3 ottobre 2025 – Notiziario Africa
Scritto da Elena Pasquini in data Ottobre 3, 2025
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“Qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità”.
Definiva così la “tirannide” oltre duecento anni fa Vittorio Alfieri.
Dopo due guerre mondiali, carneficine e genocidi, dopo detto “mai più”, aver affermato solennemente diritti inviolabili, codificato un diritto internazionale che avrebbe dovuto proteggere l’umanità dall’arbitrio, l’impunità continua a generare nuovi orrori, a invitare “sempre a cose peggiori”, come sostenevano i latini.
Impunità nella Repubblica Democratica del Congo dove ricorrono quindici anni dal rapporto dell’Onu che ha svelato la vastità di crimini per i quali nessuno ha mai pagato.
Impunità in Sudan, dove la pace è stata solo brevi parentesi.
Impunità per i crimini del colonialismo.
È di questo che raccontano oggi, 3 ottobre 2025, le notizie dal continente africano.
Ma prima gli aggiornamenti dalla Palestina, dalla Global Sumud Flotilla, con gli attivisti e le attiviste detenuti in Israele.
Tra loro la nostra direttrice Barbara Schiavulli.
Anche questa è una lunghissima storia di arbitrio e impunità.
Global Sumud Flotilla
Dal porto di Ashdod al carcere di Ketziot, sono 450, di cui 46 gli italiani, gli attivisti e le attiviste della Global Sumud Flotilla, fermati da Israele dopo che le barche su cui viaggiavano per portare aiuti a Gaza e rompere il blocco illegittimo sono state intercettate in acque internazionali, in un “atto di pirateria” che è “scempio del diritto internazionale”, come lo hanno definito le organizzazioni di giuristi che oggi aderiscono allo sciopero nazionale indetto in Italia per 24 ore.
Bloccati, su di loro sono stati usati idranti e granate stordenti.
“Le telecamere che trasmettevano in diretta dalle imbarcazioni mostravano soldati israeliani armati, con elmetti e visori notturni, salire a bordo delle navi, mentre i passeggeri si accalcavano nei giubbotti di salvataggio con le mani alzate” scrive l’agenzia Reuters.
Nel momento in cui scriviamo, soltanto una imbarcazione, la Marinette, continua il suo viaggio verso Gaza.
Una nota della Farnesina afferma che i quattro parlamentari italiani – il senatore Marco Croatti, l’eurodeputata Annalisa Corrado, il deputato Arturo Scotto e l’eurodeputata Benedetta Scuderi – sono stati liberati e trasferiti all’aeroporto di Tel Aviv, da qui raggiungeranno Roma con un volo di linea.
Alle persone fermate “verrà chiesto se intendono firmare un documento in cui si dichiarano responsabili dell’ingresso illegale in Israele e di accettare l’espulsione: in questo caso lascerebbero il paese molto presto” riportava ieri l’agenzia Ansa, citando i legali della Flotilla Italia.
In caso di rifiuto, si aprirebbe un procedimento davanti a un giudice che dovrebbe decretarne, in circa 72 ore, l’espulsione coatta.
Un’altra flottiglia, intanto, viaggia verso le acque di Gaza.
11 imbarcazioni partite da Otranto e Catania, con a bordo circa 150 persone.
“I nostri compagni sono stati illegittimamente attaccati contro ogni diritto internazionale.
Sono state operazioni illegali, avvenute con la complicità dei governi.
È il motivo per cui siamo ancora in viaggio: vogliamo rompere l’assedio, speriamo che Israele smetta di intercettare e assalire le navi” ha detto afferma Francesco Prinetti, medico torinese all’agenzia all’Adnkronos.
In viaggio anche altre 45 barche salpate dalla Turchia, mentre cresce la mobilitazione in tutta Europa.
Piazze in rivolta al grido “blocchiamo tutto”, in Italia.
Oggi, sciopero generale, domani corteo nazionale a Roma nel primo pomeriggio.
A Roma, gli studenti hanno indetto un corteo che ha sfilato fino al Colosseo.
Manifestazioni a Bologna, Brescia, e in altre città.
Atenei bloccati e occupati, irruzione a Torino alle Officine Grandi Riparazioni, dove si tiene la Tech Week e dove sono attesi Ursula Von der Leyer, John Elkan e Jeff Bezos.
In piazza in tante città europee, ma anche a Karachi, Buenos Aires, Città del Messico.
Gaza
A Gaza, intanto, si continua a morire.
Nelle ultime 24 ore, sarebbero quasi 80 le persone che hanno perso la vita e 222 feriti.
Il bilancio totale continua a salire: 66.225 morti, 168.938 feriti.
“Hamas sta conducendo una serie di incontri per esaminare e rispondere al piano in 20 punti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per Gaza” ha dichiarato a Drop Site l’alto funzionario politico Mohammad Nazzal.
Nazzal, membro di Hamas dal 1989 e membro del suo ufficio politico dal 1996, ha affermato che Hamas sta esaminando attentamente il documento e che presto fornirà una risposta ufficiale.
“Ci stiamo avvicinando al piano con un alto grado di responsabilità” ha affermato.
“Abbiamo iniziato a studiarlo e a tenere consultazioni non appena lo abbiamo ricevuto” scrive Drop Site.
Nazzal avrebbe affermato che alcuni punti del piano potrebbero anche essere accettabili, ma la maggior parte sarebbero “editti israeliani”.
Repubblica Democratica del Congo
Sono passati 15 anni da quando, il 1° ottobre del 2010, le Nazioni Unite pubblicarono il rapporto Mapping.
Un’inchiesta che faceva luce su un decennio di orrore, sui crimini commessi tra il 1993 e il 2003, nella Repubblica Democratica del Congo, documentando 617 episodi gravissimi di violenza, potenzialmente crimini contro l’umanità, crimini di guerra, atti di genocidio.
“Purtroppo non è cambiato proprio nulla dopo l’uscita del rapporto Mapping.
Anzi, abbiamo assistito due anni dopo alla nascita del movimento M23” ci ha detto John Mpaliza, attivista congolese da sempre impegnato in Italia a mantenere alta l’attenzione su una guerra senza fine che ha fatto milioni di morti.
Nulla è cambiato, lo dice anche una nuova indagine dell’Onu, pubblicata ieri, in cui si denunciano esecuzioni, reclutamenti forzati e distruzioni attribuiti alle M23.
Sarebbero 1.154 le violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutto il paese solo negli ultimi tre mesi, e l’M23 il principale responsabile, a cui è attribuita l’esecuzione sommaria di 539 persone.
A Rutshuru, esercito ruandese e M23 hanno condotto operazioni su larga scala, in una di queste operazioni sono stati uccisi almeno 335 civili, tra cui 52 donne e 24 bambini.
“Ci ricordiamo tutti l’occupazione per undici giorni, dal 20 novembre al 1º dicembre 2012, della città di Goma.
È molto importante ricordare che il nome M23 si riferisce all’accordo politico militare firmato il 23 marzo 2009 tra lo Stato congolese e il gruppo ribelle.
Sente per quest’ultimo continuazione ed erede del gruppo Ex de Goma, costituitosi dopo l’ammutinamento nel 1999, ed è molto importante ricordare che quest’ultimo era costituito da militari ruandesi arrivati proprio dal Ruanda con l’aggressione e l’occupazione da parte della coalizione chiamata a Fdl in quella che è stata chiamata la prima guerra del Congo dal 1996 al 1997.
Purtroppo questi accordi hanno portato all’impunità totale di autori di crimini indicibili contro lo Stato e contro la popolazione, e non è difficile trovare questi criminali a capo di brigate militari delle FARC, le forze armate congolesi oppure a capo di gruppi ribelli.
E questo significa, oltre ai crimini di oggi, controllo di territori e di risorse naturali”.
Sudan
Ancora un raid delle Forze di Supporto Rapido nella città assediata di El Fasher, in Darfur.
Ancora vittime, morti – almeno sei – e feriti, in un campo che accoglie gli sfollati della guerra del Sudan.
L’attacco è avvenuto martedì mattina mentre veniva servita la colazione a migliaia di donne, anziani e bambini nella scuola Abu Bakr Al Siddiq, come riporta il Sudan Tribune.
“L’assedio di El-Fasher, l’ultima grande città controllata dall’esercito nel Darfur, da parte delle RSF, ha portato a carestia e malnutrizione di massa, con le Nazioni Unite che la definiscono ‘l’epicentro della sofferenza infantile’.
Le immagini satellitari tracciate dal Laboratorio di Ricerca Umanitaria dell’Università di Yale mostrano che le RSF stanno preparando ulteriori attacchi con droni” scrive Drop Site.
Nelle ultime settimane le RSF avrebbero compiuto notevoli progressi e nella guerra mediatica che accompagna ogni battaglia, “i combattenti d celebrano quella che descrivono come una vittoria imminente a el-Fasher” riporta la BBC.
“Assumere il controllo totale della città darebbe loro un vantaggio strategico nella guerra civile dopo le battute d’arresto di inizio anno, facilitando l’accesso alla Libia e rafforzando il controllo sul confine occidentale in un arco che si estende dal Sud Sudan a parti dell’Egitto” ha dichiarato alla testata britannica l’analista sudanese Kholood Khair.
Una guerra scoppiata nella primavera del 2023, che è oggi una delle più gravi emergenze umanitarie al mondo che non è però nata improvvisamente dal nulla, ma che affonda le sue radici in un passato di violenza e ancora una volta impunità.
Quest’anno, a marzo, sono ricorsi i vent’anni dal quando il “Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1593, conferendo alla Corte Penale Internazionale, un mandato sui crimini contro l’umanità, crimini di guerra e il genocidio commesso nel Darfur dal luglio 2002 in poi.
Le indagini della CPI hanno portato all’apertura di diversi casi” per quanto avvenuto fino al 2013.
Ma oggi, dopo due anni dall’inizio degli attuali combattimenti “il mandato della CPI rimane limitato al Darfur, nonostante gravi abusi vengano commessi in tutto il Sudan” sostiene l’organizzazione per i diritti umani Human Rigths Watch.
“Le atrocità in corso, alimentate da una dilagante impunità e da una lacuna nell’accertamento delle responsabilità in tutto il Sudan, richiedono risposte giudiziarie esaustive due decenni dopo” aggiunge Human Rights Watch.
Una buona notizia, però, per questo paese travagliato.
Le Emergency Response Rooms, la rete di assistenza comunitaria che in questi anni ha sostenuto la popolazione sudanese fornendo cibo, acqua, assistenza medica, accoglienza, riparando linee elettriche, colmando il vuoto lasciato dalle istituzioni statali, ha vinto il Right Livelihood Awards, un importante riconoscimento internazionale, che è chiamato il Nobel alternativo.
“Il loro lavoro – si legge nella motivazione – comporta grandi rischi personali: i membri sono stati arrestati, torturati e uccisi per il loro impegno nella protezione dei civili.
Eppure, il loro modello decentralizzato, basato sul volontariato, si è dimostrato resiliente, efficiente e affidabile per le comunità.
Oltre a salvare vite umane, coltivano una cultura di compassione e solidarietà che getta le basi per la futura società civile e il rinnovamento democratico del Sudan”.
“Mentre autoritarismo e divisioni aumentano a livello globale, i vincitori del premio Right Livelihood 2025 stanno tracciando una strada diversa: una strada radicata nell’azione collettiva, nella resilienza e nella democrazia per creare un futuro vivibile per tutti” ha dichiarato la fondazione a proposito dei cinque vincitori, scelti tra 159 candidati di 67 paesi, come riporta la rivista Nigrizia.
Colonialismo
Nessuno ha mai pagato per i crimini commessi dal colonialismo.
Crimini che per due secoli sono stati nascosti da “un velo di silenzio”.
Le potenze coloniali sono rimaste impunite e hanno attivamente creato “spazi di impunità… attraverso strumenti giuridici internazionali”.
Lo spiega Carsten Stahn, professore di diritto penale internazionale alle università di Leiden e di Belfast in un articolo recente sul Journal of International Criminal Justice.
“I crimini contro l’umanità hanno radici più antiche nella storia coloniale di quanto pubblicamente riconosciuto…” scrive nell’analisi che parte da una pagina tra le più buie della storia europea, dai crimini commessi nello Stato Libero del Congo di Leopoldo II, re del Belgio, contro i metis, i bambini meticci, nati da genitori europei e africani.
Oggi, una sentenza della Corte di Appello di Bruxelles, 120 anni dopo, ha riconosciuto questi crimini per ciò che sono stati, crimini contro l’umanità.
“I bambini meticci erano considerati una minaccia alle idee darwiniste sociali di superiorità bianca e l’incarnazione vivente del fallimento dell’ordine coloniale.
Lo Stato belga ordinò ai funzionari coloniali di allontanare i bambini dalle loro madri prima dei 7 anni, per affidarli a istituti statali o religiosi.
Il nome del bambino fu cambiato per nasconderne l’identità, preservare la reputazione del padre e impedire il ricongiungimento familiare.
Molti di loro furono mandati in orfanotrofi, istituti religiosi o da genitori adottivi in Belgio” scrive Stahn.
Una sentenza che è “un passo modesto ma importante verso la messa in discussione dei silenzi storici”, ma che dimostra anche “la difficoltà del diritto penale internazionale nell’affrontare la complessità degli illeciti coloniali”, si legge in questo importante contributo che spiega come “le atrocità coloniali” siano state “attivamente mimetizzate nei documenti legali e nelle disposizioni dei trattati”.
Come dopo la Prima guerra mondiale, quando i Trattati di Versailles non fecero altro che applicare la regola dei due pesi e delle due misure.
“Era molto più comodo limitare l’ambito della responsabilità penale alle violazioni commesse da paesi nemici contro Stati alleati e associati e mantenere il silenzio condiviso sulle atrocità coloniali per motivi di identità imperiale” spiega Stahn.
Foto di copertina: Elisa Mariti
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