26 novembre 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Stefania Cingia in data Novembre 26, 2025
ASCOLTA IL PODCAST
- Gaza, la pioggia allaga le tende degli sfollati. L’Onu parla di collasso senza precedenti. La papamobile di Papa Francesco diventa una clinica mobile per i bambini di Gaza
- USA e Russia trattano sul piano di pace in Ucraina, che passa da 28 a 19 punti
- Brasile, Bolsonaro inizia la pena: 27 anni di carcere per il tentato colpo di Stato
- Stati Uniti, il gruppo venezuelano Cartel de los Soles designato come organizzazione terroristica. Anche alcune sezioni della Fratellanza Musulmana in Libano, Egitto e Giordania verso la stessa classificazione
- Sudan, nuovi scontri mentre gli Stati Uniti spingono per una tregua umanitaria
- Etiopia, l’eruzione vicino all’Erta Ale provoca disagi ai voli, ma avrà un impatto minimo sul clima globale
- Cina, avvertimento a Stati Uniti e Giappone sulla questione Taiwan
- Taiwan, il presidente annuncia 40 miliardi di dollari in più per la difesa
- Pakistan scivola verso l’autocrazia
Questo e molto altro nel Notiziario Mondo – a cura di Stefania Cingia
GAZA
Le piogge allagano le tende degli sfollati mentre si avvicina l’inverno
Piogge torrenziali hanno colpito la Striscia di Gaza, allagando migliaia di tende in cui vivono i palestinesi rimasti senza casa, proprio mentre si avvicinano i mesi più duri dell’inverno.
La stragrande maggioranza dei due milioni di abitanti di Gaza è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni durante i due anni di guerra tra Israele e Hamas, iniziata dopo gli attacchi dell’ottobre 2023. Oggi moltissime famiglie vivono in tende improvvisate e rifugi di fortuna.
Nonostante il cessate il fuoco regga in gran parte da metà ottobre, interi quartieri e le infrastrutture di base sono stati distrutti, lasciando la popolazione in condizioni di vita drammatiche.
“Questa sofferenza, questa pioggia… e il peggio dell’inverno deve ancora arrivare. Siamo già allagati e umiliati”, ha raccontato Um Ahmed Aowdah davanti alla sua tenda a Gaza City. “Non riceviamo tende nuove né teloni. I nostri sono vecchi di due anni, completamente logori”.
Secondo la Rete delle ONG palestinesi, servono almeno 300 mila nuove tende per dare riparo agli 1,5 milioni di sfollati che non possono rientrare nelle loro case.
La Protezione Civile palestinese riferisce che, nell’ultima settimana, migliaia di tende sono state sommerse dall’acqua o distrutte dalle piogge. In alcune zone l’acqua ha raggiunto 40-50 centimetri di altezza, e perfino un ospedale da campo ha dovuto sospendere le attività.
Le Nazioni Unite affermano di lavorare per far entrare a Gaza forniture invernali, ma denunciano che il numero dei camion è limitato dalle restrizioni imposte da Israele.
Le autorità di Gaza accusano Israele di non far entrare gli aiuti promessi con l’accordo di tregua. Le agenzie umanitarie parlano di blocco su molti beni essenziali. Israele respinge le accuse e sostiene che il problema sia nella distribuzione inefficiente degli aiuti e nel rischio di furti da parte di Hamas, che a sua volta nega.
ONU: “La sopravvivenza di Gaza è a rischio”
Le Nazioni Unite lanciano un nuovo allarme su Gaza: la distruzione causata dalla guerra ha ormai devastato l’economia e minaccia la sopravvivenza stessa della popolazione palestinese. Secondo un rapporto dell’agenzia ONU per il commercio e lo sviluppo, la ricostruzione della Striscia costerebbe oltre 70 miliardi di dollari e richiederebbe decenni.
L’ONU parla di un collasso senza precedenti, con sistemi vitali – cibo, case, sanità ed energia – ridotti al minimo. “Gaza è stata spinta in un abisso creato dall’uomo”, si legge nel rapporto.
Intanto, il cessate il fuoco continua a essere violato. Martedì mattina un palestinese è stato ucciso da un attacco israeliano vicino a Khan Younis. Secondo le autorità di Gaza, in sei settimane di tregua ci sarebbero state quasi 500 violazioni, con 339 morti e oltre 870 feriti.
Israele ha annunciato di aver ricevuto nuovi resti umani consegnati dai miliziani palestinesi alla Croce Rossa nella Striscia di Gaza. Le autorità israeliane precisano che non è ancora stato confermato se si tratti di uno dei tre ostaggi ancora dispersi.
I resti sono stati trasferiti a Tel Aviv per le analisi forensi. A consegnarli sarebbe stata la Jihad Islamica Palestinese, che afferma di averli ritrovati nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia.
Dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, lo scorso 10 ottobre, i gruppi armati hanno restituito 25 corpi di ostaggi. In cambio, Israele ha consegnato a Gaza 330 salme di palestinesi, la maggior parte delle quali resta ancora non identificata. Gli ultimi ostaggi ancora non rientrati sarebbero due israeliani e un cittadino thailandese.
Hamas denuncia difficoltà nel recupero dei corpi, molti dei quali sarebbero sepolti sotto le macerie dei bombardamenti. Il governo di Netanyahu accusa invece i miliziani di ritardare volontariamente le restituzioni, parlando apertamente di violazione del cessate il fuoco.
L’ONU intanto ribadisce che senza un vero rispetto del cessate il fuoco e senza un intervento internazionale immediato, la crisi umanitaria è destinata ad aggravarsi ulteriormente.
La papamobile di Papa Francesco diventa una clinica mobile per i bambini di Gaza
La papamobile di Papa Francesco sarà trasformata in una clinica mobile destinata ai bambini feriti di Gaza. Il veicolo, utilizzato dal Pontefice durante la sua visita a Betlemme nel 2014, sarà convertito in un’unità sanitaria itinerante con strumenti per diagnosi, cure, test rapidi per le infezioni, iniezioni e materiale medico di base.
L’annuncio è arrivato da padre Ibrahim Faltas, consigliere della Custodia francescana di Terra Santa, durante una cerimonia a Betlemme. “Questo è il Veicolo della Speranza – ha detto – e speriamo possa raggiungere presto Gaza per servire i suoi bambini e le loro famiglie”.
Secondo Faltas, Papa Francesco ha sempre mostrato una profonda attenzione per la Terra Santa e un affetto particolare per Gaza. Nonostante la malattia, spiegano i frati, il Pontefice continuava a contattare quotidianamente la parrocchia di Gaza per informarsi sulle condizioni della popolazione.
Prima della sua morte, il 21 aprile scorso, Papa Francesco aveva chiesto ufficialmente a Caritas di destinare una delle sue papamobili alle cure mediche per i bambini palestinesi. A bordo viaggeranno un medico e un autista, con attrezzature per visite e primi trattamenti.
Il momento dell’ingresso della clinica mobile a Gaza non è ancora stato ufficializzato, ma le autorità religiose sperano che avvenga al più presto.
UCRAINA
Stati Uniti e Russia hanno tenuto nuovi colloqui per affinare un piano di pace sulla guerra in Ucraina, mentre Washington aumenta la pressione su entrambe le parti per trovare un accordo che ponga fine al conflitto più sanguinoso in Europa dalla Seconda guerra mondiale.
Secondo un portavoce dell’esercito americano, il segretario dell’Esercito Dan Driscoll ha incontrato una delegazione russa ad Abu Dhabi ieri, 25 novembre, con l’obiettivo di ridurre le divergenze su una proposta negoziata dalla Casa Bianca dopo le precedenti discussioni tra Stati Uniti e Ucraina a Ginevra.
Intanto Kiev è stata nuovamente colpita da raid russi: almeno sei morti e oltre tredici feriti negli attacchi di martedì.
Il portavoce del Pentagono ha parlato di colloqui “positivi” e ha sottolineato che Driscoll è in costante coordinamento con la Casa Bianca mentre le discussioni avanzano.
La prima bozza del piano americano, composta da 28 punti, era stata giudicata da molti osservatori e funzionari ucraini troppo favorevole a Mosca. Nel weekend, una delegazione di Kiev ha incontrato a Ginevra il segretario di Stato Marco Rubio e altri rappresentanti statunitensi e la bozza è stata ridotta a 19 punti. Restano aperte alcune delle questioni più sensibili, fra cui le garanzie di sicurezza richieste da Kiev.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dopo un colloquio con il premier britannico Keir Starmer, ha confermato segnali di apertura:
“Vediamo molte prospettive che possono rendere reale il percorso verso la pace. Ci sono risultati solidi, ma molto lavoro ci aspetta.”
Rustem Umerov, ex ministro della Difesa e ora segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha annunciato che “i punti più importanti del piano di pace sono stati concordati” e che le delegazioni hanno raggiunto una “comprensione comune”. Kiev ora conta sul sostegno dei partner europei nei prossimi passaggi.
Si lavora anche per organizzare una visita di Zelensky a Washington entro fine novembre, per definire gli ultimi dettagli dell’intesa con il presidente Donald Trump.
Il premier britannico Starmer ha ricordato che la “Coalizione dei Volenterosi”, che riunisce oltre 20 Paesi sostenitori dell’Ucraina, si riunirà oggi per discutere la proposta, ma ha avvertito: “La strada è ancora lunga e difficile”.
Da Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato di non avere commenti sui colloqui, ma ha definito il piano statunitense “una possibile buona base per negoziare”.
Physicians for Human Rights (PHR): il piano di pace non può garantire impunità ai crimini di guerra
Physicians for Human Rights (PHR) avverte che il piano di pace proposto dagli Stati Uniti per porre fine alla guerra in Ucraina non deve includere amnistie per i responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
“Le violazioni diffuse della Russia, come gli oltre 2.000 attacchi a ospedali e operatori sanitari, devono incontrare responsabilità, non impunità”, afferma Uliana Poltavets, coordinatrice del programma PHR in Ucraina.
PHR sottolinea che le amnistie per gravi crimini minano la pace duratura e tradiscono vittime e sopravvissuti, impedendo loro accesso a giustizia, risarcimenti e riconoscimento. Le violenze documentate includono torture, violenze sessuali e attacchi sistematici a infrastrutture civili ed energetiche, che potrebbero configurare crimini di guerra o contro l’umanità.
“La giustizia non può essere negoziata. Una pace sostenibile richiede processi equi per i responsabili e il rispetto dei diritti dei sopravvissuti”, conclude Poltavets.
BRASILE
L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha iniziato a scontare una condanna a 27 anni di carcere per il suo ruolo nel tentativo di golpe dopo le elezioni del 2022. La decisione è stata confermata dal giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes, che ha disposto la custodia dopo l’arresto preventivo avvenuto sabato.
Bolsonaro, già agli arresti domiciliari da agosto, è stato fermato dopo aver tentato di manomettere il braccialetto elettronico. La difesa ha esaurito, secondo la Corte, tutte le possibilità di ricorso.
L’ex presidente è stato riconosciuto colpevole di organizzazione criminale armata, tentata abolizione violenta dello Stato democratico e coinvolgimento in un piano che prevedeva anche l’eliminazione fisica del presidente Lula, del vicepresidente e dello stesso de Moraes.
Fuori dalla sede della polizia federale si sono radunati sia sostenitori in protesta sia oppositori che hanno festeggiato la carcerazione. Condannati anche diversi ex ministri e alti ufficiali militari coinvolti nel complotto.
Alleato politico di Donald Trump, Bolsonaro resta in ogni caso una figura centrale della politica brasiliana, pur essendo ineleggibile almeno fino al 2033.
STATI UNITI
Venezuela, il Cartel de Los Soles classificato come organizzazione terroristica
Gli Stati Uniti aumentano la pressione sul presidente venezuelano Nicolás Maduro. L’amministrazione Trump ha infatti inserito il cosiddetto Cartel de los Soles nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere. Lo rende noto il Federal Register, il registro ufficiale del governo USA.
Secondo Washington, il Cartel de los Soles — che gli Stati Uniti sostengono sia guidato proprio da Maduro — sarebbe coinvolto in traffici di droga e atti di violenza con finalità terroristiche nell’emisfero occidentale.
Ma gli esperti ricordano che non si tratta di un vero cartello strutturato: il termine nacque negli anni ’90 per indicare ufficiali militari venezuelani arricchitisi con il narcotraffico, e nel tempo si è allargato a funzionari, polizia e attività illegali come il contrabbando di carburante e l’estrazione mineraria.
Il governo Maduro respinge con forza l’accusa, definendola “una ridicola fabbricazione” destinata a giustificare un possibile “intervento illegale” degli Stati Uniti.
La decisione arriva mentre il presidente Trump valuta l’ipotesi — mai esclusa del tutto — di un’azione militare contro Caracas. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno rafforzato la presenza militare nel Mar dei Caraibi e colpito imbarcazioni sospettate di narcotraffico, operazioni che secondo Washington mirano a impedire l’arrivo di droga nelle città americane.
Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha dichiarato che la designazione aprirà “molte nuove opzioni” per affrontare Maduro, senza però specificare quali né chiarire se siano allo studio attacchi su territorio venezuelano. “Nulla è escluso, ma nulla è garantito”, ha detto.
Alcune sezioni della Fratellanza Musulmana verso la classificazione come organizzazione terroristica
Gli Stati Uniti avviano il processo per classificare come organizzazioni terroristiche le sezioni della Fratellanza Musulmana in Giordania, Egitto e Libano. Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che apre formalmente la procedura.
Secondo Washington, queste sezioni “facilitano violenza e campagne di destabilizzazione” che minacciano le regioni in cui operano e gli interessi americani. La designazione consentirebbe di congelare beni, vietare l’ingresso ai membri e colpire i finanziamenti transnazionali del movimento.
Il Segretario di Stato Marco Rubio e il Segretario al Tesoro Scott Bessent dovranno completare la procedura, confermando la classificazione. La Casa Bianca sottolinea che l’obiettivo è “eliminare le capacità operative” dei capitoli designati e proteggere cittadini e sicurezza nazionale.
La Fratellanza Musulmana è già vietata in diversi Paesi, tra cui Egitto, Arabia Saudita e Giordania. Il documento statunitense segnala presunti legami con l’ala militare di Hamas e con il lancio di razzi dal Libano contro Israele.
Israele ha accolto positivamente la decisione, mentre esperti avvertono che la procedura completa richiederà tempo e che, in futuro, gli USA potrebbero estendere la designazione anche ad altri rami del movimento.
SUDAN
Nuove battaglie in Sudan mentre Washington intensifica la pressione per una tregua. L’esercito sudanese ha annunciato di aver respinto un attacco delle Forze di Supporto Rapido, le RSF, nella città strategica di Babanusa, nel Kordofan occidentale.
Il conflitto tra esercito e paramilitari dura dall’aprile 2023 e ha già provocato decine di migliaia di morti e quasi 12 milioni di sfollati, una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.
Da Abu Dhabi, l’inviato statunitense per l’Africa Massad Boulos ha chiesto a entrambe le parti di accettare senza condizioni una tregua umanitaria di tre mesi, proposta dal cosiddetto “Quad”: Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto. Finora però nessuna delle due fazioni ha aderito.
Le dichiarazioni arrivano poche ore dopo l’annuncio del leader delle RSF, Mohamed Hamdan Daglo, di una tregua unilaterale. Annuncio che, secondo l’esercito, non ha impedito però un nuovo attacco militare.
La situazione resta drammatica soprattutto nella regione del Darfur, dove a fine ottobre le RSF hanno conquistato El-Fasher, ultima roccaforte dell’esercito nell’ovest del Paese. Amnesty International accusa i paramilitari di crimini di guerra, mentre gli Emirati vengono indicati come possibili facilitatori, accusa che Abu Dhabi respinge.
Sul fronte diplomatico, il presidente americano Donald Trump ha dichiarato di voler intervenire per favorire la fine della guerra. Ma dopo oltre due anni di conflitto, tutti i tentativi di cessate il fuoco sono finora falliti.
ETIOPIA
In Etiopia, nella regione di Afar, l’improvvisa eruzione del vulcano Hayli Gubbi — inattivo da almeno diecimila anni — continua a creare disagi al traffico aereo internazionale, ma secondo gli esperti non avrà effetti significativi sul clima globale.
Il vulcano si trova a sud della catena dell’Erta Ale, uno dei complessi vulcanici più attivi e spettacolari dell’Africa orientale, noto per i suoi rarissimi laghi di lava permanenti.
Il climatologo Alexey Kokorin, della fondazione “Nature and People”, spiega che la nube di cenere, salita fino a 14 chilometri, non ha raggiunto la stratosfera, condizione necessaria per influenzare il clima.
L’impatto previsto è minimo: un possibile calo di appena 0,05 gradi durante l’inverno 2025–2026.
Se un’eruzione simile fosse avvenuta in regioni come la Kamčatka o l’Islanda, la cenere avrebbe raggiunto la stratosfera con effetti climatici più rilevanti.
La nube di cenere, partita il 23 novembre, si è spostata dal Mar Rosso verso Oman e Yemen ed è arrivata fino al nord dell’India, costringendo alla cancellazione e alla deviazione di numerosi voli, compresi quelli da e per gli Emirati Arabi Uniti. Le autorità indiane hanno chiesto alle compagnie di evitare lo spazio aereo interessato.
Intanto, in Etiopia, l’esplosione è stata avvertita fino a Djibouti, Tigray e Wollo. Una densa colonna di cenere ha oscurato i villaggi vicini, gettandoli nella semioscurità.
Secondo il centro di monitoraggio vulcanico di Tolosa, la colonna ha raggiunto i 45 mila piedi, circa 13,7 chilometri, prima che l’attività eruttiva si fermasse.
Un giovane pastore ha raccontato che da tre giorni si vedevano leggere fumarole provenire dalla zona, descritta dai residenti come una “nuova montagna” finora inattiva.
Il nome “Erta Ale” significa “montagna fumante” nella lingua afar. La bocca meridionale del vulcano, così impressionante da essersi guadagnata un soprannome inquietante, è chiamata “la porta dell’Inferno”.
Nel 2009 una squadra della BBC ha mappato l’area con tecniche laser tridimensionali, mantenendo una distanza di sicurezza per evitare l’estremo calore dei laghi di lava.
Dal punto di vista geologico, Erta Ale si trova esattamente sopra il Rift dell’Africa orientale, una zona di separazione delle placche tettoniche che sta lentamente aprendo una nuova spaccatura continentale. Qui il materiale magmatico risale facilmente in superficie, alimentando l’attività vulcanica.
Negli ultimi vent’anni Erta Ale ha dato diversi segnali della sua instabilità: una forte eruzione nel 2005 ha ucciso 250 capi di bestiame e costretto migliaia di residenti a evacuare; altre flussi di lava ed eruzioni si sono registrati nel novembre 2008 e a gennaio 2017
Ora l’eruzione di Hayli Gubbi aggiunge un nuovo capitolo alla complessa e affascinante attività vulcanica della regione di Afar, una delle più dinamiche della Terra.
CINA
Pechino lancia un chiaro segnale diplomatico a Washington e Tokyo nel pieno delle tensioni su Taiwan. In un gesto raro, il presidente cinese Xi Jinping ha telefonato al presidente Donald Trump, affrontando due temi chiave: Taiwan e la guerra in Ucraina.
Secondo l’agenzia Xinhua, Xi ha ribadito che il “ritorno di Taiwan alla Cina” è un elemento fondamentale dell’ordine internazionale del dopoguerra. Ha anche richiamato la cooperazione tra Cina e Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, affermando che oggi le due potenze dovrebbero “preservare insieme” i risultati di quel conflitto.
La telefonata è stata interpretata come un segnale di svolta, dato che Pechino di solito non prende l’iniziativa di contattare direttamente la Casa Bianca a meno che non voglia sottolineare una priorità strategica.
E Taiwan è diventata la priorità dell’ultimo mese, con un aumento dell’attività militare cinese attorno all’isola e toni sempre più duri da parte dei funzionari di Pechino.
A complicare il quadro, una nuova disputa diplomatica con il Giappone. La tensione è esplosa dopo che la premier giapponese Sanae Takaichi ha dichiarato in Parlamento che un eventuale attacco cinese a Taiwan potrebbe richiedere una risposta militare del Giappone.
La reazione cinese è stata immediata: il ministro degli Esteri Wang Yi ha definito le parole della premier “scioccanti”, accusandola di “inviare un segnale sbagliato” e di voler interferire militarmente in una questione che la Cina considera interna. Pechino sostiene che tali dichiarazioni minano le fondamenta delle relazioni bilaterali.
La Cina ha portato la controversia anche alle Nazioni Unite, informando il segretario generale António Guterres e ribadendo che difenderà la propria posizione. La frattura comincia già a riflettersi su scambi commerciali e cooperazione culturale, con entrambi i Paesi che segnalano un deterioramento dei rapporti.
Il messaggio di Pechino è chiaro: Taiwan è un dossier centrale, considerato parte integrante dell’ordine internazionale post-1945, e qualsiasi ingerenza — americana o giapponese — sarà vista come una minaccia diretta ai suoi interessi strategici.
TAIWAN
Taiwan si prepara a un forte aumento della spesa militare. Il presidente Lai Ching-te ha annunciato che proporrà un budget straordinario da 40 miliardi di dollari per la difesa, con nuovi e significativi acquisti di armamenti dagli Stati Uniti.
Lo ha scritto in un editoriale sul Washington Post, sottolineando che il piano servirà a rafforzare la capacità di deterrenza dell’isola di fronte alle crescenti pressioni militari e politiche della Cina, che considera Taiwan parte del proprio territorio.
Il pacchetto, ha spiegato Lai, non servirà solo a comprare nuove armi, ma anche a potenziare le capacità difensive asimmetriche, cioè quelle pensate per rendere più costosa e incerta un’eventuale azione militare di Pechino.
Per il 2026, il governo di Taipei prevede una spesa per la difesa di oltre 30 miliardi di dollari, pari al 3,32 per cento del PIL, superando per la prima volta dal 2009 la soglia del 3 per cento. L’obiettivo dichiarato è arrivare al 5 per cento del PIL entro il 2030.
Gli Stati Uniti, pur senza relazioni diplomatiche formali con Taiwan, sono obbligati per legge a fornirle mezzi di difesa. Dall’inizio del nuovo mandato di Donald Trump, Washington ha approvato finora una sola nuova vendita di armi: un pacchetto da 330 milioni di dollari per pezzi di ricambio di aerei militari.
Nel suo intervento, Lai ha ringraziato Trump per la linea della “pace attraverso la forza” e ha ribadito la disponibilità al dialogo con la Cina, chiarendo però che democrazia e libertà non sono negoziabili.
PAKISTAN
Il Pakistan compie un passo decisivo verso il governo militare: l’Assemblea Nazionale ha approvato un emendamento costituzionale che garantisce al Capo di Stato Maggiore, il Field Marshal Asim Munir, immunità a vita da qualsiasi reato. Esperti parlano di un “colpo di Stato costituzionale”.
Munir, ex capo dei servizi segreti e ora cinque stelle dell’esercito, consolida così il suo potere dopo l’arresto dell’ex premier Imran Khan e la marginalizzazione del suo partito, che pur vincendo le elezioni del 2024 è stato ridotto a minoranza.
Il Paese affronta sfide economiche gravi, con stagnazione da cinquant’anni e 6,5 miliardi di dollari di prestiti dall’FMI. Sul fronte esterno, Munir deve gestire le tensioni con i Talebani in Afghanistan e l’alleanza strategica con Washington, a scapito del tradizionale legame con Pechino.
Con l’opposizione frammentata e la repressione di media e dissidenti, la leadership militare controlla ormai gran parte della politica e della società.
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