10 novembre 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Novembre 10, 2025

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  • Regno Unito: dimissioni ai vertici della BBC per lo scandalo sul documentario di Trump
  • Gaza: restituito dopo 11 anni il corpo del tenente israeliano Hadar Goldin
  • Ucraina: nuovi attacchi russi colpiscono infrastrutture energetiche
  • Cina: distensione con gli Stati Uniti, tensioni con l’Europa
  • Bolivia: Rodrigo Paz Pereira giura come presidente e riapre ai rapporti con gli Stati Uniti
  • Colombia: al via il vertice Celac-UE tra tensioni e assenze

Questo – e non solo – nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Raffaella Quadri

Regno Unito

Crisi ai vertici della BBC, nel Regno Unito.

Il direttore generale Tim Davie e l’amministratrice delegata di BBC News Deborah Turness si sono dimessi dopo le polemiche scatenate da un documentario del programma Panorama dedicato a Donald Trump.

Un’indagine interna avrebbe rivelato che nel montaggio del film “Trump: A Second Chance?” sarebbero state modificate alcune parti del discorso tenuto dal presidente statunitense il 6 gennaio 2021.

Le modifiche lo avrebbero reso apparentemente più favorevole alle rivolte del Campidoglio.

La nota che ha fatto esplodere il caso e che è stata riportata da The Telegraph, proveniva da Michael Prescott, ex consulente indipendente del comitato per gli standard editoriali della BBC.

Già a giugno Prescott aveva espresso preoccupazioni per la gestione del documentario.

La ministra della Cultura britannica Lisa Nandy ha definito la vicenda “molto grave”.

Stati Uniti

Immediata la reazione da Washington.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, su Truth Social ha celebrato le dimissioni dei dirigenti della BBC.

Trump ha accusato l’emittente di aver manipolato il suo discorso del 6 gennaio, da lui stesso definito come “perfetto”, e ha accusato i vertici dell’azienda di essere “giornalisti corrotti” e “molto disonesti”.

Ha poi aggiunto che la manipolazione sarebbe stata un tentativo di “mettere a repentaglio le elezioni presidenziali”.

Infine, ha criticato il fatto che l’accaduto abbia interessato il Regno Unito, ovvero un Paese considerato dagli Stati Uniti uno dei suoi principali alleati.

Israele

Soddisfazione per le dimissioni dei vertici dell’emittente britannica, definita “faziosa”, sono arrivate anche da Israele.

Il ministero degli Esteri israeliano ha accolto con favore il passo indietro di Tim Davie e Deborah Turness.

Per troppo tempo la BBC avrebbe “diffuso disinformazione che ha alimentato antisemitismo ed estremismo”.

Le polemiche, sottolinea il ministero, confermano “un problema strutturale” nel modo in cui la rete britannica racconta Israele e le vicende del Medioriente.

Gaza

Intanto, proprio a Gaza, prosegue la fragile tregua tra le parti.

Domenica 9 novembre, Israele ha ricevuto da Hamas i resti del tenente Hadar Goldin.

Le analisi forensi ne hanno confermato l’identità: si tratta del giovane soldato ucciso nel 2014 e il cui corpo è rimasto per tutti questi anni nella Striscia.

Il premier Benjamin Netanyahu aveva annunciato il ritorno già in mattinata, durante una riunione di governo, ribadendo la promessa di riportare a casa tutti i prigionieri.

La restituzione dei resti di Goldin è considerata da funzionari israeliani e americani un possibile passo per sbloccare il nodo dei circa 150 miliziani di Hamas ancora intrappolati nei tunnel sotto Rafah e Khan Yunis.

Washington preme per una soluzione che permetta ai combattenti di uscire, consegnando le armi e disarmandosi pacificamente.

Questa soluzione permetterebbe di proseguire alla fase due del piano di pace previsto da Trump, l’inizio della ricostruzione.

Israele però smentisce qualsiasi patto che implichi la resa dei miliziani e ribadisce l’intenzione di distruggere i tunnel e neutralizzare i combattenti.

E non ci sarebbe posto per la tregua neanche per l’ala militare delle Brigate al-Qassam che ha respinto ogni idea di resa.

Ha dichiarato, infatti, che non vi sarà alcuna “consegna al nemico”.

Hamas ha chiesto ai mediatori di trovare una soluzione che conservi il cessate il fuoco e impedisca a Israele di trovare pretesti per nuovi attacchi.

E, per altro, Hamas ha accusato lo Stato ebraico di aver già violato la tregua in essere.

Intanto, fonti riferiscono che alcuni combattenti si sono preparati a una lunga permanenza sotterranea, con scorte di acqua e cibo.

Egitto

Ci sarebbe, in merito, anche un intervento da parte dell’Egitto.

Fonti egiziane e mediatori avrebbero proposto che i miliziani depositino le armi e forniscano informazioni sui tunnel.

In cambio, il Cairo garantirebbe un passaggio sicuro e la successiva distruzione delle gallerie.

È una delle opzioni sul tavolo per consentire l’avanzamento del piano internazionale e proteggere la tenuta del cessate il fuoco.

Intanto gli Stati Uniti continuano a spingere per la presenza di una forza internazionale e il disarmo controllato.

Questi, dice Washington, sono elementi chiave del piano a 20 punti promosso dall’amministrazione statunitense.

Proprio domenica Jared Kushner, il genero e inviato del presidente Trump, è tornato in Israele per colloqui con Netanyahu sull’attuazione del progetto e sulle condizioni per la ricostruzione e la sicurezza a Gaza.

Turchia

Si aprono invece tensioni diplomatiche tra Israele e Turchia.

Il governo israeliano ha escluso Ankara dal futuro contingente internazionale di stabilizzazione destinato a Gaza.

Il motivo sarebbe la vicinanza percepita di Ankara a Hamas e l’ostilità verso Tel Aviv.

Una decisione seguita anche ai mandati di arresto turchi per genocidio contro alti funzionari israeliani.

Ucraina

Nuova ondata di attacchi russi in Ucraina.

Nella notte tra l’8 e il 9 novembre, centinaia di droni russi hanno colpito infrastrutture energetiche in diverse regioni del Paese: da Chernihiv a Dnipropetrovsk, fino a Donetsk e Sumy.

L’azienda statale Centrenergo ha denunciato che la capacità di produzione elettrica è “scesa a zero”, lasciando intere aree senza luce, acqua e riscaldamento.

Particolarmente colpita la regione di Kharkiv, dove circa 100.000 persone sono ancora senza elettricità e gas.

Il vicepremier per la ricostruzione, Oleksiy Kuleba, ha assicurato che i tecnici lavorano incessantemente per ristabilire i servizi, ma l’entità dei danni è grave.

Nella stessa notte, droni russi hanno distrutto anche la prima grande centrale a biomasse dell’Ucraina, simbolo dell’indipendenza energetica nazionale.
Fortunatamente, non si registrano vittime.

Secondo lo Stato maggiore ucraino, nelle ultime 24 ore si sono contati 141 scontri, soprattutto nella direzione di Pokrovsk.

Le forze russe hanno colpito le regioni di Sumy e Donetsk con artiglieria e mortai, ma continuano a subire pesanti perdite.

Secondo Kiev, sarebbero quasi mille i soldati russi caduti e decine di mezzi distrutti tra l’8 e il 9 novembre.

Dall’inizio dell’invasione, Mosca avrebbe perso oltre 1 milione di uomini, riferisce RBC-Ukraine.

Il presidente Volodymyr Zelensky, in un’intervista al The Guardian, ha affermato che la Russia è “in una situazione di stallo” e che Putin potrebbe aprire un secondo fronte in Europa per distogliere l’attenzione dai fallimenti in Ucraina.

Zelensky ha accusato Mosca di condurre una “guerra ibrida” contro l’Europa e ha ribadito la fiducia nel sostegno americano.

La speranza di Kiev ora è che si sblocchi rapidamente anche l’invio delle armi americane rimaste boccate, finora, dallo shutdown del governo americano.

Dopo 40 giorni, il Senato statunitense ha raggiunto finalmente un accordo bipartisan.

Lo shutdown è il blocco delle attività amministrative, una procedura prevista dalla legge americana e che avviene quando il Congresso non riesce ad approvare la legge di bilancio, da cui dipende il rifinanziamento delle attività amministrative.

Secondo la testata americana Axios, oltre 5 miliardi di dollari di armi statunitensi destinate ai Paesi NATO – e in parte destinate a essere trasferite in Ucraina – risultavano bloccate proprio a causa dello shutdown che ha paralizzato anche il Dipartimento di Stato.

Il compromesso raggiunto prevede il rifinanziamento delle attività federali fino a fine gennaio, ma senza includere, per ora, i fondi per l’Obamacare, che verranno discussi in una fase successiva, a dicembre.

Russia

Intanto a Mosca, le autorità hanno arrestato una decina di persone, tra cui cittadini russi e stranieri, accusati di collaborare con i servizi segreti ucraini.

Sul piano diplomatico, la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha attaccato l’Unione europea, definendo la stretta sui visti per i cittadini russi una politica “suicida” per l’Europa.

La ministra ha promesso anche ritorsioni “nell’interesse nazionale”.

Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha invece denunciato come “inganno e rapina” il piano europeo per usare gli asset russi congelati a sostegno dell’Ucraina.

E ha avvertito che Mosca “risponderà in modo appropriato”.

Cina

Segnali di distensione tra Pechino e Washington.

La Cina ha annunciato la sospensione del divieto di esportazione verso gli Stati Uniti di tre metalli rari fondamentali: gallio, antimonio e germanio, utilizzati soprattutto nella produzione di semiconduttori.

La misura resterà sospesa fino al novembre del 2026, secondo quanto comunicato dal ministero del Commercio cinese.

Una decisione che potrebbe alleggerire le tensioni commerciali tra i due Paesi dopo mesi di restrizioni reciproche.

Ma mentre si apre uno spiraglio con gli Stati Uniti, si inaspriscono i rapporti tra Pechino e Bruxelles.

Il governo cinese ha protestato duramente contro il Parlamento europeo, colpevole – a suo dire – di aver violato il principio di “una sola Cina” accogliendo la vicepresidente di Taiwan, Hsiao Bi-khim.

La politica ha preso la parola a sorpresa in un evento organizzato dall’Alleanza interparlamentare sulla Cina (Ipac).

Si è trattato del primo intervento di un alto rappresentante di Taipei in un parlamento straniero, gesto che Pechino definisce un’interferenza “grave” nei propri affari interni e una minaccia alla fiducia politica con l’Unione europea.

Bolivia

Rodrigo Paz Pereira giura come presidente e riapre ai rapporti con gli Stati Uniti.

La Bolivia apre così una nuova pagina politica.

Il leader del Partito Democratico Cristiano ha giurato come nuovo presidente, ponendo fine a quasi vent’anni di governi di sinistra guidati dal Movimento al Socialismo.

Nel suo discorso di insediamento, Paz ha promesso di rilanciare l’economia del Paese con un modello di “capitalismo per tutti”, basato su incentivi alle piccole imprese, riduzione dei dazi e maggiore apertura agli investimenti stranieri.

Uno dei primi atti ufficiali del nuovo governo è stato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, interrotte dal 2008.

L’accordo, annunciato insieme al sottosegretario di Stato americano Christopher Landau, prevede la riapertura delle ambasciate e nuovi programmi di cooperazione.

Il presidente boliviano, inoltre, ha negoziato un prestito da 3,1 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e altre istituzioni regionali per affrontare una crisi economica segnata da inflazione oltre il 20% e carenza di dollari e carburante.

Alla cerimonia di insediamento, presenti oltre 60 delegazioni internazionali, tra cui i leader di Argentina, Cile, Ecuador e Paraguay, e rappresentanti di Unione europea, Cina e Stati Uniti.

Colombia

A Santa Marta, sulla costa caraibica della Colombia, è cominciato il quarto vertice tra l’Unione Europea e la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC).

L’incontro, co-presieduto dal presidente colombiano Gustavo Petro e dal presidente del Consiglio europeo António Costa, riunisce delegazioni di 33 Paesi e oltre venti organismi internazionali.

Solo 12 capi di Stato hanno confermato però la loro presenza, segno delle tensioni che circondano il summit.

Sul tavolo temi chiave come commercio, transizione energetica e digitale, cooperazione sulla sicurezza e lotta alla criminalità organizzata.

A dominare il dibattito, però, è il caso dei raid statunitensi contro presunti narcotrafficanti nel Mar dei Caraibi, che hanno causato circa 70 vittime.

Il presidente Petro e il leader brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva hanno chiesto di affrontare apertamente la questione, definendola un test di credibilità per il vertice.

Da parte europea, la vicepresidente del Consiglio europeo Kaja Kallas ha ribadito la posizione del blocco a difesa del diritto internazionale.

“La nostra posizione è chiara: l’uso della forza è legittimo solo per autodifesa o in base a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU” ha dichiarato al suo arrivo a Santa Marta.

Kallas ha confermato che i delegati stanno lavorando a una dichiarazione congiunta che includa una risposta diplomatica ai raid americani, oltre a impegni comuni su clima, sicurezza e diritti umani.

Il vertice, che si concluderà oggi, lunedì 10 novembre, dovrebbe approvare la “Dichiarazione di Santa Marta” e un “Piano d’Azione 2025-2027” per rafforzare la cooperazione tra Europa e America Latina.

 

Foto di copertina: Ibrahim Elwakeel – Unsplash

 

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