000 dollari a testa, una cifra che nessuno di quella squadra avrebbe mai pensato di poter guadagnare, neanche vivendo due volte. Pieni d’orgoglio ed emozione partono per la Germania Ovest sotto la guida di Vidinic, lo stesso allenatore che guidava il Marocco nei mondiali precedenti.
Un girone complicato
Sono inseriti nel gruppo 2 insieme al Brasile di Rivelino, alla Jugoslavia del temibile centravanti Džajić e alla Scozia dei campioni del Leeds Bremner e Lorimer. Insomma, tutto tranne che un girone semplice per l’esordiente Zaire che gioca la prima partita contro gli Scozzesi al Westfalenstadion di Dortmund. Vidinic vuole sfruttare le qualità offensive dei suoi e schiera la squadra, che indossa una casacca giallo canarino con al centro un leopardo all’interno di un cerchio, con uno spregiudicato 4-2-4. La partita è più equilibrata del previsto ma la Scozia ha nel colpo di testa di Joe Jordan, detto lo squalo, un’arma micidiale. È proprio grazie ad una sua sponda che il pallone arriva a Lorimer che con un destro potente e preciso fa secco il portiere Kazadi che, incolpevole, non può far altro che raccogliere il pallone dalla sua porta: al ventiseiesimo del primo tempo il punteggio è di 1-0. Passano appena sette minuti e la Scozia raddoppia: stavolta è direttamente Jordan ad insaccare con un colpo di testa tutt’altro che irresistibile che sorprende il portiere dello Zaire. I leopardi provano a recuperare ma gli scozzesi difendono con ordine e, nonostante più di qualche palla gol creata dagli avversari, riescono a tenere la porta inviolata. Al triplice fischio del tedesco Schulenburg il punteggio è invariato sul 2-0.
Beh, dai perdere hanno perso ma poteva andare molto peggio per lo Zaire all’esordio in un Mondiale e l’avversario non era neanche dei più semplici. Peccato che a Kinshasa, la nuova capitale dello Zaire, non la pensino così. Mobutu è furioso e non ha digerito per niente la sconfitta della sua nazionale. Non l’ha digerita fino al punto di far sapere ai giocatori che possono tranquillamente scordarsi il compenso promesso.
Il compenso negato
La notizia arriva alla squadra africana e i giocatori vanno su tutte le furie. Sembra, tra l’altro, che la somma destinata a loro sia stata intascata da uno degli ufficiali del governo dello Zaire che pare sia fuggito dalla Germania. In questo clima di rabbia e delusione, i giocatori pensano addirittura di fare sciopero e non entrare in campo per disputare la seconda partita della manifestazione contro la squadra Jugoslava. E forse, col senno di poi, sarebbe stato meglio: i leopardi, stavolta con la casacca verde, sono sotto 3-0 dopo appena 18 minuti di gioco: Bajević, Džajić e Šurjak hanno già timbrato il cartellino. Da Kinshasa arriva una telefonata: sostituire il portiere Kazadi. E così accade, entra il piccolo Tubilandu e piccolo non si riferisce all’età, visto che ha ventisei anni, ma alla sua statura: non arriva ad un metro e settanta. Non fa in tempo ad entrare che subito viene trafitto dalla conclusione di Katalinsky. È una debacle totale; lo Zaire subisce una delle sconfitte più pesanti mai registrate nella fase finale di un mondiale: 9-0. Di fatto, anche se i giocatori sono fisicamente sul campo, la squadra non c’è. Nelle interviste del post-partita il tecnico Vidinic, jugoslavo di nascita, è al centro di polemiche e illazioni a causa della sostituzione del portiere: viene additato come spia e gli si addossa la colpa di aver favorito appositamente i suoi connazionali che, grazie alla larghissima vittoria, ora hanno la migliore differenza reti nel girone. Il tecnico si rifiuta di rispondere alle domande sulla sostituzione del portiere salvo poi ammettere, il giorno dopo, all’esterno dell’hotel in cui alloggia la nazionale africana, di aver ricevuto l’ordine di sostituire Kazadi da un rappresentante del ministero dello sport dello Zaire e di averlo assecondato.
Se l’umore di Mobutu era nero dopo la partita contro la Scozia potete immaginare come viva le ore e i giorni successivi alla partita contro la Jugoslavia. Dalla capitale africana parte uno dei jet privati del dittatore, a bordo ci sono le guardie presidenziali, i suoi uomini più fidati che, arrivati nell’albergo che ospita la nazionale dello Zaire, prima fanno uscire tutti i giornalisti e gli addetti ai lavori e poi vanno a colloquio con la squadra.
L’ultima partita: Zaire – Brasile
La prossima partita è contro i campioni in carica del Brasile, l’ultima squadra che qualsiasi nazionale vorrebbe incontrare in un mondiale, soprattutto se si è reduci da una sconfitta per 9-0 e si cerca la riabilitazione. La seleçao per avere la certezza di passare il turno è costretta a vincere e deve farlo con almeno tre gol di scarto. Al Parkstadion di Gelsenkirchen va di scena un monologo dei verde-oro che dopo appena tredici minuti di gioco sono già in vantaggio grazie alla rete siglata da Jairzinho. Nel secondo tempo il Brasile raddoppia con Rivelino, uno dei mancini più esiziali della storia del calcio, che segna, guarda caso, con un meraviglioso tiro di sinistro all’incrocio dei pali; il terzo gol, su cui pesa l’errore grossolano del portiere dei leopardi, porta la firma di Valdomiro. A poco meno di dieci minuti dalla fine della partita c’è un calcio di punizione dal limite per il Brasile; Rivelino prende il pallone e lo sistema a terra. Se c’è una punizione la tira lui, non ci sono storie, anche perché, spesso e volentieri, la trasforma in gol. Non appena l’arbitro Rainea fischia, però, a partire non è Rivelino, non è nessun giocatore del brasile ma Mwepu il terzino destro dei leopardi. Il giocatore africano esce di scatto dalla barriera, prende la rincorsa e calcia il pallone con una violenza inaudita, per poco non centra Rivelino in pieno volto. Panico. I calciatori brasiliani così come tutto il pubblico sono increduli. E che fa questo?! Possibile che non sappiano neanche le regole?! Possibile che il calcio africano sia così indietro rispetto al resto del mondo?! Sta di fatto che questo insolito gesto ha avuto il risultato di addormentare la partita che si chiude col punteggio di 3-0 per il Brasile. Gli interrogativi sul gesto di Mwepu resteranno irrisolti per molti anni, fino al 2002 anno in cui lo stesso difensore spiega alla BBC come mai ha calciato quel pallone.
L’intervista alla BBC di Mwepu
Vi ricordate il jet privato e le guardie di Mobutu che arrivano in hotel per parlare con la squadra? Ecco sono state mandate lì per riferire un messaggio chiaro e preciso per conto del presidente, hanno chiuso la squadra in una stanza e gli hanno detto: perdere potete perdere, ma se perdete con più di tre gol di scarto non sarete in grado di tornare a casa e non rivedrete la vostra famiglia. Ecco, probabilmente, a cosa sta pensando Mwepu quando esce all’improvviso dalla barriera: sta pensando alla sua famiglia e alla sua vita che, se Rivelino dovesse segnare, potrebbe essere in serio pericolo. E allora agisce d’istinto, scatta e calcia nel disperato tentativo di allontanare oltre che il pallone anche questa nefasta e terribile eventualità. Chissà se veramente quel gesto apparentemente sciocco e privo di senso sia stato veramente utile a prevenire una tragedia che si sarebbe potuta consumare di lì a poco. Quello di cui siamo certi è che quella che sarebbe dovuta essere una spedizione felice ed emozionante, si è trasformata in un incubo. Quel futuro immaginato ed agognato dai componenti della nazionale dello Zaire, fatto di ricchezza, oneri e onori si è dissolto nel giro di neanche un mese; dacché sarebbero dovuti rientrare famosi e milionari, al ritorno in patria non hanno trovato nessuno ad attenderli all’aeroporto, non c’erano neanche i tassisti che, spaventati, avevano paura a caricare in macchina quelle che il sanguinario dittatore Mobutu si era affrettato a dichiarare “persone non grate”. Tre mesi dopo il mondiale, per cercare di risollevare la percezione e lo status del paese, il presidente organizza il più grande evento sportivo della storia dello sport del Novecento: the Rumble in the jungle, George Foreman vs Muhammad Ali. Ma questa è un’altra storia.
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