28 luglio 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Luglio 28, 2025
- Gaza: Israele avvia “pause umanitarie”, ma si continua ad uccidere. Intercettata l’Handala in acque internazionali, 21 attivisti e giornalisti detenuti da Israele.
- Siria: elezioni parlamentari a settembre.
- Cambogia-Thailandia: oltre 168.000 sfollati, morti civili e diplomazia in stallo.
- Congo: strage in una chiesa cattolica, almeno 35 morti nell’attacco degli ADF.
- USA-UE: accordo sul commercio per evitare la guerra dei dazi
Introduzione al notiziario: Nel regno dei predatori
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha dichiarato che 88 palestinesi sono stati uccisi e 374 feriti, di cui 11 uccisi e almeno 36 feriti in attesa di aiuti umanitari e nonostante la cosiddetta pausa tattica.
Secondo il Ministero, 59.821 persone sono state uccise a Gaza dall’inizio dei bombardamenti.
Le autorità locali di Gaza hanno dichiarato ieri che solo 73 camion di aiuti umanitari sono entrati nell’enclave assediata nelle ultime 24 ore,
Sono stati effettuati tre lanci aerei su Gaza, ma che il carico utile totale era equivalente a quello di soli due camion di aiuti umanitari.
I rifornimenti sono atterrati in “zone rosse”, ovvero aree di combattimento attive segnalate sulle mappe israeliane, dove i civili non possono recuperare i rifornimenti in sicurezza
Le IDF hanno dichiarato che, a partire da domenica, saranno implementate “pause umanitarie” giornaliere di 10 ore in tre aree di Gaza – a Muwasi, Deir al-Balah e Gaza City – dalle 10:00 alle 20:00, in coordinamento con le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie internazionali, dove l’esercito non opererà.
Questo è dovuto alle istruzioni della leadership politica israeliana, volte a “migliorare la risposta umanitaria a Gaza e a confutare la falsa accusa di fame deliberata”, ha affermato l’IDF.
Dopo l’annuncio, il Primo Ministro Netanyahu ha affermato che le pause sono necessarie per raggiungere gli obiettivi della guerra, e ha affermato che le Nazioni Unite “dichiarano che ‘non permettiamo l’ingresso di rifornimenti umanitari’.
Sono ammessi. Ci sono convogli sicuri. Ci sono sempre stati, ma oggi è ufficiale. Non ci saranno più scuse. Continueremo a combattere… fino alla vittoria totale”.
Il Programma Alimentare Mondiale ha dichiarato su X che spera che le pause consentiranno un aumento degli aiuti alimentari urgenti per la regione, aggiungendo che ha abbastanza cibo in arrivo per sfamare l’intera popolazione di Gaza di 2,1 milioni di persone per quasi tre mesi .
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha scritto su X di aver parlato al telefono con Netanyahu e lo ha esortato a consentire che gli aiuti umanitari raggiungano “la popolazione civile affamata di Gaza senza indugio ” e a fare tutto il possibile per garantire un cessate il fuoco immediato.
Merz ha aggiunto che la Germania, insieme ad altri paesi europei, agli stati arabi e agli Stati Uniti, monitorerà gli sviluppi nella Striscia e deciderà nei prossimi giorni “come possiamo contribuire a migliorare la situazione”.
Camion di aiuti umanitari hanno iniziato a muoversi dall’Egitto verso Gaza , ha riferito l’emittente televisiva Al Qahera News, affiliata allo stato egiziano. Più tardi, domenica, un funzionario giordano ha riferito a Reuters che la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti hanno paracadutato 25 tonnellate di aiuti umanitari a Gaza.
Gli Emirati Arabi Uniti inizieranno la costruzione di un oleodotto che trasporterà l’acqua dall’Egitto a Gaza nei prossimi giorni, ha dichiarato l’IDF , aggiungendo che i progetti sono stati autorizzati dalla leadership politica israeliana diverse settimane fa.
L’acqua, che dovrebbe servire circa 600.000 residenti, fluirà da un impianto di desalinizzazione in Egitto fino all’area di al-Muwasi, vicino alla costa nel sud di Gaza, si legge nella dichiarazione.
Anthony Aguilar, un ufficiale in pensione delle forze speciali statunitensi che ha lavorato con la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta dagli Stati Uniti, ha dichiarato alla BBC di aver visto personale israeliano e americano aprire il fuoco su palestinesi disarmati in un sito di aiuti umanitari a Gaza .
“Ho visto le forze israeliane sparare con un colpo del carro armato Merkava contro una folla di persone, distruggendo un’auto carica di civili che si stava semplicemente allontanando dal sito”, ha detto, aggiungendo: “In tutta la mia carriera, non ho mai assistito a un tale livello di brutalità e all’uso indiscriminato e inutile della forza contro una popolazione civile. Una popolazione disarmata e affamata”.
■ ISRAELE: Tre soldati israeliani in servizio attivo che si sono rifiutati di combattere a Gaza sono stati inviati in un carcere militare e congedati dal servizio di combattimento, ha dichiarato l’IDF.
I tre sono stati condannati al carcere dopo un incontro con un medico di salute mentale che li ha dichiarati idonei a partecipare al combattimento, ma tutti e tre hanno ribadito il loro rifiuto di entrare nella Striscia.
Membri di spicco dell’Alto Comitato di Monitoraggio Arabo di Israele hanno iniziato uno sciopero della fame di tre giorni per protestare contro quella che descrivono come una “guerra di distruzione, fame e sfollamento contro gli abitanti di Gaza”.
Lo sciopero, che si svolge presso la sede dell’Associazione Araba di Jaffa, include dirigenti di autorità locali arabe, personalità pubbliche e accademici.
GERMANIA: Almeno 57 persone sono state arrestate ieri a Berlino durante una manifestazione filopalestinese tenuta a margine del Pride: lo ha reso noto la polizia, aggiungendo che 17 agenti sono rimasti feriti negli scontri con i manifestanti.
SUDAFRICA: Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha espresso domenica profonda preoccupazione per la situazione dei palestinesi nella Striscia di Gaza, affermando che sono “particolarmente inorriditi dalla deliberata carestia” dello “stato di apartheid di Israele”.
“Condanniamo con la massima fermezza i crimini contro l’umanità e il genocidio commessi dallo Stato di apartheid di Israele contro il popolo della Palestina”, ha dichiarato al vertice dei movimenti di liberazione nella provincia di Gauteng.
Freedom Flotilla
L’esercito israeliano ha intercettato la nave Handala, diretta a Gaza con aiuti umanitari, fermandola in acque internazionali a circa 40 miglia nautiche dalla costa, secondo quanto riferisce la Freedom Flotilla Coalition.
A bordo si trovavano 21 attivisti e giornalisti internazionali provenienti da dieci Paesi, tra cui due italiani e sette cittadini statunitensi, compresi un avvocato per i diritti umani, un veterano ebreo e un’attivista ebreo-americana.
Israele ha sequestrato l’intero carico, composto da generi alimentari, medicinali e latte in polvere, destinati alla popolazione civile di Gaza, dove la fame e il collasso sanitario aggravano una crisi umanitaria sempre più estrema.
L’esercito non ha rilasciato commenti, mentre il ministero degli Esteri israeliano ha confermato su X che la nave è stata “condotta a riva”.
Si tratta del secondo sequestro di una nave della coalizione negli ultimi mesi. A giugno, a bordo della Madleen, c’era anche l’attivista Greta Thunberg.
L’organizzazione per i diritti umani Adalah denuncia una grave violazione del diritto internazionale, sottolineando che la nave non ha mai fatto ingresso in acque territoriali israeliane e si dirigeva verso le acque dello Stato di Palestina, come riconosciute dal diritto internazionale.
Adalah chiede l’immediata liberazione dei passeggeri e che Israele comunichi dove si trovano e quale sia il loro stato legale.
In Italia, il parlamentare Nicola Fratoianni ha sollecitato il governo a intervenire per la sicurezza dei connazionali coinvolti.
Il blocco navale imposto da Israele su Gaza è da anni oggetto di condanna da parte di giuristi internazionali e organizzazioni umanitarie.
Ma l’intercettazione violenta di una nave civile in acque internazionali, con a bordo attivisti pacifici e giornalisti, rappresenta un grave passo oltre il diritto del mare.
La criminalizzazione dell’aiuto umanitario — mentre la fame dilaga a Gaza — rischia di diventare non solo una strategia politica, ma un attacco diretto ai principi fondamentali del diritto internazionale umanitario.
E se il silenzio delle cancellerie europee continuerà, si rafforzerà l’idea che l’impunità navighi più veloce delle navi che portano latte in polvere.
Siria
Le autorità siriane hanno annunciato domenica che a settembre verrà eletto un nuovo parlamento di transizione: gli organi elettorali locali selezioneranno due terzi dei legislatori e il presidente ad interim del Paese nominerà i restanti.
Dopo aver rovesciato il leader storico Bashar al-Assad a dicembre, dopo quasi 14 anni di guerra civile, le nuove autorità siriane, guidate dal presidente Ahmed al-Sharaa, hanno sciolto il parlamento fantoccio del paese e adottato una dichiarazione costituzionale temporanea per coprire un periodo di transizione di cinque anni.
A giugno, un decreto presidenziale ha istituito un comitato composto da 10 membri per supervisionare la formazione degli organi elettorali locali e selezionare un nuovo gruppo di legislatori.
L’agenzia di stampa statale SANA ha riferito domenica che il presidente del comitato Mohammed Taha al-Ahmad ha incontrato Sharaa per discutere del processo, annunciando in seguito il progetto di un nuovo parlamento da 210 seggi, di cui 140 scelti dagli enti locali e 70 nominati dal presidente.
“L’elezione dei membri dell’Assemblea popolare è prevista tra il 15 e il 20 settembre”, ha dichiarato Ahmad, promettendo che le donne saranno rappresentate in questo processo.
Turchia
Gli incendi boschivi che da settimane devastano la Turchia hanno minacciato domenica la quarta città più grande del Paese, costringendo più di 3.500 persone ad abbandonare le proprie case e causando due morti.
Anche Grecia , Bulgaria e Montenegro stanno lottando contro incendi alimentati da temperature insolitamente elevate, condizioni di siccità e forti venti.
Gli incendi notturni nelle montagne boscose che circondano Bursa, nella Turchia nord-occidentale, si sono propagati rapidamente, tingendo di rosso il cielo notturno della periferia orientale della città.
Decine di gravi incendi boschivi hanno colpito il Paese ogni giorno dalla fine di giugno, con il governo che venerdì ha dichiarato le due province occidentali di Smirne e Bilecik zone disastrate.
Il Ministro delle Foreste, Ibrahim Yumakli, ha dichiarato ai giornalisti domenica sera che 3.515 persone sono state evacuate in sicurezza dai villaggi a nord-est di Bursa, mentre oltre 1.900 vigili del fuoco combattevano le fiamme.
L’autostrada che collega Bursa alla capitale, Ankara, è stata chiusa a causa delle fiamme che hanno interessato le foreste circostanti.
Somalia
Il gruppo estremista al-Shabab ha conquistato la città di Mahaas, nella regione centrale di Hiraan, dopo un assalto all’alba di domenica che ha coinvolto attacchi suicidi e scontri armati, secondo quanto riferito da testimoni.
Le forze governative e le milizie alleate Ma’awisley si sono ritirate poco prima dell’ingresso dei jihadisti nella città, situata circa 350 chilometri a nord di Mogadiscio. Mahaas era da oltre un decennio un punto nevralgico per le operazioni contro al-Shabab e ospitava una base avanzata dell’esercito somalo.
Secondo fonti locali, tra le vittime c’è un rappresentante dei servizi di intelligence somali, ma non è stato ancora fornito un bilancio ufficiale.
Il governo federale non ha rilasciato dichiarazioni, mentre al-Shabab ha rivendicato l’operazione attraverso i propri canali mediatici.
La caduta di Mahaas rappresenta un duro colpo simbolico e operativo per il governo somalo e i suoi alleati.
Nonostante i successi dichiarati negli ultimi mesi nell’ambito della “guerra totale” contro al-Shabab — sostenuta anche da raid aerei statunitensi e truppe dell’Unione Africana — la perdita di un centro logistico chiave dimostra quanto fragile sia ancora l’equilibrio nei territori riconquistati.
Più che la forza militare degli estremisti, è la mancanza di coordinamento e resilienza strutturale delle forze governative a emergere come nodo critico.
Senza una strategia sostenibile di mantenimento del territorio, ogni vittoria rischia di essere temporanea. E a pagarne il prezzo, come sempre, è la popolazione civile.
Repubblica Democratica del Congo
Almeno 35 persone sono state uccise domenica sera nell’attacco di un gruppo di miliziani affiliati allo Stato Islamico nella città di Komanda, nella provincia orientale dell’Ituri, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Lo riferiscono testimoni locali all’AFP.
L’assalto, condotto dai ribelli dell’Allied Democratic Forces (ADF), ha colpito una chiesa cattolica durante un incontro di preghiera serale. Tra le vittime, almeno 31 giovani membri del movimento dell’Eucaristica, secondo quanto dichiarato da padre Aimé Lokana Dhego, parroco della chiesa Beata Anuarite.
Diversi altri sono rimasti feriti e alcuni ragazzi sono stati rapiti. Il numero totale delle vittime potrebbe salire: secondo fonti locali si contano almeno 38 morti.
L’attacco rompe una fragile tregua che durava da mesi in una regione da anni flagellata da massacri e violenze a opera dei gruppi armati.
L’ADF, nato come gruppo ribelle ugandese di ispirazione islamista, è oggi affiliato allo Stato Islamico. Malgrado le operazioni militari congiunte tra esercito congolese e forze ugandesi avviate nel 2021 (operazione “Shujaa”), il gruppo continua a colpire impunemente, soprattutto in luoghi di culto e centri civili.
L’attacco di Komanda è una tragedia umana e insieme una sconfitta politica e militare. Le promesse di neutralizzare i gruppi armati nell’est del Congo — più volte annunciate da Kinshasa e Kampala — sembrano svuotarsi ogni volta che un gruppo di fedeli viene massacrato dentro una chiesa.
In un Paese dove lo Stato è spesso assente nei territori di confine, la popolazione civile rimane esposta a una spirale di violenza che gli interventi militari regionali non riescono a fermare. E mentre la comunità internazionale resta distratta, l’est del Congo continua a sanguinare nel silenzio.
Marocco
Almeno 54 minori e circa 30 adulti hanno raggiunto a nuoto l’enclave spagnola di Ceuta, partendo dalle coste del Marocco, sfidando mare agitato e fitta nebbia. Lo ha riferito l’emittente spagnola RTVE, diffondendo anche un video che mostra la Guardia Civil impegnata in numerosi salvataggi in mare.
I minori — per lo più marocchini — sono stati trasferiti in centri di accoglienza temporanei, mentre le autorità locali hanno chiesto supporto urgente al governo centrale per gestire l’afflusso crescente.
Secondo la polizia spagnola, si tratta dell’ennesimo tentativo di attraversamento favorito dalle condizioni meteorologiche, come già accaduto nell’agosto dell’anno scorso, quando centinaia di migranti approfittarono della nebbia per raggiungere Ceuta.
Le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, uniche porzioni di territorio europeo in Africa, sono spesso oggetto di tentativi disperati di ingresso, soprattutto da parte di cittadini subsahariani e marocchini.
I minorenni e i richiedenti asilo possono restare temporaneamente in territorio spagnolo. Gli adulti marocchini senza requisiti vengono rimpatriati immediatamente.
È l’ennesima scena di migrazione invisibile, fatta di corpi nel mare, di silenzi istituzionali e confini sbarrati. I protagonisti sono minori non accompagnati, spesso ignorati dalle grandi cronache, ma che affrontano il mare come unica via verso un futuro possibile.
Le enclave di Ceuta e Melilla continuano a essere zone grigie del diritto, dove si consuma ogni anno un confine tra Europa e disperazione. Il dato politico che emerge è sempre lo stesso: l’assenza di vie legali e sicure produce tragedie o sopravvivenze al limite dell’umano.
A distanza di tre anni dalla strage di Melilla, in cui morirono almeno 23 persone schiacciate nella calca, l’Europa non ha ancora trovato un modello di gestione migratoria che metta al centro i diritti e la dignità umana.
Stati Uniti ed Europa
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno raggiunto un accordo commerciale di principio che scongiura una guerra dei dazi tra due dei più grandi blocchi economici al mondo.
L’intesa prevede un dazio del 15% sulla maggior parte delle merci europee, la metà di quanto minacciato inizialmente da Washington, e promette investimenti europei per 600 miliardi di dollari negli USA, oltre a massicci acquisti di energia e armamenti statunitensi.
L’accordo è stato annunciato dal presidente Donald Trump e dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen al termine di un vertice tenutosi in un lussuoso campo da golf in Scozia.
Trump ha definito l’intesa “il più grande accordo mai concluso”, paragonandolo a quello firmato la settimana scorsa con il Giappone.
Von der Leyen ha riconosciuto che il presidente americano è stato un negoziatore duro, ma ha sottolineato che l’intesa porterà “stabilità e prevedibilità” nelle relazioni transatlantiche.
Tuttavia, non mancano i punti controversi: l’accordo lascia ancora irrisolti i dazi su alcolici e mantiene in vigore le tariffe del 50% su acciaio e alluminio.
Inoltre, Trump si riserva la possibilità di alzare le tariffe se gli impegni europei non saranno rispettati. Un elemento che alimenta l’incertezza per il futuro, nonostante l’ottimismo ostentato.
Questo accordo, più politico che tecnico, ha l’apparenza del successo diplomatico ma poggia su basi fragili.
Le clausole sono generiche, molti dettagli sono rimandati, e la possibilità di ritorsioni resta concreta.
L’UE sembra avere ceduto su molti fronti, promettendo acquisti miliardari e accettando dazi superiori alle aspettative iniziali. Più che un’intesa bilanciata, appare come una resa parziale a un’agenda commerciale aggressiva portata avanti da Trump.
A beneficiarne saranno alcune grandi aziende europee, ma il rischio è che i costi ricadano sul sistema economico europeo nel lungo periodo, soprattutto se le promesse di reciprocità si riveleranno deboli o disattese.
Regno Unito
Un uomo di 41 anni è stato arrestato domenica dopo aver scatenato il panico a bordo di un volo easyJet da Luton a Glasgow, gridando minacce di bomba e rilasciando dichiarazioni politicamente esplicite durante il viaggio.
L’incidente è avvenuto a mezz’aria quando l’uomo, seduto nella parte posteriore dell’aereo, si è improvvisamente alzato in piedi e ha iniziato a gridare: “Ferma l’aereo. Trovate la bomba sull’aereo. Morte all’America. Morte a Trump”.
Testimoni oculari hanno riferito che ha anche ripetutamente urlato “Allahu Akbar”, scatenando l’allarme tra i passeggeri.
Cambogia e Thailandia
I leader di Thailandia e Cambogia si incontreranno oggi in Malesia nel tentativo di fermare i violenti scontri al confine, che in meno di una settimana hanno causato almeno 34 morti e costretto oltre 168.000 persone ad abbandonare le proprie case.
L’annuncio arriva dopo la pressione diretta del presidente statunitense Donald Trump, che ha minacciato lo stop agli accordi commerciali con entrambi i Paesi se le ostilità non cesseranno.
Domenica, la Cambogia si è detta pronta a un cessate il fuoco “immediato e incondizionato”, ma Bangkok ha risposto con maggiore prudenza, chiedendo “intenzioni sincere” da parte cambogiana.
Nel frattempo, gli scontri sono continuati anche nelle ultime ore: artiglieria pesante, razzi e colpi di risposta si sono concentrati nelle aree più contese, come la provincia tailandese di Surin e il sito del tempio di Ta Muen Thom.
Entrambe le parti si accusano a vicenda di escalation, mentre centinaia di villaggi risultano ormai svuotati e le scuole e gli ospedali chiusi.
Cina
In Cina, il celebre abate del tempio Shaolin, Shi Yongxin, è al centro di un nuovo scandalo.
Il monaco, noto per aver trasformato il tempio in un marchio globale, è sotto inchiesta per appropriazione indebita, relazioni sessuali con più donne e per aver avuto figli al di fuori del matrimonio, violando le regole del celibato monastico.
La notizia è stata confermata dallo stesso tempio, situato nella provincia cinese dell’Henan e considerato da 1.500 anni la culla del buddhismo zen e del kung fu.
A seguito delle accuse, Shi è stato privato del certificato di ordinazione, documento essenziale che attesta l’ingresso nella vita monastica.
Il caso ha fatto esplodere i social cinesi: su Weibo, l’hashtag sullo scandalo è stato il più cliccato della giornata. Il profilo personale di Shi Yongxin, che fino al 24 luglio pubblicava ogni giorno insegnamenti buddhisti, è improvvisamente silenzioso.
Non è la prima volta che l’abate finisce nell’occhio del ciclone. Già nel 2015 era stato accusato di relazioni inappropriate e uso personale di fondi del tempio, ma era stato prosciolto.
Tuttavia, la sua figura ha sempre diviso l’opinione pubblica: venerato da alcuni per aver “modernizzato” il tempio con scuole all’estero e spettacoli di kung fu, è stato criticato da altri per aver commercializzato una tradizione millenaria.
La trasformazione del tempio Shaolin in un’azienda internazionale è stata per molti una profanazione culturale: hotel, scuole private, merchandising.
Ora, con accuse che toccano la sfera più personale e religiosa, la credibilità non solo di un uomo, ma di un’intera comunità spirituale è a rischio.
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