17 luglio 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Luglio 17, 2025

  • Siria: Israele bombarda Damasco: escalation nel sud.
  • Gaza:  si continua ad essere uccisi mentre si cerca cibo.
  • Trump lancia un ultimatum a Mosca: pace entro 50 giorni o nuove sanzioni.
  • India: studentessa si dà fuoco dopo aver denunciato molestie, il paese in rivolta.
  • Cambogia: maxi-blitz contro i cybercriminali, oltre mille arresti in pochi giorni.
  • Sudan: Unicef condanna l’uccisione di 35 bambini nel fine settimana

Introduzione al notiziario: L’ultimo ricordo di Chef Mahmoud
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli

Siria

L’esercito israeliano ha lanciato raid aerei su Damasco, colpendo il quartier generale del Ministero della Difesa e un obiettivo militare nei pressi del Palazzo Presidenziale. Una persona è morta, e 28 sono rimaste ferite.

L’attacco è avvenuto, in risposta all’intensificarsi dei combattimenti nella regione siriana di Swayda, roccaforte della minoranza drusa, che Israele ha promesso di proteggere, o forse meglio dire, controllare. Negli ultimi giorni sono morte almeno 350 persone.

Secondo l’IDF, i comandi militari siriani stavano dirigendo da Damasco le operazioni nella regione meridionale, dove carri armati e veicoli armati del regime stavano avanzando verso le zone druse.

Il premier Netanyahu ha sottolineato l’impegno a mantenere smilitarizzata l’area sud-occidentale della Siria, mentre il ministro della Difesa, Israel Katz, ha avvertito Damasco che i raid continueranno se il regime non ritirerà le truppe.

Ieri alcuni drusi israeliani hanno attraversato la recinzione di confine dalla città di Majdal Shams in Israele per unirsi ai parenti o manifestare solidarietà con i drusi siriani di Khader, località separata solo da una manciata di chilometri ma divisa dalla guerra e dalla storia dal 1967.

Questo è avvenuto Dopo che i leader drusi in Israele hanno dichiarato uno sciopero generale e “giorni di rabbia” in risposta all’escalation a Sweida.

Circa 300 agenti della Polizia di Frontiera sono stati inviati al confine tra Israele e Siria per proteggerlo, mentre le forze dell’IDF sono entrate in Siria per rimpatriare i cittadini drusi israeliani che avevano attraversato il confine.

Un video circolato sui social media mostra un uomo druso che issa una bandiera israeliana a Sweida.

L’IDF ha facilitato il rientro di alcuni civili e rafforzato la sorveglianza della zona, denunciando anche tentativi di infiltrazione dalla parte siriana.

In concomitanza con i raid, Katz ha pubblicato un video con le immagini dei bombardamenti a Damasco definendoli “colpi dolorosi” per il regime siriano.

Il ministro volerà a Washington il 17 luglio, dove monitorerà gli sviluppi e, verosimilmente, rafforzerà la linea di cooperazione con gli Stati Uniti.

Intanto le forze governative e le milizie alleate hanno iniziato a ritirarsi dalla città di Sweida.  L’operazione è avvenuta dopo gli attacchi israeliani a difesa della comunità e le richieste di ritiro da parte degli Stati Uniti a Damasco.

Il presidente siriano Ahmad Al Shara ha promesso che i responsabili delle violenze contro la minoranza drusa saranno chiamati a risponderne.

L’attacco a Damasco rappresenta un passaggio simbolico e strategico: Israele non colpisce solo postazioni militari, ma il cuore stesso del potere siriano.

È una dichiarazione d’intenti: l’era dell’attendismo post-Assad sembra finita. Tel Aviv vuole dettare le regole nella Siria che verrà.

Ma dietro la retorica della “protezione dei drusi” si muovono interessi geopolitici ben più profondi: il contenimento dell’influenza iraniana, la gestione del caos post-regime, il controllo di una fascia di sicurezza oltre il Golan.

Israele approfitta del vuoto di potere in Siria per riposizionarsi, rafforzare legami con comunità alleate, e definire unilateralmente i propri confini di sicurezza.

Tutto questo avviene sullo sfondo di una crisi umanitaria taciuta, dove i civili — drusi o meno — si ritrovano ancora una volta pedine in un conflitto che cambia nomi, ma non logica: quella della forza, del confine armato, della vendetta in loop.

Israele e Palestina

■ GAZA: Il ministero della Salute guidato da Hamas ha riferito che gli attacchi israeliani hanno ucciso 94 palestinesi e ne hanno feriti 252 nelle ultime 24 ore.

Secondo il ministero, 58.573 palestinesi sono stati uccisi a Gaza dall’inizio della guerra.

Oltre 20 palestinesi sono stati uccisi, la maggior parte dei quali calpestati a morte, mentre erano in coda per ricevere aiuti a Khan Yunis.

Un abitante del posto ha dichiarato ad Haaretz che “il fattore principale in questo caso” è stato che una squadra di sicurezza presso il sito della GHF ha radunato i richiedenti aiuto e poi ha sparato gas lacrimogeni contro di loro, scatenando il panico .

Le IDF hanno affermato di aver tracciato una rotta che taglia in due Khan Yunis da est a ovest , sostenendo che “rappresenta un elemento chiave per esercitare pressione su Hamas e ottenere la sconfitta decisiva della sua Brigata Khan Yunis”.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite per Gaza e la Cisgiordania, Francesca Albanese , ha detto ai delegati di 30 paesi riuniti a Bogotà per discutere della guerra tra Israele e Hamas che ” ogni stato deve immediatamente rivedere e sospendere tutti i legami con lo stato di Israele … e garantire che il suo settore privato faccia lo stesso… L’economia israeliana è strutturata per sostenere l’occupazione che ora è diventata genocida”.

Proprio alla conferenza di Bogotà, Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha annunciato che il suo Paese cesserà di essere l’unico partner globale latino-americano della Nato.

“Non c’è altra strada”, ha dichiarato Petro aggiungendo che “la relazione con l’Europa non può più passare attraverso governi che tradiscono il loro popolo e stanno aiutando a lanciare bombe sui bambini”.
A comunicare l’ingresso della Colombia come partner globale della Nato era stato il 31 maggio del 2018 l’allora presidente uscente Juan Manuel Santos.

■ ISRAELE: Il partito di estrema destra Otzma Yehudit di Itamar Ben-Gvir ha annunciato che sosterrà un disegno di legge del partito di opposizione di destra Yisrael Beiteinu che vieterebbe gli aiuti umanitari a Gaza , scrivendo in una dichiarazione che sosterrà la proposta alla luce della “corsa del primo ministro verso un accordo di resa con Hamas”.

Mercoledì, l’ambasciatore statunitense in Israele, Mike Huckabee, ha fatto un’apparizione del tutto insolita al processo per corruzione del primo ministro Benjamin Netanyahu, l’ultimo segnale del sostegno pubblico dell’amministrazione Trump al signor Netanyahu in un caso di lunga data.

I pubblici ministeri israeliani hanno incriminato Netanyahu per corruzione, frode e abuso di fiducia. Ha dovuto affrontare la sfida legale mentre Israele conduceva guerre a Gaza, in Libano e in Iran dopo l’attacco guidato da Hamas al Paese il 7 ottobre 2023.

È insolito che gli ambasciatori si inseriscano direttamente nelle questioni legali di un Paese. L’apparizione del signor Huckabee è avvenuta dopo che il mese scorso il presidente Trump aveva chiesto l’annullamento del processo a Netanyahu.

Un soldato della Brigata Nahal delle IDF si è suicidato lunedì in una base nel nord di Israele , il quarto soldato a suicidarsi in meno di due settimane.

■ CISGIORDANIA: L’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee ha dichiarato di aver ” chiesto a Israele di indagare con decisione sull’omicidio di Saif Mussallet “, un cittadino statunitense picchiato a morte dai coloni venerdì scorso nella città di Sinjil, in Cisgiordania.

La famiglia di Mussallet ha dichiarato la scorsa settimana che i coloni hanno anche impedito ai paramedici di raggiungerlo e che è morto prima di raggiungere l’ospedale.

Sudan

In Sudan, una nuova strage scuote la regione del Kordofan settentrionale: più di 450 civili sono stati uccisi in orribili attacchi avvenuti nel fine settimana nei villaggi intorno alla città di Bara, in particolare a Shag Alnom e Hilat Hamid.

Tra le vittime ci sono almeno 24 bambini, 11 bambine e due donne incinte, secondo quanto riferito dall’UNICEF, che ha condannato la violenza “nei termini più forti possibili”.

Il conflitto in Sudan tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), ex alleati oggi rivali, è in corso da aprile 2023 e ha colpito duramente la regione del Kordofan. Ma la strage del weekend segna un’escalation brutale e deliberata contro i civili.

L’UNICEF teme che il bilancio delle vittime, soprattutto tra i minori, sia destinato a salire: decine i feriti e molti i dispersi.

“La violenza contro i bambini è inconcepibile e deve finire ora,” ha dichiarato la direttrice dell’UNICEF, Catherine Russell, chiedendo il cessate il fuoco immediato e il rispetto del diritto internazionale umanitario. Ha inoltre sollecitato indagini indipendenti e l’identificazione dei responsabili.

L’appello dell’UNICEF è chiaro, ma chi ascolta davvero? Finché le potenze mondiali restano ferme, finché i crimini non hanno conseguenze, finché la guerra in Sudan resta una guerra “marginale” agli occhi dell’Occidente, massacri come quello di Bara continueranno.

La denuncia non basta. Servono pressioni, mediazione, responsabilità. Perché nessun bambino dovrebbe morire sotto le bombe, dimenticato dal mondo.

Unione Europea

Scontro in Europa sul nuovo bilancio pluriennale 2028–2034: la Commissione Europea ha proposto un piano da 2.000 miliardi di euro, il più ambizioso di sempre secondo Ursula von der Leyen.

Ma la risposta della Germania, il principale contributore del blocco, è stata secca: “Non possiamo accettarlo”.

Il bilancio punta a rafforzare la sicurezza europea, la competitività industriale e finanziare la ricostruzione dell’Ucraina con uno stanziamento fino a 100 miliardi.

Previsto anche un aumento di cinque volte per spese in difesa e spazio. Circa 300 miliardi sono stati destinati agli aiuti per l’agricoltura, in calo rispetto ai 387 dell’attuale periodo.

Per Berlino il piano è troppo costoso, specie in un momento in cui gli Stati membri cercano di contenere i propri bilanci.

Il governo tedesco rifiuta anche l’idea di tassare di più le aziende con fatturati oltre i 100 milioni di euro. E intanto cresce la fronda dei “paesi frugali” come Olanda e Danimarca.

I primi a scendere in piazza sono stati gli agricoltori: centinaia di trattori hanno invaso Bruxelles, parlando di un “mercoledì nero”.

Le sigle agricole denunciano tagli nascosti alla Politica Agricola Comune, proprio mentre crescono le tensioni per importazioni a basso costo e regole ambientali troppo stringenti.

Il premier ungherese Viktor Orban ha soffiato sul fuoco della protesta, denunciando “un enorme regalo a Kyiv a spese degli agricoltori europei”.

A pesare è anche il debito contratto durante la pandemia: 800 miliardi da rimborsare con un costo annuo tra i 25 e i 30 miliardi.

Per coprire parte del bilancio, Bruxelles punta a raccogliere fondi tramite tasse ambientali e digitali, come la carbon tax alle frontiere e il contributo sui rifiuti elettronici.

La proposta della Commissione segna l’inizio di una lunga battaglia: da un lato, la necessità di affrontare nuove sfide globali; dall’altro, la resistenza degli Stati membri a mettere mano al portafoglio.

Il bilancio UE si conferma così non solo una questione contabile, ma un termometro politico, che misura quanto poco oggi gli europei sono disposti a pensarsi come una vera unione.

Russia, Ucraina e Stati Uniti

l presidente Donald Trump ha dato cinquanta giorni al Cremlino per accettare un accordo di pace in Ucraina, minacciando nuove, pesanti sanzioni contro le esportazioni energetiche russe.

 Un ultimatum che, paradossalmente, potrebbe regalare tempo prezioso alla Russia per portare avanti la sua offensiva estiva.

Nonostante intensi attacchi via terra e via aria, nessun avanzamento russo appare decisivo. Kiev, pur in grave difficoltà per mancanza di uomini e munizioni, resiste con tenacia e continua a utilizzare i droni per rallentare ogni movimento.

L’avanzata più consistente è quella nel Donetsk, dove Mosca cerca di circondare le città strategiche di Pokrovsk e Kostyantynivka, puntando a raggiungere Kramatorsk e Slovyansk.

Se ci riuscisse, potrebbe aprirsi la strada verso la regione industriale di Dnipropetrovsk, ma la resistenza ucraina continua a rendere questi obiettivi lontani.

Nella regione nord-orientale di Sumy, la Russia ha occupato alcuni villaggi dopo aver respinto incursioni ucraine nel territorio russo del Kursk.

 Mosca parla di una “zona cuscinetto” per proteggersi dagli attacchi, ma non sembrano esserci forze sufficienti per catturare Sumy, a soli 30 km dal confine.

Anche a Kharkiv, l’offensiva russa non ha prodotto guadagni significativi. A sud, le regioni di Kherson e Zaporizhzhia, già in parte annesse da Mosca, rimangono per ora saldamente contese.

L’esercito russo, secondo analisti militari vicini al Cremlino, punta a una guerra di “mille tagli”: colpire costantemente, su più fronti, finché le difese ucraine crolleranno per sfinimento. L’obiettivo, scrive il commentatore Sergei Poletayev, “non è prendere una linea, ma distruggere l’esercito nemico”.

I ritardi nella consegna di armi statunitensi costringono Kiev a razionare le munizioni e a limitare le operazioni.

Il piano di Trump prevede di vendere armamenti agli alleati europei della NATO, che poi li gireranno a Kiev. Tra le forniture attese, i sistemi Patriot, essenziali per la difesa aerea ucraina.

Secondo l’analista Jack Watling, l’Europa potrebbe coprire le esigenze immediate di Kiev, a patto di poter acquistare alcune armi critiche dagli Stati Uniti.

Trump non cambia approccio: ricatta e calcola. Il suo ultimatum a Mosca è una mossa ad alto impatto mediatico, ma rischia di essere una finta promessa di pace che dà solo più tempo a Putin per consolidare le sue linee e avanzare.

Sul terreno, la guerra è ormai una macina a fuoco lento. La Russia avanza pochi chilometri alla volta, ma ogni metro è pagato con sangue.

L’Ucraina resiste, ma è stanca, sottorifornita, e spesso sola. I droni tengono in piedi ciò che l’Occidente tiene in sospeso.

E il messaggio implicito che arriva da Washington e dalle capitali europee sembra essere questo: la guerra si può anche pareggiare, purché resti fuori dai nostri confini.

Stati Uniti

Donald Trump ha dichiarato che, dopo colloqui diretti, Coca-Cola ha accettato di sostituire lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio con zucchero di canna nelle sue bevande vendute negli Stati Uniti.

Al momento, Coca-Cola non ha confermato ufficialmente il cambiamento, ma un portavoce ha dichiarato che l’azienda “apprezza l’entusiasmo del presidente Trump” e che fornirà presto dettagli su “nuove proposte”.

Negli USA, Coca-Cola utilizza comunemente sciroppo di mais, a differenza di altri paesi dove lo zucchero di canna è lo standard.

Dietro la mossa si inserisce l’iniziativa Make America Healthy Again (MAHA), promossa dalla Casa Bianca e dal Segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., che spinge per la rimozione di coloranti artificiali e ingredienti considerati nocivi dagli alimenti processati.

Kennedy, critico verso il consumo eccessivo di zuccheri, ha anticipato che le nuove linee guida alimentari, attese in estate, incoraggeranno una dieta a base di “cibi integrali e naturali”.

Tuttavia, la comunità scientifica sottolinea che non esistono differenze sostanziali dal punto di vista nutrizionale tra zucchero di canna e sciroppo di mais.

Lo ha ribadito anche la potente lobby del mais, con il presidente della Corn Refiners Association che ha accusato la scelta di essere populista, inefficace e pericolosa per l’economia agricola del Midwest, sostenendo che potrebbe costare migliaia di posti di lavoro e aumentare la dipendenza da zucchero importato.

Intanto, l’amministrazione Trump ha già approvato in alcuni Stati l’esclusione delle bibite zuccherate dai programmi pubblici di assistenza alimentare, alzando la pressione su giganti come Coca-Cola e Pepsi.

In Alaska, le comunità lungo un tratto di 1.127 km della costa meridionale  hanno ordinato ai residenti di spostarsi su terreni più elevati dopo un potente terremoto 7.3  al largo della costa, ma i funzionari hanno rapidamente abbassato e poi annullato un avviso di allerta tsunami

Pakistan

Il maltempo continua a colpire duramente il Pakistan, dove almeno 28 persone sono morte nella provincia del Punjab a causa di crolli di tetti provocati da piogge monsoniche intense.

Lo ha riferito il portavoce dei soccorritori provinciali, Farooq Ahmed, aggiungendo che circa 90 persone sono rimaste ferite, soprattutto nelle aree rurali.

Il bilancio delle vittime dall’inizio della stagione delle piogge, il 26 giugno, supera ora i 150 morti, con oltre 300 feriti in tutto il paese.

Il Dipartimento Meteorologico pakistano ha lanciato un’allerta per luglio e agosto, mesi in cui si prevede l’innalzamento dei livelli dei fiumi e un peggioramento delle inondazioni.

Il rischio è particolarmente elevato nel Punjab, la provincia più popolosa del paese, dove milioni di persone vivono di agricoltura in villaggi vulnerabili e privi di strutture antisismiche o drenaggi efficaci.

Le piogge monsoniche fanno parte della normalità climatica dell’Asia meridionale. Ma ciò che una volta era prevedibile oggi è devastante. La crisi climatica ha reso il monsone più imprevedibile, più estremo, più mortale.

India

Una studentessa indiana di 20 anni si è tolta la vita dandosi fuoco nel campus del suo college, dopo aver denunciato molestie sessuali da parte di un professore.

Il caso ha scosso l’intero paese, alimentando proteste, sospensioni, arresti e un’indagine federale.

La ragazza, iscritta al secondo anno della facoltà di Educazione del Fakir Mohan College a Balasore, nello stato di Odisha, ha compiuto il gesto estremo sabato scorso, subito dopo aver lasciato l’ufficio del preside.

Ricoverata in condizioni gravissime, è morta lunedì notte con ustioni sul 90% del corpo.

Secondo il padre, la studentessa era stata vittima di pressioni e intimidazioni da parte di Sameer Ranjan Sahoo, capo del dipartimento, che avrebbe chiesto favori sessuali minacciando di distruggere la sua carriera.

La giovane aveva denunciato le molestie a più livelli: al comitato interno del college, alla polizia, e persino al suo parlamentare locale — ma invano.

Il professore è stato sospeso e arrestato, mentre anche il preside, Dillip Ghosh, è stato rimosso dall’incarico e fermato dalla polizia. La studentessa aveva infatti denunciato l’inerzia complice dell’istituzione nel proteggerla.

La tragedia ha innescato una protesta pubblica su scala statale. Migliaia di persone hanno partecipato al funerale nella sua città natale.

Il partito d’opposizione Congress ha indetto una giornata di sciopero in tutto lo stato per il 17 luglio, denunciando “il fallimento del sistema di giustizia”.

Il capo del governo di Odisha ha offerto 18.500 sterline di risarcimento alla famiglia e promesso “azioni severe”. Ma l’opposizione, da Rahul Gandhi al leader regionale Naveen Patnaik, ha parlato di “omicidio istituzionale”, accusando il governo guidato dal BJP di aver lasciato la ragazza senza protezione.

In seguito all’indignazione pubblica, la Commissione universitaria (UGC) ha avviato un’indagine. Un team speciale visiterà il college e valuterà la gestione delle denunce, la sicurezza sul campus e la cultura interna rispetto alla tutela degli studenti.

Cambogia

La Cambogia ha annunciato l’arresto di oltre 1.000 sospetti coinvolti in cybertruffe internazionali, in seguito a un ordine diretto del primo ministro Hun Manet.

Il blitz ha coinvolto almeno cinque province tra lunedì e mercoledì e ha portato alla confisca di centinaia di dispositivi elettronici.

Tra gli arrestati figurano centinaia di stranieri: oltre 200 vietnamiti, 75 taiwanesi, 27 cinesi, 270 indonesiani e altri cittadini di Thailandia, Myanmar, Bangladesh.

Solo a Poipet, città al confine con la Thailandia nota per i traffici illeciti, la polizia ha fermato 270 persone in un solo giorno. Arresti anche a Sihanoukville, Phnom Penh, e nelle province di Kratie e Pursat.

Dietro le cifre, emergono accuse gravi di complicità statale. Un rapporto pubblicato lo scorso mese da Amnesty International accusa il governo cambogiano di ignorare — e in alcuni casi favorire — il funzionamento di oltre 50 centri di truffa online gestiti da gang criminali cinesi, con segnalazioni documentate di schiavitù, torture, traffico di esseri umani e lavoro minorile.

Molti lavoratori nei compound delle truffe sono reclutati con false promesse, poi privati della libertà, costretti a lavorare sotto minacce e violenze.

Il blitz arriva anche in un clima teso tra Cambogia e Thailandia, dopo uno scontro armato di frontiera a fine maggio e crescenti accuse reciproche.

Bangkok ha chiuso valichi di confine e tagliato l’elettricità a zone cambogiane di confine, accusando Phnom Penh di non fare abbastanza per fermare le truffe digitali.

La Cambogia ha risposto parlando di “azioni meschine” e ritorsioni per antichi dissidi territoriali e culturali.

Questa non è solo una storia di criminalità digitale. È il volto oscuro della nuova economia del crimine globale, dove il cyberspazio si intreccia con tratta di esseri umani, impunità istituzionale e interessi geopolitici.

Corea del Sud

Dal 19 luglio, la Corea del Sud metterà ufficialmente fine alla gestione privata delle adozioni, una pratica durata oltre 70 anni e che ha trasformato il paese in uno dei maggiori “esportatori di bambini” al mondo.

Secondo diverse stime, tra i 170.000 e i 250.000 minori sudcoreani sono stati adottati all’estero dal dopoguerra in poi, in un sistema che ha operato con scarsa supervisione statale e, in molti casi, ha alimentato un vero business delle adozioni.

Con l’entrata in vigore di due nuove leggi – una per le adozioni interne e una per quelle internazionali – lo Stato assume piena responsabilità delle adozioni.

Il Ministero della Salute e del Welfare e il Centro Nazionale per i Diritti dell’Infanzia (NCRC) guideranno il processo, affiancati dai governi locali.

Tutte le procedure dovranno rispettare i principi della Convenzione dell’Aja sulle adozioni internazionali, che la Corea del Sud ratificherà ufficialmente a fine ottobre, dieci anni dopo la firma.

Uno dei nodi più delicati riguarda i documenti degli adottati, spesso l’unico legame con la famiglia d’origine. Lo Stato ha ricevuto gli archivi solo da quattro agenzie finora, e molti documenti rimangono inaccessibili o dispersi. È stato promesso un archivio permanente, ma non esiste ancora una data né un piano operativo trasparente.

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