1 dicembre 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Dicembre 1, 2025
- Israele: Netanyahu chiede al presidente la grazia nel suo processo di corruzione.
- Nigeria: Sposa, damigelle e un neonato rapiti. Il silenzio della guerra invisibile.
- Indonesia, l’isola sommersa: 442 morti e centinaia di dispersi a Sumatra.
- Honduras al voto tra sospetti di brogli e ingerenze.
- Hong Kong in lutto e sotto controllo: 146 morti nell’incendio, Pechino minaccia i dissidenti.
- Venezuela sotto pressione: Trump parla con Maduro mentre cresce la minaccia militare
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Introduzione: Le vele della dignità – Roma, il mare che si è fatto piazza
Sabato Roma non era una città. Era un porto. Un porto di voci, di bandiere, di corpi che hanno deciso di non tacere. Migliaia di persone, da ogni parte d’Italia e del mondo, sono scese in piazza per gridare libertà per la Palestina, contro l’assedio, contro l’indifferenza, contro l’oblio.
E tra quelle voci, si è ritrovata anche la Global Sumud Flotilla. Dopo mesi, dopo il mare, gli arresti, la prigionia, la separazione, ci siamo riabbracciati. Le stesse mani che hanno issato vele sotto i droni israeliani ora stringevano cartelli, tamburi, bambini. Le stesse voci che sul mare gridavano Free Gaza ora risuonavano tra i sanpietrini di Roma.
È stata una giornata di luce e memoria. Di rabbia e speranza. Di corpi che non si arrendono, che continuano a dire che il mare non si conquista, che la libertà non si bombarda, che la giustizia non si negozia.
Sabato a Roma non c’erano solo manifestanti. C’erano le famiglie di Gaza, c’erano i prigionieri palestinesi, c’erano i compagni che non sono tornati. C’era il mare, e c’era la terra.
E insieme abbiamo detto che la Flotilla non si ferma. Che finché ci sarà un bambino sotto le macerie e un ulivo sradicato, continueremo a navigare.Perché non è più una missione. È un’eredità.
E Roma, sabato, l’ha ricordato al mondo.
Israele e Palestina
■ CESSATE IL FUOCO A GAZA: Non si deve permettere a Israele di ostacolare l’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza con la motivazione che i corpi di due ostaggi non sono ancora stati recuperati, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, al canale televisivo qatariota Al-Araby Al-Jadeed.
Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha dichiarato che 356 palestinesi sono stati uccisi dall’annuncio del cessate il fuoco, avvenuto il 11 ottobre, aggiungendo che nelle ultime 24 ore sono stati registrati due nuovi decessi.
Le IDF hanno dichiarato di aver ucciso quattro militanti usciti da un complesso sotterraneo a Rafah.
■ CISGIORDANIA: Sabato, i coloni hanno attaccato diversi villaggi palestinesi, secondo quanto riportato dai palestinesi, dalle testimonianze dei residenti e dai filmati ottenuti da Haaretz .
Nel villaggio di Khallet al-Louza, vicino a Betlemme, i coloni hanno sparato e ferito una giovane donna palestinese, ha riferito la Mezzaluna Rossa Palestinese, aggiungendo che la donna è stata anche picchiata.
I filmati dell’attacco hanno mostrato che almeno tre dei coloni che hanno preso parte all’attacco portavano armi fornite dall’IDF.
“Stavamo dormendo quando, alle cinque del mattino, siamo stati attaccati da un gruppo di coloni armati di bastoni e fucili.”
A parlare è una volontaria italiana di 27 anni, una dei tre connazionali aggrediti in Cisgiordania insieme a una canadese.
I coloni, racconta, li hanno picchiati brutalmente, derubati e poi avvertiti: “Non tornate.”
L’attacco è avvenuto in “Zona A”, dove — secondo gli accordi di Oslo — non dovrebbe esserci alcuna presenza israeliana.
Un’aggressione che smentisce sul campo ogni illusione di sicurezza o legalità: la violenza dei coloni si estende ormai anche alle zone teoricamente sotto controllo palestinese.
Le IDF hanno emesso sempre più ordini dichiarando zone militari chiuse e restrizioni di movimento in Cisgiordania, impedendo agli attivisti di aiutare i palestinesi a raccogliere le olive .
■ ISRAELE: Il Primo Ministro Netanyahu, accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia in tre distinti casi penali, ha formalmente presentato una richiesta di grazia al Presidente Isaac Herzog nel suo processo per corruzione in corso .
La grazia presidenziale viene solitamente concessa solo dopo la conclusione di tutti i procedimenti legali e la condanna dell’imputato per i reati commessi.
Netanyahu ha scritto nella richiesta che, nonostante il suo “interesse personale nel portare a termine il processo e dimostrare pienamente la mia innocenza, credo che l’interesse pubblico imponga diversamente”, aggiungendo che una grazia “permetterebbe di sanare le fratture tra diverse parti della nazione” e che è “impegnato a fare tutto il possibile per sanare queste divisioni, raggiungere l’unità nazionale e ripristinare la fiducia nelle istituzioni dello Stato”.
Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha dichiarato: “Netanyahu è perseguitato da anni da un sistema giudiziario corrotto che ha inventato casi politicizzati contro di lui”.
Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha affermato che la grazia al Primo Ministro è “fondamentale per la sicurezza dello Stato”.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha affermato che il presidente non può accettare la richiesta di grazia di Netanyahu senza “un’ammissione di colpa” e che Netanyahu deve esprimere rimorso per le sue azioni e ritirarsi immediatamente dalla vita pubblica.
Yair Golan, leader del Partito Democratico, ha affermato che “solo i colpevoli chiedono la grazia” e che “l’unico accordo possibile è che Netanyahu si assuma la responsabilità, ammetta la colpa, abbandoni la politica e liberi il popolo e lo Stato”.
Einav Zangauker, madre dell’ostaggio Matan, tornato in ostaggio, ha scritto su X che la richiesta di grazia di Netanyahu è un tentativo “di sfuggire alla responsabilità e alla punizione, tutto in nome della permanenza al potere”.
Yonatan Shimriz, fratello dell’ostaggio Alon, ucciso per errore dal fuoco delle IDF a Gaza, ha affermato che “Nessuno è al di sopra della legge. Non ci sarà grazia per il 7 ottobre. Chiunque sia stato responsabile pagherà”.
La grazia chiesta da Netanyahu è un atto disperato e calcolato: cerca di trasformare la propria incriminazione in un caso nazionale, dove la sua salvezza personale diventa, ancora una volta, questione di “sicurezza d’Israele.”
Sabato sera migliaia di persone sono scese in piazza in tutto Israele per protestare contro il governo Netanyahu e chiedere la restituzione da Gaza dei corpi degli ultimi due ostaggi: Ran Gvili e il cittadino thailandese Sudthisak Rinthalak.
“Sono venuto per dare forza e abbracciare gli eroici combattenti qui”, ha detto Ben-Gvir durante la sua visita all’unità.
- Un drone d’attacco è stato intercettato nei pressi del confine tra Israele e l’Egitto, ha riferito l’IDF.
■ EUROPA: Il primo ministro irlandese Micheál Martin ha esortato il consiglio comunale di Dublino a ritirare la proposta di rinominare Herzog Park, così chiamato in onore del sesto presidente di Israele, Chaim Herzog, cresciuto in città.
In un post su X , Martin ha affermato che rimuovere il nome di Herzog dal parco è “una negazione della nostra storia”, aggiungendo che la mossa potrebbe essere vista come antisemita e “è divisiva e sbagliata”. Il consiglio dovrebbe discutere il cambio di nome oggi.
Nigeria
In Nigeria, uomini armati hanno rapito 13 donne e un neonato durante un raid notturno nel villaggio di Chacho, nello Stato di Sokoto. Tra le vittime una sposa e dieci damigelle, sequestrate durante i festeggiamenti nuziali. È il secondo attacco in poche settimane nella stessa comunità, dove in ottobre erano state rapite altre tredici persone poi liberate dietro riscatto.
Solo nell’ultimo mese, oltre 300 studenti sono stati rapiti nel nord del Paese, in un’escalation che ha costretto il presidente Tinubu a dichiarare lo stato d’emergenza.
Intanto, Donald Trump ha minacciato “azioni militari” in Nigeria, denunciando violenze anti-cristiane — accuse che gli esperti giudicano infondate e strumentali.
Il nord della Nigeria è da anni preda di bande armate che operano tra jihadismo, criminalità e povertà endemica.
Le autorità faticano a mantenere il controllo, mentre la retorica internazionale, spesso filtrata da interessi politici e religiosi, semplifica una crisi complessa fatta di abbandono, impunità e disperazione.
Sudan
Oltre 1.600 civili sudanesi sono fuggiti in un solo giorno dalla città di Kertala, nel Sud Kordofan, dopo nuovi abusi delle milizie paramilitari RSF.
Lo riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che parla di condizioni sempre più instabili e violente.
L’esercito sudanese ha riconquistato alcune aree dopo scontri con le RSF e i loro alleati dello SPLM-North, responsabili di attacchi e rapimenti per il reclutamento forzato.
Un’altra ondata di fuga in una guerra dimenticata che non conosce tregua.
Svizzera
In Svizzera, gli elettori hanno bocciato con larga maggioranza due referendum di grande rilievo.
L’84% ha respinto la proposta di sostituire la leva militare maschile con un servizio civico obbligatorio per tutti i cittadini, uomini e donne.
Un altro 78% ha detto no alla tassa sulle grandi eredità, destinata a finanziare la lotta al cambiamento climatico.
Il governo aveva avvertito che entrambe le misure avrebbero avuto costi elevati e rischi per l’economia.
Partecipazione al voto: il 43%.
Le sconfitte segnano tra i peggiori risultati referendari in 25 anni, ma i promotori promettono di riprovarci: “Le grandi idee — dicono — hanno bisogno di tempo.”
Il doppio “no” svizzero mostra un Paese prudente, che difende stabilità e ricchezza, ma fatica a immaginare un futuro più egualitario e sostenibile.
Ucraina, Russia e Usa
L’inviato speciale statunitense Steve Witkoff volerà oggi a Mosca per incontrare Vladimir Putin e discutere un piano di pace per porre fine alla guerra in Ucraina.
La missione arriva mentre le trattative tra Kiev e Mosca sembrano avanzare e la Casa Bianca promuove una proposta per chiudere un conflitto che dura da quasi quattro anni.
Witkoff — già mediatore nella tregua tra Israele e Hamas — ha incontrato in Florida i negoziatori ucraini insieme al segretario di Stato Marco Rubio e a Jared Kushner.
Rubio ha definito i colloqui “molto produttivi”, sottolineando che l’obiettivo non è solo fermare la guerra, ma garantire un’Ucraina sovrana, indipendente e capace di prosperare.
Il viaggio di Witkoff segna un cambio di passo nella diplomazia americana: dopo mesi di logoramento, Washington cerca un equilibrio tra la volontà di pace e la necessità di non consegnare la vittoria politica a Mosca.
Stati Uniti
A bordo dell’Air Force One, Donald Trump ha nuovamente insultato una giornalista donna dopo essere stato incalzato sulla pubblicazione dei risultati di una risonanza magnetica annunciata a inizio mese.
Alla domanda su quale parte del corpo fosse stata esaminata, il presidente ha risposto: “Non lo so, era solo una risonanza. Non era il cervello: ho già fatto un test cognitivo e l’ho superato con il massimo dei voti, cosa che lei sarebbe incapace di fare”.
L’episodio segue una serie di attacchi verbali contro reporter donne, da CBS al New York Times, che Trump ha definito “stupide” o “brutte dentro e fuori”.
Intanto, crescono le richieste di trasparenza sul suo stato di salute, dopo le parole del governatore Tim Walz che lo ha definito “fisicamente e mentalmente in declino.”
Tra insulti sessisti e ostentazioni di forza, Trump continua a trasformare la comunicazione presidenziale in una prova di potere, dove ogni domanda è una minaccia e ogni donna che la pone diventa un bersaglio.
Venezuela
Donald Trump ha confermato di aver parlato telefonicamente con il presidente venezuelano Nicolás Maduro, mentre le tensioni tra Washington e Caracas raggiungono un nuovo picco.
Gli Stati Uniti hanno ammassato forze militari nei Caraibi, dichiarato “terrorista” un presunto cartello della droga guidato da Maduro e offerto al leader venezuelano un’amnistia in cambio dell’esilio.
Maduro accusa invece Washington di preparare un’aggressione per impadronirsi delle riserve petrolifere del Paese e ha chiesto l’intervento dell’OPEC.
Da settembre, raid statunitensi contro presunti trafficanti hanno causato almeno 83 morti.
Il Venezuela parla di omicidi extragiudiziali, mentre Trump nega di aver ordinato un “secondo attacco”.
Intanto, le navi americane si avvicinano sempre più alle coste venezuelane.
Dietro la guerra alla droga, si nasconde la solita battaglia per il potere e il petrolio. Il dialogo Trump-Maduro sembra più una partita a scacchi che un passo verso la pace.
Honduras
In Honduras si vota per eleggere il nuovo presidente in un clima teso e polarizzato, segnato da accuse reciproche di frode e da una crescente sfiducia nelle istituzioni.
Tre candidati sono in testa, praticamente alla pari: la ministra della Difesa Rixi Moncada, il conservatore Nasry Asfura, sostenuto apertamente da Donald Trump, e il centrista Salvador Nasralla.
L’Organizzazione degli Stati Americani ha espresso preoccupazione per possibili intimidazioni e irregolarità, mentre Washington ha avvertito che reagirà “in modo rapido e deciso” contro chi minaccerà la democrazia.
La tensione è alta anche per l’uso di registrazioni false, forse create con l’intelligenza artificiale, e per la richiesta illegale dei militari di accedere ai verbali elettorali.
Oltre sei milioni di honduregni hanno deciso se proseguire con la linea progressista di Xiomara Castro o tornare a un’agenda conservatrice.
L’Honduras resta intrappolato tra corruzione, povertà e fragili istituzioni. Mentre Trump spinge per un ritorno a destra, il Paese rischia che la sua fragile democrazia diventi ancora una volta terreno di scontro tra potenze esterne e vecchie élite interne.
Indonesia, Malesia, Thailandia
Oltre seicento persone sono morte a causa delle inondazioni e frane che hanno devastato Indonesia, Thailandia e Malesia, dopo una rara tempesta tropicale formatasi nello stretto di Malacca.
Le vittime sono 441 in Indonesia, 170 in Thailandia e 3 in Malesia. Oltre quattro milioni di persone sono state colpite, con centinaia di migliaia di sfollati.
Intere comunità restano isolate: in Sumatra i soccorsi arrivano solo in elicottero e si registrano episodi di saccheggio tra chi ha perso tutto.
In Thailandia, la città di Hat Yai ha registrato la pioggia più intensa degli ultimi 300 anni, mentre la Malesia conta quasi 19mila sfollati.
A completare il dramma, un ciclone separato ha ucciso 153 persone nello Sri Lanka.
Il sud-est asiatico affronta una catastrofe climatica senza precedenti: piogge, frane e tempeste sempre più violente rivelano un equilibrio naturale ormai spezzato. La crisi climatica non è il futuro: è il presente che affoga.
Filippine
Migliaia di persone, tra cui membri del clero cattolico, hanno manifestato nelle Filippine chiedendo la punizione dei politici coinvolti in un enorme scandalo di corruzione legato a progetti di drenaggio inesistenti o difettosi.
Il presidente Ferdinand Marcos Jr. è sotto pressione dopo che il caso ha scatenato l’indignazione pubblica in un Paese dove due presidenti sono già stati rovesciati per accuse simili.
Le proteste, sorvegliate da oltre 17mila agenti, hanno paralizzato Manila. La Chiesa ha guidato i cortei denunciando “peccati contro Dio e contro il popolo”.
Marcos ha promesso arresti entro Natale, ma i manifestanti chiedono che tutti i colpevoli — politici e imprenditori — finiscano in carcere.
Lo scandalo sui fondi pubblici per le opere idrauliche è il banco di prova della promessa riformista di Marcos. Ma in un Paese segnato da cicliche rivolte popolari, la corruzione resta la piaga che erode la democrazia dalle fondamenta.
Hong Kong
A Hong Kong migliaia di persone hanno reso omaggio alle 146 vittime del più grave incendio degli ultimi 75 anni, mentre Pechino ha avvertito che punirà chiunque usi la tragedia per proteste “anti-Cina”.
Il rogo, divampato in un complesso residenziale in ristrutturazione, ha distrutto sette grattacieli, con decine di dispersi e centinaia di sfollati.
Le indagini parlano di allarmi antincendio guasti e materiali non a norma, e già undici persone sono state arrestate per corruzione e negligenza.
Online, petizioni per un’inchiesta indipendente sono state oscurate e alcuni attivisti fermati.
Il dolore dei familiari si mescola alla rabbia per un disastro evitabile, trasformato da Pechino in questione di ordine politico.
L’incendio di Hong Kong non è solo una tragedia urbana: è il simbolo di un sistema che soffoca la trasparenza. Mentre il fuoco divora le torri, la paura di parlare continua a bruciare la città.
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